Che Richard Linklater fosse un abilissimo narratore di umanità era già noto da tempo. Che il cinema fosse il suo strumento per canalizzare il pensiero, psicanalizzandosi in storie di identità, tempo e progettualità era una verità che non necessitava di ulteriori conferme. Ma Hit Man rimescola ancora le solite carte, cambiando nuovamente il suo allestimento estetico. È tutto insieme ed è tutto nel giusto gradiente: commedia sofisticata, noir e thriller sono amalgamati con scaltrezza in un film, Fuori Concorso al Festival di Venezia, che fa divertire la sala e si guadagna applausi e plausi convinti.
Una storia quasi vera
Le premesse sono fattuali: il cartello su cui si apre ci dice che Hit Man racconterà una storia quasi vera, e in quel quasi c’è sintesi e piglio di un’intera e imbrogliata narrazione. Perché sui titoli di coda la domanda sorgerà spontanea: dov’è l’oggettivo della nostra realtà?
Gli Hit Man sono i sicari assunti per eliminare i problemi delle persone, mere fantasie rafforzate da un universo cinematografico riesumato sullo schermo da un montaggio rapido dei suoi pilastri più celebri. Gary Johnson (Glen Powell) è ordinario. Ha un matrimonio finito alle spalle, due gatti e un minuscolo tavolo in soggiorno che grida solitudine e assenza di prospettive. Insegna all’università e collabora in segreto con la polizia, dietro le quinte della messa in scena che si serve di quegli stessi sicari per incastrare i loro mandanti.
Poi la sua vita subisce una svolta, il suo lavoro una promozione e di ordinario non rimane più nulla. Cambia nome, postura, atteggiamento e personalità. Diventa l’Hit Man: multiforme e viziato dal brivido attraente del poter reinventare continuamente il suo soggettivo teatro umano, entrando e uscendo con spirito elettrizzato tra logica e istintività, fino a finirci incastrato.
Hit Man, in prospettiva soggettiva
Linklater fa del suo Hit Man un brillante gioco di ruoli, tutto orbitante intorno a un concetto mutevole di identità. A diventare infiltrato Gary ci prende gusto, compendiando i quadri di individualità studiate al dettaglio e trasformandosi di volta in volta nell’uomo che ciascuno ha bisogno di trovarsi di fronte. È un conoscitore dell’animo umano, curioso e studioso della sua flessibile coscienza, e da quella riparte come strumento e come arma, mettendo in opera una drammaturgia interpretativa che si appoggia su un Powell in stato di grazia.
L’equilibrio è destinato a mutare molteplici volte e perdere definitivamente il suo asse quando con una delle sue clienti si rinsalda un rapporto di diversa natura. Ma in Hit Man non c’è equilibrio, tutto vortica a una velocità sferzante, ingarbugliandosi tra sottotrame e inter-relazioni e filando liscio in una scrittura che sa essere esilarante, allusiva e sempre intelligente. Hit man è moralmente scorretto e profondamente umano nei medesimi istanti, è un humor incastonato sulla persuasività dell’idea che lo sostiene: la realtà è una questione di prospettive, narrazione integrata di soggettività in movimento. È scaltro nelle sue scelte, piacevole nella forma e ammiccante di sensualità, merito dell’irresistibile chimica tra Powell e Adria Arjona.
Linklater rimbalza continuamente dentro e fuori dal suo cortocircuito di maschere, spostandosi tra istinti e introspezione e chiudendo, nella sua intrigante partita a ping pong di continui campi e controcampi, un’opera truffaldina, che non può fare a meno di lasciarci provocatoriamente appesi alla nostra più atavica coscienza. Chi siamo davvero? E cosa potremmo essere?
Seguici su Instagram, Facebook e Telegram per scoprire tutti i nostri contenuti!
Non abbiamo grandi editori alle spalle. Gli unici nostri padroni sono i lettori. Sostieni la cultura giovane, libera e indipendente: iscriviti al FR Club!