Il Giustiziere della notte (Death Wish) di Ely Roth del 2018, ora disponibile su Netflix, è un remake del film Il Giustiziere della Notte diretto da Michael Winner uscito nelle sale italiane nel lontano 12 febbraio del 1974.
Da medico a Giustiziere della notte
Paul Kersey (Bruce Willis) è un noto chirurgo che vive insieme a sua moglie e sua figlia nella malavitosa città di Chicago. Fino al momento in cui verrà privato dell’affetto dei suoi cari, l’uomo conduce una vita più che dignitosa, lavorando duramente ogni giorno per poter salvare i suoi pazienti a prescindere che si tratti di assassini e stupratori.
In seguito a una rapina finita male, sua moglie Lucy (Elisabeth Shue) viene uccisa, mentre sua figlia Jordan (Camilla Morrone) finisce in coma dopo essere stata coinvolta nella sparatoria. Paul, deluso dalle scarse risposte da parte delle pubbliche autorità, decide di percorrere la strada della giustizia personale.
Ma come si fa a passare dallo status di buon medico a giustiziere della notte? A Paul Kersey basta una grande sete di vendetta e bisogno di ripristinare la propria identità virile per poter intraprendere questo nuovo percorso.
Il ruolo dei media
Grazie ai video su YouTube riesce a imparare in poco tempo come usare le armi per potersi imbarcare nel suo nuovo progetto oscuro. Imbattendosi in un sequestro per le vie della città, ottiene la sua prima occasione per potersi riscattare salvando una coppia dai malviventi.
A partire da questo momento, il protagonista capisce di essere in grado di fare la differenza e acquisisce gradualmente più fiducia in sé stesso, grazie anche alla diffusione in rete di un video che lo ritrae durante il suo atto “eroico” di giustiziere della notte. Anche i telegiornali locali iniziano a idolatrare il tristo mietitore delle vie di Chicago, finalmente la città ha un uomo senza volto che si è autoproclamato come il protettore di cui tutti avevano bisogno.
Per quanto riguarda il complesso dibattito sulla moralità delle escalation di violenza, possiamo notare come questo risulti relegato perlopiù a un ruolo marginale, poiché viene affidato esclusivamente ai pochi frammenti delle conversazioni estrapolate dai talk show. Gli ospiti dei programmi radiofonici si interrogano se veramente Chicago abbia bisogno del “mietitore” per poter risolvere il problema dell’alto tasso di criminalità.
Recupero del modello maschile tradizionale
L’evento drammatico costituisce per Paul una sorta di rivelazione su quali siano i compiti primitivi del maschio capofamiglia, come proteggere le donne del gruppo, e il fatto che non abbia portato a compimento questo ruolo fa insorgere in lui il bisogno di un cambio di rotta nel disciplinamento dello schema maschile.
Si ha dunque la sensazione che il protagonista sia perlopiù afflitto per la sua incapacità di incarnare quel ruolo di maschio adulto che la società richiede di impersonare. I malviventi rappresentano simbolicamente la supremazia del modello di virilità maschile tossica, che nel film continua ad essere il solo strumento per la conquista del potere e unico mezzo di protezione. In tal senso le armi e la violenza si confermano come l’estensione fallica maschile necessarie ad impedire a persone esterne di violare il territorio segnato.
A confermarlo è anche il suocero di Paul nel giorno del funerale di sua moglie, il quale imbattendosi in un gruppo di bracconieri, imbraccia un fucile da caccia per allontanarli dalla sua proprietà. La sequenza sembrerebbe ribadire l’imprescindibilità dei valori tradizionali, poiché restano gli unici effettivamente validi per la preservazione di quel virtuosismo maschile il cui compito è quello di proteggere soggetti e oggetti appartenenti alla sfera di proprietà.
Il dilemma etico del dr. Kersey
Nella sequenza iniziale de Il Giustiziere della notte viene presentata per la prima volta la solidità dello schema etico del protagonista il quale, dopo non essere riuscito a salvare la vita di un poliziotto rimasto ucciso in una sparatoria, non si tira indietro dal tentativo di salvare l’omicida, anche lui gravemente ferito. In questa situazione l’uomo sembra essere assolutamente certo del proprio paradigma valoriale, al punto che, quando il collega del poliziotto ucciso gli chiede se veramente abbia intenzione di salvare il criminale, il medico non si lascia scomporre dall’accusa etica. Questa viene invece gravemente compromessa quando a essere messa in discussione è l’integrità del ruolo maschile.
Il film non contraddice con fare inquisitore il nuovo percorso intrapreso dal protagonista, ed è per questo che lo spettatore ha l’impressione che l’uomo sia sulla strada giusta, quella della vendetta personale, in cui l’unico valore vigente è quello della prospettiva personale. Allo spettatore non viene mai offerto il punto di vista dei criminali e non gli viene mai concesso di accedere alla sfera personale degli autori dell’omicidio. Siamo spinti a seguire esclusivamente il dottor Kersey e a sentire per lui, sperando che possa davvero riuscire nella sua violenta impresa di giustizia.
L’emotività viene ulteriormente guidata anche nella sequenza finale, quando l’ultimo dei malviventi rimasto in vita decide di rientrare in gioco per finire il lavoro, di conseguenza lo spettatore ha la percezione che tutti gli sforzi intrapresi dal protagonista siano stati legittimi. A confermarlo è il detective Raines (Dean Norris) il quale, dopo aver sospettato della vera identità del Dr. Kersey, fa in modo che il caso si chiuda confermando la legittima autodifesa e chiudendo un occhio sulla follia giustiziera, a patto che i giorni da vendicatore della notte terminino in quell’istante.
Confronto tra il Giustiziere della notte di ieri e di oggi
Ne Il Giustiziere della notte (1974) di Michael Winner, a partire dalle prime battute, viene concesso molto più spazio a una riflessione sulla società e sulla forte sfiducia del protagonista nei confronti di questa. A differenza del Paul di Bruce Willis, il dottor Kersey di Charles Bronson dimostra un maggior senso di comunità e attenzione nei confronti degli umili e dei disoccupati.
Nel film di Roth il cambiamento della professione del protagonista (da architetto a medico) risulta ancor più metaforica pur diluendone l’intensità del conflitto interiore. Nel Giustiziere della notte di Winner, invece, la presa di coscienza sulla fallibilità dell’uomo civile avviene nelle aride lande dell’Arizona, in un’atmosfera intrisa di rimandi al mito della frontiera del western. Il finto villaggio western nel deserto di Tukson rappresenta un ulteriore richiamo al passato selvaggio, che con nostalgia ricorda i tempi in cui l’autodifesa era imprescindibile per la sopravvivenza.
Nel film del ’74 la questione del selvaggio risulta, dunque, ancora più marcata, i criminali per le strade di New York si muovono come bestie fameliche con comportamenti scomposti e irrazionali. Animali predatori di uomini civilizzati che non riconoscono le normative sociali, e per questo la mediazione diplomatica si dimostra inefficiente. È in questo nuovo e selvatico palcoscenico rurale che Paul realizza che l’unica arma contro coyote e avvoltoi è la violenza primitiva. Bastoni e mannaie lasciano così spazio a pistole e fucili, nuove armi con lo stesso fine, proteggere terreno, donne e cibo.
A ribadire la validità di questi sacri e antichi valori è l’imprenditore Aimes Jainchill (Stuart Margolin), il quale chiarisce all’architetto Paul Kersey l’importanza di mantenere le naturali conformazioni del territorio; tutto deve rimanere com’è. È la civiltà che deve essere arginata, perché incapace di funzionare davvero, per lasciare invece spazio alla sacralità del territorio, palcoscenico e portatore di antichi valori che per molti sono gli unici validi.
Il vigore animalesco acquisito dal protagonista non passa inosservato e suo figlio gli fa notare che il soggiorno a Tucson gli ha fatto bene, è come se la riconciliazione con il selvaggio avesse portato a far rifluire il sangue, donandogli il colore di un uomo energico e risoluto, pronto per una performatività maschile rinvigorita.
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