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Gli Orsi Non Esistono, Jafar Panahi resiste ancora

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5 minuti di lettura

L’11 luglio 2022 Jafar Panahi veniva prelevato e condotto in un carcere iraniano. L’inaccettabile trattamento riservato al regista da parte del governo ha inizio nel 2010. Dodici anni di esili forzati, tentati arresti e perseguimenti. Alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia è in concorso con Gli Orsi non Esistono, ma durante la conferenza stampa al suo posto appare una sedia vuota. Il Festival evidenzia l’assenza con un gesto incisivo. Il film parla anche di questo: perseverare, esserci a ogni costo e in ogni modo. La prima scena è esemplare. Le discussioni di una coppia in cerca dei passaporti utili a fuggire dal paese rivela la finzione. La cinepresa si allontana, il set appare e scopriamo che a dirigere è Panahi in collegamento zoom da un paesino al confine turco.

Come già accaduto in Taxi Tehran e Tre Volti, Jafar Panahi interpreta se stesso in una vicenda che unisce biografico, finzionale e politico. Da dodici anni non può fare altrimenti. Un’autoreferenzialità, resa metacinema, che è sinonimo di resistenza. La retorica suggerita dal contesto rischia di nascondere il film nei sottotesti che lo popolano. Ma Gli Orsi Non Esistono è più dei suoi messaggi politici: è un grande film. In senso critico, ma anche narrativo. All’osservazione antropologica dedicata al paesino al centro delle vicende, Panahi affianca due tragedie romantiche e una brillante riflessione sull’immagine. Parla di cinema, tradizione, morale. Un’arte che travolge il contesto e oltrepassa l’autore. 

Gli Orsi non Esistono NPC Magazine

Al confine tra Iran e Turchia, Panahi dirige un film. Nella storia, una coppia cerca di fuggire, ma solo lei ottiene il nuovo passaporto. Nel frattempo, nel paesino che offre esilio al regista esplode lo scandalo per una foto che minerebbe i piani di due giovani, promessi sposi dalle rispettive famiglie. L’intreccio non esaspera associazioni ma le esemplifica con ordine. Panahi è ancora una volta un protagonista bonario, tramite di vicende e punto macchina privilegiato. Nella casa in cui si nasconde e lavora si susseguono gli uomini del villaggio. Hanno stima, ma non dimenticano l’origine privilegiata. “Un uomo importante di città con una bella macchina” deve essere guidato nelle tradizioni del luogo. Da antropologo e regista, Panahi ascolta tutto. La sospensione tra realtà e finzione è una tragedia che dal paese arriva al set di Tehran, dove i protagonisti del film-nelfilm stanno cercando – per davvero – di scappare. 

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È sempre Panahi a guidare le sue storie. È lui il tassista di Taxi Tehran, ma anche l’uomo che giunge e va nel paese di Tre Volti. In Gli Orsi non esistono gira a vuoto. Il confine geografico, striscia di polvere rossa tra Iran e Turchia, lo riguarda a fondo. Il dubbio morale domina il film e Panahi ne esce condannato. Osservatore dell’inferno altrui; non agisce rispetto alla vicenda del villaggio nello stesso modo in cui decide di non andare a Tehran a ultimare le riprese. Sceglie il purgatorio, l’immobilità. La macchina “bella e nuova” che rivendicano i compaesani a simbolo di ricchezza è il segno di una contraddizione. Mezzo di trasporto per un uomo immobile. Gli Orsi non Esistono chiude le due storie parallele, ma non risolve la crisi del protagonista. Decisione brutale, ma necessaria.

In camera car osserviamo le due tragedie realizzarsi secondo le promesse della drammaturgia impostata, ma per Panahi tutto si arresta su un ultimo frame che chiede proprio alla macchina di costruire la regia. Dal parabrezza vediamo l’orizzonte, il luogo in cui si realizza una scelta fino a quel momento rifiutata. Ma lo schermo digitale del cruscotto – attivo solo per la retromarcia – rivela che la strada appena percorsa è ancora una possibilità. Gli Orsi non Esistono era iniziato proprio lì, da uno schermo di pixel che rivela la presenza-assenza, il trattino, il confine. Un discorso per immagini, un film di cinema autoriflessivo, questione politica ma anche artistica, storia un regista non più pilota.


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Studente di Media e Giornalismo presso La Sapienza. Innamorato del Cinema, di Bologna (ma sto provando a dare il cuore anche a Roma)e di qualunque cosa ben narrata. Infiammato da passioni passeggere e idee irrealizzabili. Mai passatista, ma sempre malinconico al pensiero di Venezia75. Perché il primo Festival non si scorda mai.

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