Il percorso di Greta Gerwig è stato lento ma completo, partita dall’ambiente mumblecore per crescere come sceneggiatrice e infine affermarsi anche come regista. Ad oggi è sicuramente una delle voci più interessanti del cinema americano e internazionale, un nome a cui spesso viene affiancato l’aggettivo di autrice, non allo scopo di conferirgli un’autorevolezza che altrimenti non avrebbe, ma con l’intenzione di riconoscerle una ricerca personale costellata da tematiche ricorrenti che si dispiega per tutta la sua carriera.
Fin dagli inizi, infatti, Greta Gerwig sembra intenzionata a portare avanti una ricerca tematica, uno sviluppo di contenuti e argomenti costante, ritrovabile nei personaggi interpretati come nelle sue sceneggiature.
Nell’attesa del suo ultimo film in uscita a giugno 2023, il già discutissimo Barbie con protagonisti Margot Robbie e Ryan Gosling, che si prospetta uno dei prodotti più interessanti della prossima stagione, ripercorriamo la sua carriera proponendo una lettura lineare e coerente delle sue scelte e delle sue riflessioni.
Il mumblecore, i primi passi
Il mumblecore è un movimento cinematografico sviluppatosi nei primi anni 2000, da molti considerato oggi l’ultima effettiva esperienza di cinema indipendente. Non nasce intenzionalmente come gruppo o movimento, appellativi che gli vengono affibbiati in un momento successivo da una parte della critica che riconosce in taluni film caratteristiche comuni e ricorrenti.
Il nome stesso ha formulazione incerta, nominato per la prima volta da Andrew Bujalski in occasione di un’intervista a IndieWire attribuendone la formulazione a Eric Masunaga, un montatore del suono che ha lavorato con Bujalski, in riferimento al tipico borbottare degli attori. Il termine è stato poi adottato per denominare questa compagine sciolta e racchiuderla sotto un’unica etichetta di comodo, operazione favorevole in primis ai suoi protagonisti che col tempo hanno vissuto di un sempre più diffuso interesse da parte di critica e pubblico.
L’anno di nascita del movimento può essere considerato il 2005 quando al South by Southwest festival di Austin, vengono presentati Mutual Appreciation di Andrew Bujalski, The Puffy Chair di Mark e Jay Duplass, Kissing On The Mouth di Joe Swanberg, Four Eyed Monsters di Susan Buice e Arin Crumley, tutte opere prime (tranne quella di Bujalski che aveva esordito nel 2002 con Funny Ha Ha) che presentano caratteristiche comuni: basso budget, improvvisazione da parte degli attori non professionisti, macchina a mano, luce naturale, ambienti reali e non ricostruiti, una grande aderenza alla realtà che comporta l’assunzione di uno stile anonimo.
Questi film tradiscono la loro intrinseca amatorialità facendone, al contrario, motivo di orgoglio e di differenziazione rispetto al cinema hollywoodiano contro cui si allineavano, l’intenzione dei registi era dimostrare che un modo differente di fare cinema era possibile nonostante l’assenza di denaro, grandi supporti e finanziamenti. Forse il tratto più interessante dei film mumblecore è la comune intenzione tematica di rappresentare la propria generazione, con i suoi problemi, le sue incertezze e insicurezze.
Sono film che parlano della precarietà non solo economica ma soprattutto emotiva e psichica di giovani appena usciti dall’università alla ricerca della propria identità e senza un vero obbiettivo. La costruzione del sé, la formazione dell’identità, l’accettazione, sono le tematiche simbolo di questi film e di questi autori, tra cui possiamo sicuramente annoverare anche Greta Gerwig che tornerà anche successivamente a ragionare su di esse facendone il proprio fulcro tematico.
Gerwig comparirà nelle vesti di attrice in numerosi di questi film tra cui possiamo ricordare LOL di Joe Swanberg del 2006, Hannah Takes the Stairs sempre di Joe Swanberg del 2007 e Baghead dei fratelli Duplass del 2008, mentre ha co-diretto con Joe Swanberg Nights and Weekends del 2008.
In Hanna takes the stairs, Gerwig impersona una ragazza appena laureata che lavora come stagista in una società di produzione, insoddisfatta della sua vita lavorativa e sentimentale, intrattiene diverse relazion, tra cui anche una sorta di triangolo amoroso con due colleghi mentre cerca di capire cosa e chi vuole essere.
Il film diretto da Swanberg, ma accreditato a tutti i componenti del cast, a rimarcare l’improvvisazione dell’opera, ci parla direttamente di quel momento dell’età adulta in cui non si è inseriti totalmente nel mondo del lavoro e non si sa bene come entrarci e che ruolo ricoprire, una situazione di confusione, insoddisfazione, incertezza che influenza ogni aspetto della vita dei protagonisti
Gerwig collabora con Swanberg nelle vesti di co-regista per la realizzazione di Nights and weekends, un vero progetto a quattro mani che vuole esplorare la fine di un rapporto a distanza. Gerwig e Swanberg sono i protagonisti, gli sceneggiatori e i registi di quest’opera che segna la fine della militanza di Gerwig nel mumblecore.
Il sodalizio con Baumbach, l’approccio alla sceneggiatura
Dopo l’esperienza indipendente del mumblecore Greta Gerwig partecipa come attrice a diversi film fino al ruolo che la farà conoscere davvero a un pubblico mainstream: quello di Florence Marr in Lo stravagante mondo di Greenberg di Noah Baumbach.
Noah Baumbach, nasce nel 1969 nella New York più borghese e intellettuale e a partire dalla metà degli anni ‘90 realizza film indipendenti in cui sostanzialmente racconta le crisi esistenziali ed emotive di personaggi che gli somigliano, tutti bianchi, etero, privilegiati, tutti tranne quelli dei film che scriverà con Greta Gerwig che parlano delle crisi attraversate da donne bianche, etero, privilegiate.
Baumbach ha più di un tratto in comune con l’ambiente mumblecore, le tematiche soprattutto, ma diverso è il sostanziale modo di approccio al cinema che pur essendo indipendente, ossia al di fuori delle grandi logiche mainstream (a cui comunque Baumbach approda nel 2019 con Storia di un matrimonio), mostra un’attenzione sostanziale alla scrittura e alla sceneggiatura, oltre che un aspetto estetico molto più patinato e sofisticato.
È significativo ricordare il suo ruolo nella produzione di Alexander de last, film del 2009 di Joe Swanberg a dichiarare comunque una certa vicinanza di Baumbach all’ambiente indipendente mumblecore, ma d’altra parte è importante menzionare una certa prossimità alla produzione di un altro importante nome newyorkese, Woody Allen. I film di Baumbach come quelli di Allen, infatti, sono per lo più commedie amare, ma ironiche, che raccontano le vite, o meglio le crisi, dei loro personaggi e mostrano nei dialoghi una bravura di scrittura e un acume non indifferenti.
Lo stravagante mondo di Greenberg è il sesto film di Baumbach presentano nel 2010 alla 60ª edizione del Festival di Berlino. Il film propone uno spaccato di vita di Roger Greenberg (Ben Stiller) un egocentrico appena uscito da un ricovero per un esaurimento nervoso. Il suo approccio alla vita problematico gli impedisce di portare avanti un rapporto umano serio, che sia sentimentale, amoroso o d’amicizia, oltre che di condurre un’esistenza serena e appagante. L’incontro con Florence Marr (Greta Gerwig) sarà l’apice emotivo di questa parte della sua vita. Sembra l’incipit della più classica delle commedie d’amore: boy meets girl, ma in realtà non è questo il punto. Entrambi, Florence e Roger, sono persone problematiche che mostrano inabilità allo stare al mondo, Florence ha vent’anni meno di lui, è insicura, imperfetta, incerta sulla vita e sul futuro, è appena uscita da una relazione importante e per questo le è difficile iniziare un nuovo rapporto, soprattutto se la persona con cui si interfaccia è Roger che come lei mostra diverse difficoltà di approccio all’altro. Entrambi non si sanno rapportare, non sanno gestire le proprie emozioni, le proprie paure e le proprie difficoltà emotive.
Seppur il film non sia all’altezza di altri titoli di Baumbach (per esempio Scalciando e strillando del 1995 o Il calamaro e la balena del 2005) per Gerwig è un ruolo importante perché rappresenta una classica evoluzione dei ruoli precedenti e segna un naturale ponte di contatto con i due successivi che si propongono sviluppo e approfondimento di Florence essendo più completi e complessi giovando di una luce e una profondità più autentica che deriva direttamente dalla scrittura di Gerwig.
Frances ha è un film di Baumbach quanto lo è di Gerwig tanto è facile riconoscere la mano e la riflessione di Gerwig nel tratteggio di Frances e nella costruzione della sua storia. Uscito nel 2012 è da subito uno dei film più fortunati e apprezzati di Baumbach complice una scrittura efficace e una costruzione visiva attenta.
Il film segna sia per Baumbach che per Gerwig il perfetto continuo delle rispettive esperienze cinematografiche e delle riflessioni personali dal momento che propone la storia di Frances Halliday, una ragazza quasi trentenne che condivide l’appartamento con la sua migliore amica, che sogna di fare la ballerina, è imperfetta, quanto più lontana dall’essere desiderabile ci viene detto nel film, goffa, impacciata, senza un piano per il futuro e intenzionata a vivere per sempre con la sua amica. Ma una svolta improvvisa nella sua vita la fa scontrare a muso duro con l’età adulta, con i propri limiti e fallimenti oltre che con le proprie responsabilità.
Frances nelle mani di Gerwig e Baumbach diventa rappresentante di una generazione priva di sicurezze che continuamente deve scontrarsi con una società in opposizione che impone modelli fisici estetici, emotivi, lavorativi denigranti, irragionevoli ed escludenti.
Frances è un personaggio che quindi va a inserirsi del tutto all’interno della più ampia ricerca compiuta da Gerwig intorno all’inadeguatezza che deriva dalla mancanza di una sicurezza nel presente e nel futuro di una generazione che è stata privata di molte possibilità.
La confusione, l’immaturità e la precarietà sono delle caratteristiche di Frances, della sua generazione e dei personaggi di Gerwig così come l’ostinazione, la perseveranza e la forza di credere e inseguire i propri sogni, anche a costo di reinventarli in continuazione.
Mistress America esce nel 2015, nel mezzo Baumbach realizza Giovani si diventa e Gerwig recita in The Humbling di Barry Levinson e Eden di Mia Hansen-Løve. La storia è quella del rapporto tra Tracy (Lola Kirke ) e la sorellastra Brooke (Greta Gerwig), l’una universitaria insoddisfatta, l’altra trentenne dalla vita apparentemente sfavillante ma in realtà priva di direzione e scopo.
La più grande dovrebbe essere mentore e punto di riferimento per la più giovane che però ne sfrutta le debolezze per tornaconto personale. Il ritorno dei due autori sembra voler mettere il punto di fine a una riflessione che negli anni si è dipanata in diverse opere realizzate da entrambi: viene infatti messa in scena la sconfitta di quella generazione tanto spesso rappresentata, lo svelamento di tutta la sua poca sostanza e la sua incapacità a realizzare alcunché.
Per contraltare vediamo rappresentato anche il nuovo che avanza, la nuova generazione che, nei panni di Tracy, si serve di quella precedente come alimentazione per la propria arte e quindi per la propria affermazione come identità singola e come voce generazionale. Ed è qui che si inserisce un punto costante dell’indagine di Gerwig: l’arte considerata motore d’azione delle giovani donne, come campo in cui affermarsi e come unico mezzo d’espressione possibile.
Difficile in questo senso non intravedere echi biografici disseminati nei vari personaggi scritti o interpretati e mai come in Mistress America Gerwig si frantuma e si divide nei personaggi femminili che scrive, in Brooke che interpreta e in Tracy in cui si specchia. L’aderenza alla realtà, il continuo prendere dal proprio vissuto e traslarlo in sceneggiatura è per certo una delle più grandi forze dimostrate da Gerwig anche e soprattutto con la sua opera di debutto registico.
Lady Bird, il successo
L’esordio registico di Greta Gerwig non poteva essere più brillante di così: Lady Bird è stato un successo di critica e pubblico, candidato a cinque premi Oscar tra cui quello per la miglior regia, facendo di Gerwig la quinta donna nominata nella categoria.
Gerwig realizza una storia di formazione dai forti accenti autobiografici che porta in seno tutte le influenze cinematografiche dell’autrice oltre che una sapiente rielaborazione delle proprie esperienze passate. Lady Bird pur assecondando pedissequamente gli stilemi del genere di riferimento mostra un’originalità e autenticità che lo rendono prodotto più unico che raro.
La protagonista è Christine McPherson (Saoirse Ronan), liceale di Sacramento che desidera ardentemente frequentare un college di New York e il film racconta il suo ultimo anno di liceo concentrandosi soprattutto sul rapporto difficile e tumultuoso con la madre.
La consapevolezza di Gerwig si ritrova nei piccoli particolari visivi e narrativi, possiamo menzionare per esempio la scena d’apertura con le due, madre e figlia, stese a letto con il viso rivolto l’una all’altra, o, sempre all’inizio la decisione di far ascoltare alle due in macchina l’audiolibro dell’opera Furore di John Steinbeck per passare il tempo durante il viaggio. Piccoli particolari all’apparenza insignificanti che però sono quelli che rendono profonda l’indagine dei personaggi rappresentati, l’attenzione prestata loro e la cura che sempre gli rivolge la loro autrice.
Gerwig nella sua opera d’esordio scrive una protagonista che è perfettamente allineabile con le precedenti da lei interpretate, Christine è compagna di Frances come di Brooke, come loro è alla ricerca della propria identità, simbolicamente rappresentata dall’intenzione di darsi un proprio nome, Lady Bird, appunto. Mostra insicurezze e paure, fallisce molte più volte di quanto trionfi, ma non smette mai di cercare il proprio posto nel mondo. Altro elemento importante è la decisione dell’autrice, una volta fuoriuscita dal mumblecore, di concentrarsi non tanto sulle relazioni amorose delle proprie protagoniste ma sui loro rapporti con le altre donne: l’amica, la sorella e ora la madre. La descrizione di questo rapporto è forse il punto forte del film e uno dei più grandi meriti riconosciuti a Gerwig, un racconto che è puntuale e universale insieme, costellato di tanti momenti talmente vividi da poterne sentire addosso le emozioni.
Piccole donne, l’affermazione
Piccole donne del 2019 è la rilettura personale del classico di Louisa May Alcott da parte di Gerwig, apprezzato e criticato in egual modo, ma sicuramente ricco di importanti spunti di riflessione. Al di la delle critiche è ovvio come la scelta di Gerwig sia ricaduta sul romanzo della Alcott per approfondire ulteriormente i temi che più l’hanno interessata nell’arco della sua carriera: in Piccole donne è possibile trovare infatti, il tema della sorellanza, la realizzazione personale, la ricerca del proprio ruolo e del proprio posto nel mondo, il desiderio di sfuggire a regole e dettami imposti dalla società.
Non oscurando il materiale di partenza Gerwig lo arricchisce con ulteriori influenze e approfondimenti, concentrandosi su alcuni aspetti in particolare che risuonano quanto mai attuali, come il compromesso perenne, il bisogno economico, la realizzazione personale, l’integrità di ognuna.
C’è molta ricchezza nei personaggi messi in scena da Gerwig, non solo l’amata Jo (Saoirse Ronan) in cui forse è più facili rispecchiarsi, ma anche per esempio in Amy (Florence Pugh) a cui è conferita una consapevolezza del tutto nuova che rende il personaggio estremamente sfaccettato e moderno.
D’altra parte Jo è l’indiscussa protagonista del film, anch’essa compagna se non sorella di Frances, Brooke e Lady Bird, una giovane donna in lotta contro la società che cerca di realizzarsi attraverso la sua arte.
Piccole donne non è un prodotto perfetto, Lady Bird in questo senso dimostrava una maggior coerenza interna, forse il confrontarsi con una materia letteraria già esistente e così universalmente conosciuta e apprezzata non è stata operazione facile da parte della regista, che a volte inciampa e propone scelte poco in linea con una militanza più volte professata.
ll lavoro di Gerwig, le sue scelte attoriali e la sua ricerca autoriale, è una delle manifestazioni più interessanti del panorama cinematografico contemporaneo; lei stessa ha dichiarato che: “la parte più difficile dell’essere una donna in un’industria dominata dagli uomini è convincere gli altri che vale la pena produrre storie sulle donne”. L’augurio è che continui a farlo, a proporre storie di donne come quelle raccontate finora, perché abbiamo bisogno di altre Frances, di altre Lady Bird.
Seguici su Instagram, TikTok, Facebook e Telegram per sapere sempre cosa guardare!
Non abbiamo grandi editori alle spalle. Gli unici nostri padroni sono i lettori. Sostieni la cultura giovane, libera e indipendente: iscriviti al FR Club!