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High Life, Robert Pattinson padre cosmico contro la sfida di Medea

Robert Pattinson compie 35 anni. In High Life è un giovane padre confinato nello spazio.

6 minuti di lettura

Robert Pattinson è la quintessenza dell’eleganza britannica. Fierezza, garbo e uno sguardo gentile inclini a nascondersi finché il cinema, con la sua arte maieutica, non ne esalta le condizioni di esistenza. Un dono incredibile che ha respirato piano, lentamente, svelandosi come una matrioska e imponendosi con una freschezza e una vitalità necessarie al panorama cinematografico contemporaneo.

Dopo aver frequentato la Harrodian Private School a Londra, l’attore ha proseguito gli studi musicali dedicandosi al pianoforte e alla chitarra e con successo ha esordito sul palcoscenico all’età di quindici anni, distinguendosi nella compagnia della Barnes Theatre Company con la sua interpretazione in Macbeth, di William Shakespeare, e in Tess dei D’Ubervilles. “Galeotto fu Thomas Hardy, Robert viene notato da un agente e inizia ad ottenere ruoli professionali in grandi produzioni, conquistando la fama nel quarto film della saga “del mago più famoso del mondo”.

In Harry Potter e il Calice di Fuoco interpreta l’allievo Cedric Diggory, uno dei coraggiosi sfidanti del Torneo Tremaghi (quattro!). A ripagare la fulminea uscita di scena del suo personaggio, nel 2008 Catherine Hardwicke lo sceglie per il ruolo del vampiro Edward Cullen nella saga di Twilight, adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di Stephenie Meyer.

L’attore scala vertiginosamente la lista dei possibili candidati (Dave Franco, Henry Cavill, Ben Barnes) e, sbaragliando ogni aspettativa – figlia di archetipi ormai noti e ricorrenti – rifugge la prevedibile cristallizzazione di un ruolo decisamente troppo angusto per il suo talento. Scelto e consacrato da David Cronenberg (Cosmopolis, Maps to the Stars) Robert Pattinson si afferma rapidamente come uno degli attori più fertili della sua generazione, non solo per la sua attitudine performante sullo schermo, ma anche -e soprattutto- per la prodigiosa versatilità che lo rende un unicum.

High Life: la lussuria nell’Eden dell’illusione

High Life

In High Life, film del 2018 scritto e diretto dalla regista francese Claire Denis (Cannibal Love – Mangiata viva), Robert interpreta Monte, unico membro sopravvissuto di un equipaggio, disperso nel sistema solare. La ciclica, estenuante quotidianità di Monte ruota attorno al dubbio, alle prospettive finite di un uomo che sorveglia, come unico impulso alla sopravvivenza, l’esistenza di un altro essere umano. Nel binarismo di un tempo che gravita, sospeso tra senso spaziale e terreno, i diciotto anni in orbita verso un buco nero si manifestano progressivamente, con digressioni silenziose che trovano un senso nel pensiero autonomo dello spettatore.

Il viaggio galattico è una premessa illusoria che da un intento morale si trasforma in una carneficina laconica: la missione spaziale, nata come conversione della pena per un gruppo di criminali, si riversa violentemente sulle sue cavie, le priva del loro naturale diritto alla libertà e le controlla, nutrendosi vendicativa dei loro corpi inermi e costretti all’oblio. La tragica Medea si realizza nell’ossessione della dottoressa Dibs (Juliette Binoche), reclutata dopo l’omicidio del marito con lo scopo di generare la vita nello spazio. Lo sperma degli uomini, prelevato tramite la masturbazione quotidiana, viene impiantato –senza consenso– nelle prigioniere della nave spaziale Elektra (Gloria Obianyo), Mink (Claire Tran) e Boyse (Mia Goth).

L’unione della violenza genera un frutto vergine e incontaminato, la piccola Willow, unico contatto terreno e senziente che Monte riesce a stabilire. Estensione della sua umanità, la figlia è la sua “serra salvifica“, un ecosistema autosufficiente, auto-respirante, carnale che sdebita -per il padre- l’oppressione degenerativa di un sistema fatiscente, caotico e dissoluto.

La paternità in High Life come astinenza dal male

High Life è un prison movie che tende all’evocazione fantascientifica quanto al dramma familiare. Le fondamenta ideologiche della struttura oppressiva richiamano quel carcere ideale progettato nel 1791 dal giurista Jeremy Bentham, il Panopticon, la cui etimologia greca fa riferimento ad Argo Panoptes, il gigante dai cento occhi. Il concetto alla base del Panopticon consisteva nel permettere ad un unico sorvegliante di osservare in simultanea tutti i criminali dell’istituzione carceraria, senza che questi sapessero di essere controllati. L’idea era che -grazie al senso di oppressione e controllo costante- i prigionieri avrebbero modificato le loro attitudini sotto il giogo mentale di una disciplina imposta e mai autonoma.

In High Life non ci sono confini né guardie: a controllare gli impulsi animaleschi dell’equipaggio solo tranquillanti e sesso. Il riscatto artificiale alla componente istintuale dell’essere umano è il fine biologico dell’atto sessuale, la riproduzione artificiale e innaturale che si consuma -senza consenso- attraverso la violenza carnale e psicologica.

Il Monte di Robert Pattinson è la ricompensa alla disfunzionalità dei rapporti umani, la reazione astensiva a quella disumanità umana che impone la sua natura e ne fa atto costitutivo del mondo. L’amore è prospettiva: l’errore che siamo stati, la resistenza che siamo, il progetto che saremo.


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25, Roma | Scrittrice, giornalista, cinefila. Social media manager per Cinesociety.it dal 2019, da settembre 2020 collaboro con Cinematographe per la stesura di articoli, recensioni, editoriali, interviste e junket internazionali.
Dottoressa Magistrale in Giornalismo, caposervizio nella sezione Revisioni per NPC Magazine, il mio anno ruota attorno a due eventi: la notte degli Oscar e il Festival di Venezia.

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