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Hope, malattia e legami familiari nel film di Maria Sødahl

Un film intimo che affronta la malattia e la morte

5 minuti di lettura

E se la vita un giorno ti chiudesse la porta in faccia? E se la vita iniziasse ad avere una data di scadenza precisa e sempre più vicina? È da questi complessi presupposti che la regista norvegese Maria Sødahl costruisce il suo secondo lungometraggio Hope, uscito nel 2019 dopo dieci anni di pausa dal suo primo progetto e finalmente disponibile nelle sale italiane dal 12 maggio 2022

Hope è un film fatto di nuclei e intimità, di vita e morte che si incontrano e si legano, dove gli equilibri di una famiglia e di una relazione vengono spostati e messi in discussione da una notizia inaffrontabile, da qualcosa di estremamente difficile da gestire e riuscire a controllare.

Un viaggio verso la morte

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Anja è una direttrice teatrale e vive insieme al compagno Tomas (un ottimo Stellan Skarsgård) da cui ha ereditato il bene e le responsabilità dei suoi tre figli grandi avuti dal precedente matrimonio e con cui successivamente ha avuto altri tre splendidi figli.

Una famiglia grande ed eterogenea, dove grandi e piccoli vivono e condividono gli stessi spazi, dove il silenzio non esiste e una confusione gioiosa regna sovrana nell’enorme casa che condividono. Il suo lavoro, sempre più apprezzato all’estero, inizia ad allontanarla dal suo nucleo familiare e soprattutto la allontana maggiormente da un compagno molto più grande di lei e che sente sempre più lontano emotivamente e fisicamente.

La sua vita cambia totalmente quando il mal di testa che percepisce da un paio di settimane si tramuta in un cancro al cervello incurabile, conseguenza del cancro ai polmoni avuto e superato l’anno prima. Uno shock inaspettato per Anja, che sente la sua vita crollare e sgretolarsi davanti a lei, un macigno enorme per lei e chi le vuole bene, per il futuro dei suoi figli e del compagno che le sta accanto. Inizia così un viaggio contro il tempo, contro una malattia logorante, incontri con infiniti medici, incontri con speranze nascoste e verità laceranti, un percorso verso l’accettazione e verso ciò che non era stato ancora affrontato. 

L’importanza di unire i puntini

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Hope scava dentro una situazione limite per portare i protagonisti in una zona dove è più facile riflettere e mostrare problematiche sociali e criticità relazionali. Il film si focalizza totalmente su Anja e Tomas, sulle loro diverse prospettive e su come il loro rapporto evolve e cambia dopo il trauma che li colpisce.

Da un lato una donna che percepisce svanire la propria vita, che realizza ciò che le sta succedendo in modo graduale e lento, che esplode piano piano e senza picchi, solo una lenta e inesorabile accettazione di qualcosa che non si può accettare.

Dall’altro lato un uomo che invece di perdere la propria vita sta perdendo una parte di sé, che non riesce a capire come comportarsi e come poter dare conforto alla sua amata, che non sa come accettare il fatto di restare solo. E in mezzo a questi due lati inconciliabili emergono le verità mai dette, le cicatrici tenute nascoste per anni, perché avere una data di scadenza e la porta della morte sempre più vicina costringe a chiudere le porte della vita lasciate aperte, a liberarsi di ogni sovrastruttura tenuta in piedi per il bene di qualcun altro. 

Hope è un film che spinge a unire i puntini che si sono lasciati indietro, ad affrontare invece che nascondere, Hope è un film che supera il concetto di malattia e di morte per spingere verso la vita, verso ciò che più fa stare bene parlando e affrontando ciò che più fa male.


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Il cinema e la letteratura sono gli unici fili su cui riesco a stare in equilibrio. I film di Malick, Wong Kar Wai, Jia Zhangke e Tarkovskij mi hanno lasciato dentro qualcosa che difficilmente riesco ad esprimere, Lost è la serie che mi ha cambiato la vita, il cinema orientale mi ha aperto gli occhi e mostrato l’esistenza di altre prospettive con cui interpretare la realtà. David Foster Wallace, Eco, Zafón, Cortázar e Dostoevskij mi hanno fatto capire come la scrittura sia il perfetto strumento per raccontare e trasmettere ciò che si ha dentro.

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