L’evasione da Azkaban di Sirius Black compie vent’anni. Correva infatti il 4 giugno 2004 quando Harry Potter e il Prigioniero di Azkaban fu rilasciato nelle sale italiane con la firma autoriale di Alfonso Cuarón. Nonostante l’iniziale ignoranza sull’universo potteriano, redarguita da Guillermo Del Toro, Cuarón riesce a donare un tocco caravaggesco al terzo film. Il suo sguardo elegante, curato e fascinoso imprime una distintiva aura chiaroscurale a una cupa fiaba agli albori dell’adolescenza. Così ritroviamo Hermione, Harry e Ron, tredicenni, a metà del labirintico cammino verso la sconfitta del Signore Oscuro.
In questo capitolo, il regista messicano sceglie di mediare tra la magia d’infanzia insita nel suo film del 1995, La Piccola Principessa, particolarmente apprezzato da J.K. Rowling, e la fascinazione per i burattini spettrali di Basil Twist. Inizialmente, c’è chi dice no alla scelta produttiva di Cuarón, fresco dell’esplorazione sessuale di tre giovani protagonisti nel suo premiato Y tu mamá también del 2001.
Tuttavia, l’approccio intimista ai personaggi aiuta il regista a ritrarre un passaggio di crescita con una transizione morbida, ma impattante. Da un momento all’altro, lo spettatore si rende conto che i suoi eroi sono a loro agio nel mondo straordinario di cui hanno varcato la soglia due film prima. Si cimentano con licantropi, ippogrifi ed animagus, governano il tempo a loro piacimento e hanno dei segreti, come tutti gli adolescenti.
La danza carnefice dei guardiani di Azkaban
Harry Potter e il Prigioniero di Azkaban imprime nell’immaginario collettivo del pubblico la disturbante figura del dissennatore. Il guardiano incappucciato famelico e affamato di felicità è una creatura scheletrica, fluttuante sotto un velo lercio e deprivata di un volto. Questo si trasmuta nel dismorfico bacio che risucchia i ricordi felici dalle sue vittime.
Ecco dunque che, non a caso, il dissennatore è stato associato da J.K. Rowling alla depressione, un’emozione sconosciuta al mondo infantile che ha popolato i primi due capitoli della saga. Se prima, gli eventi nefasti di Hogwarts, tra cui omicidi e torture, erano bilanciati da un’atmosfera bambinesca nel favolistico ingresso al mondo incantato, nel terzo film le sensazioni si incupiscono.
La fotografia abbraccia fredde campiture e il racconto si fa più maturo. I dissennatori irrompono nella storia con una cruda avanzata che spezza la fanciullezza. Sono terrificanti, ma rimangono avvolti nella bolla digitale che li connota. Originariamente, Cuarón aveva un pensiero diverso per i guardiani di Azkaban.
Ispirato dallo spettacolo Symphonie Fantastique del burattinaio e coreografo Basil Twist, il regista immaginava le creature mostruose come fantocci coperti da veli che fluttuano nell’acqua. Un ritratto di evocazione metafisica e astratta, che si ritrova, seppur in digitale, nel film. I dissennatori vivono tra i burattini senza volto di De Chirico e i personaggi straziati e deformati di Goya. Un universo crepuscolare, che a distanza di 20 anni incute ancora timore.
Storia e origini di Azkaban
Da qualche parte nel freddo Mare del Nord si erge una piccola isola rocciosa su cui svetta l’oblunga struttura d’acciaio di Azkaban. Lo youtuber Adrian R. Rednic, in arte Caleel, ne ha realizzata una minuziosa descrizione in uno dei suoi video. Sembra infatti che Azkaban sia l’unica prigione di massima sicurezza per maghi oscuri in Gran Bretagna.
Ne esiste un’altra invero, Nurmengrad, costruita nel 1927 da Grindelwald per i suoi oppositori e in cui lui stesso fu rinchiuso nel 1945 da Albus Silente, destinato a rimanervi come ultimo e unico prigioniero. Azkaban, però, è unica nel suo genere, in quanto la sua scoperta è correlata alla presenza dei già citati dissennatori. Le disturbanti creature, infatti, sono nate e cresciute sull’isola, nutrite dalle anime dei suoi prigionieri.
Per paura che lasciassero l’isola e attaccassero la terraferma, Azkaban è sempre stata mantenuta dal Ministero della Magia come roccaforte dei criminali magici, ospitando volti noti come Percivald Silente, Sirius Black, Bellatrix Lestrange e Barty Crouch Jr., oltre a numerosi mangiamorte.
Tra di loro, l’unico a scappare per sua volontà è Black, che nei dodici anni di detenzione, riesce a mantenere la sanità mentale grazie alla sua natura di animagus. Come Felpato, il grosso cane nero in cui Sirius si trasforma a suo piacimento, il mago è in grado di resistere con maggior resistenza agli attacchi dei dissennatori. È sempre grazie al magro e denutrito corpo di Felpato che Black riesce a infilarsi tra le sbarre ed evadere da Azkaban. Insomma, una lore di tutto rispetto.
Il labirinto degli equivoci
Sulla carta, Cuarón invoca una pellicola dall’anima dark, eppure, il terzo capitolo detiene il surreale record di unico film della saga senza un morto. La morte, però, è un personaggio invisibile, che dimora sospesa in un labirinto degli equivoci dove nulla è come sembra. Così, Peter Minus era dato da tutti per morto, ma il suo nome compare sulla Mappa del Malandrino.
Allo stesso modo, Harry fugge per tutto il film da quello che crede sia un pazzo assassino in cerca di sangue, e per un attimo, alla resa dei conti alla Stamberga Strillante, cerca di uccidere il suo padrino. Quest’ultimo che invece vuole uccidere Minus, che morto non è mai stato. Ad uccidere Sirius ci provano invece i dissennatori, risucchiando ciò che rimane di una felicità salvata dall’incanto del patronus.
La morte rincorre quindi i protagonisti in un gioco fatale, ma non li raggiunge mai, sebbene i nostri eroi, come di consuetudine, non restino mai lontani da guai. Assume toni comici, dunque, la frase che in principio Harry rivolge al Sr. Weasley: “Perché dovrei andare in cerca di qualcuno che vuole uccidermi?”. Perché niente è come sembra, in Harry Potter e il Prigioniero di Azkaban e anche l’invalicabile roccaforte di Azkaban, dispersa nel mare del Nord, viene profanata.
Basta un articolo di giornale con i Weasley in bella mostra durante una vacanza in Egitto a innescare in Sirius la ricerca di una vendetta mai compiuta. Quando, quel giorno, Peter Minus tradì i Potter, consegnandoli a Voldemort e, inseguito da Sirius, fece esplodere una strada, uccidendo dodici babbani per poi scappare in forma di topo. Una morte per ogni anni scontato da Sirius in prigione.
L’inviolabile fedeltà agli amici
Proprio il padrino di Harry, vestito dell’iconica interpretazione di Gary Oldman, formula una frase emblematica: “Sarei morto pur di tradire i miei amici”. E il suo messaggio riecheggia fino alle nuove generazioni, quando i protagonisti, pur di salvare la carriera di Hagrid e la vita di Fierobecco e Sirius, entrambi condannati a morte, modellano e governano il tempo con il Giratempo.
Altri due sacrifici scampati nel film dominato dalle dissolvenze in nero e dalla gotica presenza di corvi e creature notturne predette dai fondi del the. Tuttavia, anche gli animali della notte che popolano il capitolo di Azkaban sono conseguenze di un atto d’amicizia. Proprio i malandrini che crearono la mappa, Felpato, Ramoso e Codaliscia scelsero la strada di animagus non registrati per non lasciare solo il quarto malandrino, Lunastorta.
Il terzo capitolo consolida dunque la reciproca fedeltà e fiducia tra i tre protagonisti, dettando un’evoluzione più formativa sui personaggi che narrativa sulla trama. Il risultato è un film esteticamente molto godibile, che incede con lentezza e bramosia d’immagini, senza rinunciare a sferraglianti sequenze, come la combattuta partita di Quiddich sotto la tempesta. Sebbene quello di Azkaban sia stato il capitolo con meno incassi della saga, la sua è una storia a parte. Una poesia autoriale, firmata da un regista vincitore di quattro Oscar per due pellicole, Gravity (2014) e Roma (2019) e pregna di simbolismi e rimandi che daranno i frutti della loro semina in tutti i capitoli successivi.
Non potremmo apprezzare allo stesso modo la rivelazione di Piton sul patronus nel sesto film senza l’evocativa scena del bosco, così come la devozione servile di Codaliscia nel quarto film, quando sacrifica una mano per Voldemort. O ancora, l’evasione di Barty Crouch Jr. e la liberazione di Bellatrix Lestrange, rispettivamente nel quarto e quinto film.
Harry Potter e il Prigioniero di Azkaban è quindi un passaggio rituale e necessario della formazione culturale potteriana. Proprio la celebre prigione, avvolta dalle onde, conferma qui la sua instabilità, evocando un’aura ancora più perturbante per i successivi film. I veri cattivi stanno per tornare in libertà, si può contare solo sugli amici.
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