Harrison Ford compie 81 anni. Basta solo una frase per spalancare il cassetto dei ricordi: Indiana Jones, Han Solo, Deckard. Tre personaggi inimitabili in cerca dell’interprete ideale, trovato proprio nella figura paterna e rassicurante dell’attore americano. Grazie a lui il cinema, soprattutto d’intrattenimento, ha conosciuto una fase di popolarità e risalto che altrimenti non avrebbe avuto gli stessi esiti. Proviamo, dunque, con questa dedica a ripercorrere brevemente la sua carriera.
Harrison Ford, da comparsa a Star Wars
Mentre si scorre la sua filmografia, composta attualmente da 77 partecipazioni, si noteranno due cose. La prima è che l’incredibile attività attoriale di Harrison Ford venne coltivata da subito in età adolescenziale: se infatti il successo arriva ufficialmente nel 1977 con Star Wars, il debutto nel mondo del cinema (con piccoli o ruoli da comparsa) avvenne tempo prima. Così, già nel 1966, con Alle donne piace ladro, Harrison Ford appare per la prima volta sul grande schermo. Timido, acquattato al punto che nei primi anni di carriera non viene neanche riconosciuto nei titoli di coda. Addirittura la produzione di Assalto finale (1967) lo cita come “Harrison J. Ford”. Quella “J” in realtà non significa niente, perché Ford non ha un secondo nome. Tale scelta fu però presa per distinguere il giovane attore di Chicago da un suo collega omonimo, al tempo più famoso.
La seconda è l’altrettanto assurda concentrazione di film cult a cui l’attore ha partecipato in un periodo circoscrivibile agli anni ’80 e ’90. Film principalmente rivoluzionari, figli de Il laureato (1969), e liberalizzati da Animal house (1978). Sconsacrazione di un’ideologia puritana che, ormai, aveva stancato pure il cinema classico; in fondo, L’uomo che uccise Liberty Valance (1962) non decreta solo il tramonto di un certo modo di fare film western, ma anche il sistema hollywoodiano nel suo complesso.
Un compromesso attoriale
Eppure, Harrison Ford non aveva l’aspetto furfante di John Belushi, né tanto meno la verve decadente di Robert de Niro, quando in Taxi driver (1976) incarnò la faccia oscura del liberalismo americano. Harrison Ford è un attore cresciuto nella New Hollywood, che guarda però a-nostalgicamente al passato. Se Marlon Brando giace soffocato dall’ombra e dai fumi della distruttiva guerra del Vietnam, il famoso Indiana Jones è ancora il classico e affascinante uomo tutto d’un pezzo: non distrutto dalla sua stessa condizione, o ripreso durante la sua quotidianità divelta: bensì tonico archeologo avventuroso, coraggioso – eccetto per il famoso punto debole dei serpenti – e muscolosa figura androgena.
Certo, siamo ben lontani dal John Wayne di Berretti verdi (1968), Harrison Ford non ha mai rappresentato (né tanto meno accettato) la figura di attore dello star system. La sua recitazione, fin dai tempi delle comparsate in American graffiti (1973) e nello stesso Apocalypse Now (1979), dove interpreta il giovane Colonnello Lucas, volle essere un compromesso tra l’efferatezza giovanile dei grandi autori hollywoodiani e il cinema blockbuster, inteso come grande spettacolo d’intrattenimento democratico per il pubblico generalista.
Quel bravo ragazzo di Harrison Ford
Indiana Jones è così un affascinante seduttore, ma non un ammiccante scapolo quarantenne (alla Sean Connery dei tempi di James Bond). È solo, ha parecchie amanti, ha problemi con la figura paterna, ma è anche lui stesso un padre e un marito assente, menefreghista. Pure Han Solo, indispensabile aiutante della Ribellione (senza però farne parte esplicitamente!) in Star Wars (1977), non è forse lo scapolo più testardo, attraente e coraggioso che il cinema blockbuster ’80 abbia mai avuto? Nell’universo cinematografico serve sempre una figura paterna, una guida valorosa che faccia luce al cammino dell’eroe nel momento più buio, un leviatano che prende in mano la situazione, sempre e comunque.
Una spalla motivazionale – forse saccente, forse un po’ trickster – ma che sa il fatto suo. Trova una soluzione a tutto, anche quando, soprattutto, il protagonista (e lo spettatore) hanno smesso di crederci.
Abbiamo ancora bisogno di Indy
Harrison Ford arriva nel momento del bisogno, sia dentro che fuori lo schermo (la parte di Indiana Jones gli venne affidata dopo che Tom Selleck rifiutò l’incarico, a pochissime settimane dall’inizio delle riprese de I predatori dell’arca perduta). Alle volte è, così, un patriottico padre di famiglia, come aveva capito anche Roman Polanski, quando lo scelse per il ruolo da protagonista in Frantic (1988), e altre volte un broker finanziario sessista ma pronto a ravvedersi, come in Una donna in carriera (1994).
Lasciano il tempo che trovano, dunque, le critiche posticce che lo abbassano a grado di macchietta insensibile. Basta solo vedere la sua ultimissima fase seriale della carriera: Paramount+ lo scrittura per il patriarca e agguerrito protettore del ranch di famiglia in 1923 (2023); in Shrinking (2023), invece, Serie di Apple TV+ con protagonista un ritrovato Jason Segel (Marshall di How I met your mother), interpreta un vecchio e abile psicologo pronto alla pensione. Una spalla, ancora una volta, fraterna ma anche e soprattutto professionale, sempre pronta a risollevare il morale dello spettatore, che sia un ragazzino amante dell’avventura o che sia un padre di famiglia con tutti i vizi e i difetti. Indy è sempre pronto, nel momento del bisogno lui c’è.
Seguici su Instagram, Tik Tok, Twitch e Telegram per sapere sempre cosa guardare!
Non abbiamo grandi editori alle spalle. Gli unici nostri padroni sono i lettori. Sostieni la cultura giovane, libera e indipendente: iscriviti al FR Club!