Ormai da mesi migliaia di persone avevano fatto un cerchio rosso sul calendario, a ricordare loro una data che, in realtà, non avrebbero sicuramente dimenticato: il 3 luglio 2020. Da quel giorno, infatti, su Disney+ è disponibile uno dei musical più famosi di Broadway: Hamilton.
Musiche, testi e libretto sono frutto di un’unica, geniale mente, quella di Lin-Manuel Miranda.
Vincitore, tra gli altri riconoscimenti, di 11 Tony Awards e del Premio Pulitzer per la drammaturgia, fin dal suo debutto nel 2015, Hamilton si è imposto sulla scena teatrale (e non solo) statunitense, diventando in breve tempo un vero e proprio fenomeno culturale.
«Hamilton: An American Musical»
Liberamente tratto dalla biografia Alexander Hamilton (2004) scritta da Ron Chernow, il musical si propone di narrare la storia di uno dei padri fondatori degli Stati Uniti, spesso oscurato dall’ombra di altre mastodontiche figure come i presidenti George Washington (Christopher Jackson) e Thomas Jefferson (Daveed Diggs).
«Bastardo, orfano, figlio di una puttana e uno scozzese, caduto nel mezzo di un punto dimenticato nei Caraibi», Alexander Hamilton (Lin-Manuel Miranda) giunge negli Stati Uniti come immigrato e lì si costruisce da sé la propria strada, lastricandola di studio incessante, ardente passione e irriverente sfacciataggine. Dalla guerra di Indipendenza, alla formulazione della Costituzione, fino al ruolo di Primo ministro del Tesoro, «l’uomo è inarrestabile» e resterà una figura fondamentale nello scenario politico americano fino alla sua morte, avvenuta nel duello contro Aaron Burr (Leslie Odom Jr.) nel 1804.
«Far parte della narrazione»
Uno dei numerosi motivi per cui Hamilton ha fatto parlare di sé è la composizione del cast. Scelta di Miranda è stata, infatti, far impersonare ad attori di colore e latinoamericani personaggi che, nella “storia vera”, non potevano che essere bianchi (a volte bianchissimi). Un’operazione, questa, che va ben oltre la – seppur evidente e fondamentale – volontà di inclusione, ma che sottolinea ciò che Alexander Hamilton ha incarnato nella sua persona: un grande Paese offre a chiunque la possibilità di «far parte della narrazione».
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A prendersi il proprio spazio sono anche le donne. L’Hamilton di Lin-Manuel Miranda, prima di essere uomo politico, è innanzitutto uomo. Figure centrali diventano allora la moglie Eliza (Phillipa Soo) e la cognata Angelica (Renée Elise Goldsberry), presenze costanti nella vita di Alexander.
Dove la storia non ha concesso loro di far sentire la propria voce, Miranda interviene con un energico pezzo rap per l’impeccabile Renée Elise Goldsberry e con canzoni emozionanti e mai banali per Phillipa Soo, che, dando profondità al suo personaggio, lo liberano dalla limitante prigione del ruolo della moglie devota. E proprio ad Eliza è affidato il brano finale, Who Lives, Who Dies, Who Tells Your Story, che celebra la responsabilità che lei e la sorella ebbero nella trasmissione dell’eredità (la pluricitata «legacy») di Hamilton dopo la sua morte.
Tutta un’altra musica
Trattandosi di un musical, parlare dell’aspetto musicale sarebbe d’obbligo in qualunque caso. Con Hamilton, però, l’argomento è ancora più imprescindibile. Le canzoni di Lin-Manuel Miranda, infatti, rendono la sua opera un esemplare unico. Il pop si alterna a jazz, hip-hop e R&B e i dibattiti politici prendono la forma di infuocate rap battles con tanto di mic drop.
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Il ritmo del musical è sostenutissimo. Abbondano i numeri di insieme – sempre perfettamente funzionanti – ma non mancano veri e propri pezzi di bravura, che danno ai loro interpreti la chance di brillare. Così accade con Satisfied, What’d I Miss e The Room Where It Happens, eseguiti dai tre vincitori del Tony Renée Elise Goldsberry, Daveed Diggs e Leslie Odom Jr..
Il personaggio interpretato da quest’ultimo può essere considerato il coprotagonista di Hamilton. Aaron Burr è, infatti, al contempo, personaggio e narratore e la rappresentazione che viene data di Hamilton passa spesso attraverso i suoi occhi. Di Burr viene disegnato un ritratto approfondito e caleidoscopico, aspetto declinato anche nella varietà dei brani a lui affidati.
Dal palcoscenico allo schermo
La versione di Hamilton disponibile su Disney+ non è un vero e proprio film, ma consiste nel filmato della rappresentazione teatrale andata in scena nel 2016 al Richard Rodgers Theatre di New York. Le emozioni di uno spettacolo dal vivo non sono ovviamente replicabili sullo schermo, ma il regista Thomas Kail è stato abile nello sfruttare al meglio le opportunità del mezzo cinematografico e a giovarne è stata prima di tutto la recitazione. Frequenti primi piani evidenziano dettagli che sarebbe stato impossibile cogliere da una platea teatrale, dando modo di apprezzare ancora di più la bravura degli interpreti.
«Hamilton»: la storia che parla al presente
Hamilton narra della fondazione degli Stati Uniti, ma è stato creato per e ad immagine dell’America di oggi.
Nato nel contesto Obama, il progetto fu presentato proprio alla Casa Bianca. Nel 2009, durante una serata dedicata a musica e poesia, un giovane Lin-Manuel Miranda rivelò: «sto lavorando a un concept album hip-hop riguardo alla vita di qualcuno che credo incarni l’hip-hop: il Segretario del Tesoro Alexander Hamilton». La folla rise. Ma ride bene chi ride ultimo. Miranda ha accudito il suo progetto e non ha «gettato via la sua chance» di dimostrare al mondo come le parole abbiano il potere – allora come oggi – di cambiare le cose.
Hamilton deve tutto al genio e al carisma del suo creatore, ma ha già dimostrato che saprà sopravvivergli, costituendo la sua «legacy», nonché un capitolo della Storia dello spettacolo.
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