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Food for Profit

Food for Profit, il docufilm che si mangia le lobby

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6 minuti di lettura

Cosa c’è dietro l’inaspettato successo di Food for Profit, docufilm di Giulia Innocenzi e Pablo D’Ambrosi, i giornalisti che per anni hanno indagato sulle lobby della carne in Europa?

Nella sinossi del documentario si legge che Food for Profit è un: “Documentario investigativo con approccio cinematografico”. Un’etichetta che in realtà si potrebbe invertire di senso. Infatti, il potenziale nel nuovo film evento italiano – dove l’evento sta nella sua distribuzione a macchia di leopardo su tutto il territorio nazionale – è nel suo essere, invece, un film investigativo con approccio documentaristico.

Il re è nudo

Una scena di Food for Profit di Giulia Innocenzi e Pablo D'Ambrosi

In un’inchiesta lunga più di cinque anni, Innocenzi e D’Ambrosi sono entrati all’interno del tessuto connettivo dell’Unione Europea, indagando sull’industria della carne e dei suoi derivati. Il risultato è una ricerca che ha scovato miliardi di investimenti che l’Europa destina ogni anno agli allevamenti intensivi, che maltrattano gli animali, inquinano l’ambiente e rappresentano un pericolo per future pandemie.

Occhi puntati sulle medio-grandi industrie di allevamento, quindi, che dal sud Italia al nord della Polonia, sono connesse con intricati fili invisibili a Bruxelles, dove le lobby della carne controllano e manipolano il consenso di tutta la classe politica europea. Innocenzi, giornalista e conduttrice televisiva italiana, non è nuova a questo tipo di contenuti. Scuola Le Iene, cresciuta sui maggiori canali di opinionismo d’Italia, nel 2022 sbarca su Report, dove spopola con i suoi servizi sugli allevamenti intensivi. Animalista convinta, dal passato in gioventù tra le fila dei Giovani Democratici, la carta d’identità di Giulia Innocenzi è tutto fuorché amatoriale.

E l’inchiesta di Food for Profit non è solo una vera e propria palestra giornalistica, ma anche documentaristica, come solo al tempo fu Supersize Me (e come ora, sul tema tra l’altro, è anche Nuclear now). Scene crude, di ammazzamento sommario quasi da lager nazista, fanno da sguardi epifanici al perbenismo che circonda i luoghi deputati al benessere occidentale.

Ma questo non perché Food for Profit vuole mostrare qualcosa che effettivamente non conosciamo (che gli allevamenti intensivi siano una realtà tutt’altro che scomparsa è cosa nota), bensì cerca di rompere un tabù che ha retto finora per anni; entra nelle case – anzi nelle sale, nel dialogo tra il pubblico generato dal cinema – si affaccia alla finestra e indica la fabbrica che nel quartiere è sempre passata inosservata, svela il re nudo. Il tutto lo fa a partire da una cosciente lotta politica al sistema, dai caratteri cubitali sovieticheggianti del titolo e dalla locandina presa in prestito da La fattoria degli animali.

Food for Profit, come (non) fidarsi del sistema

Una scena di Food for Profit di Giulia Innocenzi e Pablo D'Ambrosi

Non a caso, sempre nella sinossi, Food for Profit è venduto come:

“Il primo documentario che mostra il filo che lega l’industria della carne, le lobby e il potere politico. L’appello del film è forte e chiaro: dobbiamo fermare questo sistema corrotto se vogliamo salvare il pianeta. E noi stessi”.

Non sappiamo se è veramente il primo esempio in assoluto, tuttavia è il primo film che sicuramente si mangia le lobby. Un mantra che ci viene raccontato a ripetizione da media e attivisti, ma che qui è messo in luce, inciso su pellicola, e proiettato sul grande schermo in modo tale che nessun dettaglio possa sfuggire, come una cura Ludovico per la coscienza. Non è greenwashing, o mosse ardite di marketing. Il film vuole veramente mettere a nudo e scagliare i sassi contro il Gigante Golia, e lo fa smontando un sistema che non va riformato, ma rivoluzionato a partire dalle sue fondamenta.

Come d’altronde Food for Profit prova a partire da un taglio fresco, catchy, facilmente reiterabile, “tiktokabile”, soprattutto da un pubblico giovanissimo, lo stesso a cui il film cerca realmente di arrivare. La sua narrazione procede per punti ben precisi, attuati a far perdere speranza nel sistema stesso, smontando i “se” e i “ma” che vengono sollevati alle parole “genocidio” e “crisi climatica”. La verità è che servono più docufilm come Food for Profit: non un documentario investigativo con approccio cinematografico forse, ma sicuramente un film per riflettere, su cosa come e perché. Davvero, almeno per una volta, eat the rich.


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Studente alla Statale di Milano ma cresciuto e formato a Lecco. Il suo luogo preferito è il Monte Resegone anche se non ci è mai andato. Ama i luoghi freddi e odia quelli caldi, ama però le persone calde e odia quelle fredde. Ripete almeno due volte al giorno "questo *inserire film* è la morte del cinema". Studia comunicazione ma in fondo sa che era meglio ingegneria.

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