L’Academy of Motion Picture Arts and Sciences annuncia, a due giorni dagli ambiti premi Oscar, la Giornata Mondiale del Cinema. Una giornata dedicata agli amanti della settima arte di tutto il mondo, celebrata ogni secondo sabato di febbraio. Un’occasione per scambiare opinioni e passioni su film e registi, tutto ovviamente attraverso i social media.
Per festeggiare la Giornata mondiale del Cinema l’Academy invita gli appassionati a condividere con tutti i film che più li hanno segnati. Pubblicando copioni su twitter, post(er) su Instagram e, ovviamente, andando al cinema.
Quest’oggi dunque la giornata inaugurale. Per l’occasione la redazione di NPC Magazine ha scelto quattro e film da ricordare, rivedere e celebrare. Fateci sapere i vostri film del cuore sulle pagina Instagram e Facebook di NPC Magazine.
«Il Castello Errante di Howl» (2004, Hayao Miyazaki)
Nel bel mezzo del revival dello Studio Ghibli, i cui film sbarcheranno su Netflix con 21 titoli tra febbraio e aprile, il nostro Global Movie Day è dedicato anche a Il Castello Errante di Howl di Hayao Miyazaki. Riassunto in chiave poetica dei temi più cari del maestro giapponese, come la denuncia antimilitarista, l’emozionante esperienza del volo, l’emergere del timido sentimento amoroso e la scoperta del proprio posto nel mondo, il Castello errante di Howl è una perla del cinema contemporaneo, uno di quei film che apprezzi da bambino ma di cui cogli la bellezza solo da adulto. Accompagnato da una colonna sonora inconfondibile e da un’atmosfera a dir poco sognante, Hauru no ugoku shiro, in lingua originale, è giustamente entrato a far parte di quelle pellicole indimenticabili e, per questo, imperdibili.
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«C’era una volta il West» (1968, Sergio Leone)
Nel 1968 Sergio Leone realizza la summa della propria poetica mediante un film intriso di nostalgia ed epica. Non a caso il West ha sempre rappresentato per il regista l’ultima forma di epos possibile, portando spesso un parallelo tra le opere omeriche e le avventure degli eroi nella selvaggia America da conquistare. Un canto del cigno intriso di primi piani: di ghiaccio quelli di Henry Fonda, enigmatici quelli di Charles Bronson, beffardi quelli di Jason Robards. E poi Claudia Cardinale, bruna d’una antica bellezza ancestrale e primitiva. La musica di Ennio Morricone, mai così capace di incanalare un sentimento di struggente melanconia. La sceneggiatura scritta insieme a campioni del calibro di Bernardo Bertolucci e Dario Argento, con Sergio Leone che riprende e narra una storia che, a buon diritto, si può considerare eterna.
«Ricordi?» (2018, Valerio Mieli)
Opera seconda di Valerio Mieli – regista avulso dalle regole di mercato e dal presenzialismo (auto)imposto – Ricordi? è un viaggio toccante nei meandri della memoria, con quel punto interrogativo a marcare l’incertezza, l’operazione di filtraggio e incasellamento che subiscono i fatti quando vengono vissuti à rebours, alla luce di un sentimento che è solo proprio. Di una banalità sconcertante come semplice è l’esistenza, il film segue la storia d’abbandono e amore di due giovani protagonisti di cui non sapremo mai il nome (salvo quello dei due interpreti, straordinari: Linda Caridi e Luca Marinelli). Dal primo incontro all’ultimo fotogramma, la scena si riempie di flashbacks, rimembranze dissonanti che rispondono al punto di vista degli attori in gioco, il cui occhio mentale differisce per genere, carattere, disposizione alla vita. Due anime che s’incontrano mescolando i vissuti, in uno spazio-tempo di cui cogliamo le coordinate geografiche (è Roma, ma senza riferimenti precisi ed esasperati) senza abbandonare mai quella sospensione che fa, di questa storia umile, un interrogativo esistenziale rivolto a tutti. Come si vive il tempo trascorso e quanto dissotterriamo poi di realmente accaduto? La memoria cancella, smussa, ci salva anche quando non vogliamo essere salvati. Ricordi? ci insegna che la fragilità è cosa comune e il tempo – attimo dopo attimo – dona all’esistenza il carattere ‘mitico’ di cui sentiamo il bisogno, delicato appiglio per vivere (e ri-vivere) le cose del mondo.
«Aniara» (2018, di Pella Kagerman)
Un’astronave in direzione Marte finisce fuori rotta. L’intero equipaggio, dispersa ogni speranza, si trova costretto a considerare l’eventualità di vivere per sempre all’interno del gigantesco veicolo spaziale, azzerando di fatto la storia dell’umanità e segnando un nuovo inizio. Aniara, opera prima della svedese Pella Kagerman, è un particolarissimo esperimento di fantascienza. L’adattamento del poema antiutpico di Harry Martinson fornisce le basi per un’esperienza di visione unica, agitata da uno scorrere del tempo che punta all’eternità e che dunque elimina l’idea stessa di protagonista (ma anche di spettatore). Un tentativo non nuovo per il genere, per altro nemmeno portato a termine con forme di tensione diverse da quelle che molti altri film degli ultimi anni hanno fatto proprie (Primo su tutti il recente Ad Astra), ma con alcune accortezze sorprendenti. Uscito nelle sale e ignorato, sintomo di un cinema indipendente che non cessa di rimettersi in gioco nonostante tutto e che proprio in questa Giornata Mondiale del Cinema merita di essere ricordato e portato sotto l’attenzione di tutti. Perché davanti ad Aniara non si nota genere, stile o budget, ma la più sola e sentita mancanza d’aria nel vedersi ricostituire in quanto civiltà umana dispersa nello spazio e dimenticata nel tempo. In poche parole, cinema.
Testi e scelte di Valentina Cognini, Stefano Sogne, Ginevra Amadio e Alessandro Cavaggioni.
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