Una pellicola ambiziosa, coraggiosa e originale è quella che Gabriele Mainetti, da noi definito il supereroe dietro la cinepresa, porta a Venezia 78. In concorso si fa spazio il suo Freaks Out, prodotto, diretto e scritto dal regista stesso, che si affianca in sceneggiatura al fedele Nicola Guaglianone, autore anche del soggetto, e in produzione ad Andrea Occhipinti.
Freaks Out sarà disponibile in sala dal 28 ottobre, sotto l’ala produttiva di Lucky Red e Rai Cinema, capitanate dalla Goon Films. Quest’ultima è la casa di produzione fondata da Mainetti nel 2013 e in breve divenuta scrigno dei suoi progetti.
Dai primi cortometraggi – Basette e Tiger Boy – fino all’esplosione con Lo Chiamavano Jeeg Robot (2015), Mainetti ha sempre affascinato per il modo straordinario di raccontare l’ordinario. Così la sua veste fumettistica incontra storie dal gusto dolceamaro, con la ferma convinzione che le cose più belle le creano “quelli che fanno storie impossibili con personaggi reali”. In questo modo l’anonima quotidianità, incanalata nelle vite di creature reiette ed emarginate, acquisisce un sapore inedito.
Ed è quello che si respira nell’ultimo gioiello del regista romano, dove la periferia urbana si tramuta nelle vestigia della Roma del 1943, dopo l’armistizio firmato da Badoglio. Qui, in una gabbia di aguzzini nazisti e con la tragica ombra dell’Olocausto, quattro supereroi circensi cercano la loro strada.
Siete l’accollo più bello che mi sia mai capitato
Freaks Out nasce dall’unione di due passioni della coppia Mainetti-Guaglianone: il mondo dei freaks e la storia dei due conflitti mondiali. Due realtà chiaroscurali, crude, d’effetto, che si mescolano alchemicamente in un racconto sulla diversità e la crescita. Come protagonista troviamo Matilde, La Ragazza Elettrica (Aurora Giovinazzo), che incorpora l’innocenza e la forza di Alessia (Ilenia Pastorelli) di Lo Chiamavano Jeeg Robot. In entrambe dimora un potere che va oltre la loro comprensione, ma nel caso di Matilde si traduce in una concentrazione di elettricità corporea potenzialmente mortale, che le impedisce qualsiasi contatto fisico.
A proteggerla c’è però sempre stato Israel (Giorgio Tirabassi), magico capofamiglia di una banda sgangherata di circensi, chiamata Circo Mezzapiotta. Vi appartengono anime solitarie di un mondo che non li accetta. Da Fulvio, l’uomo lupo (Claudio Santamaria), a Cencio, che governa gli insetti (Pietro Castellitto) fino a Mario, la calamita umana (Giancarlo Martini). Un gruppo di freaks sui quali Mainetti non intreccia un tessuto pietistico, ma valorizza come personalità autoironiche, consce e fiere della loro alterità. La stessa che appartiene a Franz (Franz Rogowski), tenente nazista a capo del circo di Berlino, conosciuto per la sua mirabile perizia al pianoforte, grazie alle sei dita della mano. Ma non è il suo unico potere.
Freaks Out è un racconto di avventura, formazione e diversità
“La tragedia della guerra prende gli uomini migliori e li trasforma in peggiori” dice Fulvio in una scena di Freaks Out. E tale affermazione si traduce nelle vite di donne e uomini che si confrontano necessariamente con il dolore. In particolare, Mainetti costruisce un filo rosso che unisce i protagonisti all’antagonista in una fragilità condivisa. I personaggi, quindi, catturano e convincono lo spettatore sia per il loro brillante carisma, costruito su una solida, ritmata e accattivante sceneggiatura, sia per la loro emotività, spontanea ed empatica, sia infine per una tridimensionalità che li rende strumenti d’indagine sfaccettati.
Matilde, per esempio, ha un dono potentissimo, ma una ferita passata e mai rimarginata non le permette di usarlo per fare del male agli altri, dinamica essenziale per sopravvivere in una Babele di nazisti. Tuttavia anche Franz è vittima e carnefice della sua condizione paranormale e tratteggia un tipo di antagonista diverso dal sistema manicheo della rappresentazione bellica. Lo stesso Mainetti lo ha descritto come un malvagio ma anche “un perdente totale, risultato di una frustrazione famigliare e sociale a cui Franz Rogoswki ha regalato una tenerezza a tratti “inspiegabile”. Così mentre per Matilde l’uso dei poteri è incastonato in un processo di crescita e formazione, per Franz è una forma di rivalsa e dimostrazione del proprio valore.
Freaks Out: una sfida spinta dalla passione
Mainetti sceglie quindi di raccontare la diversità in una storia totalmente avanguardista rispetto allo scenario cinematografico italiano, concentrato sull’intimità dei drammi familiari. Perché Freaks Out sceglie la storia di una famiglia, ma in chiave del tutto non convenzionale, lungo la ricerca di un’appartenenza e un’identità che si ritrova in un tessuto ibrido di generi narrativi. Dal dramma alla commedia, dall’azione al war movie, fino all’immancabile sottotesto del cine-comic, con Freaks Out Mainetti sperimenta e gioca con i suoi personaggi, rilasciando una passione palpabile sullo schermo.
Oltre alla grandezza performativa e alla rodata versatilità dei suoi attori, accompagnati dal colorito e sempreverde dialetto romano, l’impegno si traduce anche in curate scelte registiche. In Freaks Out non manca l’ironia pungente alla Bastardi Senza Gloria, così come l’atmosfera magico-onirica del Pinocchio di Matteo Garrone. Tutto questo si sedimenta in una realtà sfumata, umanamente comprensibile ed esteticamente intrigante, che non rinuncia alla violenza tipica del mondo dei supereroi, ma ne fa motore d’azione, valorizzandolo in chiave realistica. Una sfida da cui Mainetti esce vincente.
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