Giovani, giovani, giovani! Quelli che scopano, quelli che bevono, quelli che fanno festa. Ma anche quelli che si sentono insicuri, che non capiscono cosa vogliono, che si perdono cercando il divertimento. In How To Have Sex, la regista e sceneggiatrice Molly Manning Walker vuole raccontare di uno stato d’animo molto comune tra i giovani, la sensazione di non capire perché non ci si sta divertendo, mentre tutti intorno sì; uno stato tipico, che poi si ripercuote in decisioni infelici. Tutto però in un film che si perde anche lui nel marasma di luci neon, musica dance/elettronica tipo Future Bass e brocche di angelo azzurro.
Una vacanza che deve essere indimenticabile
How to Have Sex racconta di 3 ragazze che fanno una vacanza in una località marittima. Il luogo è una sorta di Riccione/Cattolica, quindi un posto frequentato da giovani che fa delle discoteche e dei locali il suo core business. Le nostre tre protagoniste hanno piani precisi su questa vacanza: vogliono ubriacarsi, perdere la verginità, ballare e far di questa la “migliore vacanza della loro vita”. Faranno amicizia con un gruppo di ragazzi più grandi, che diventeranno i compagni di ogni loro serata.
Dopo un po’, Tara (Mia McKenna-Bruce), la più intraprendente del trio, si accorge che forse non si sta divertendo così tanto, che forse non è esattamente il suo posto, che le cose non sono come lei se le aspettava.
In How to Have Sex, Molly Manning Walker, regista inglese classe ‘93 al suo esordio, intende approfondire due tematiche: per primo, uno stato che la stessa regista afferma di aver provato, quello appunto dell’inadeguatezza, del sentirsi lontani dal contesto che in teoria dovrebbe essere vicino; in secondo luogo, di come le scelte fatte in una vacanza, soprattutto se in piena adolescenza, si possono ripercuotere sulla propria vita. Il primo aspetto viene scandagliato a fondo, il secondo pare lasciato un po’ al ragionamento dello spettatore.
L’autrice non vuole dare visioni morali o giudizi, semplicemente racconta di un vissuto, di una situazione tipica. Le premesse sono interessanti, se non fosse che, dopo una serie di sequenze assai simili tra loro, How to Have Sex, porta a una grandissima domanda, a un quesito tanto semplice quanto rivelatore: “sì, e quindi?”.
In una trama abbastanza persa tra mille scene di feste e con tre protagoniste di cui sappiamo pochissimo, una volta che How to Have Sex delinea il discorso principale, non va più in profondità, semplicemente ripete sé stesso. È come se soffrissimo sempre una mancanza, come se ogni volta stesse per succedere qualcosa, che però non succede mai. Può non essere un male per qualche spettatore che, facendosi bastare la sensazione di empatia e di “rispecchiamento” nella protagonista, vedrà una storia che racconta di un vissuto comune. Tuttavia, qualcosa non torna.
Forse la sensazione di mancanza è data dalla banalità della partenza: è la storia di 3 adolescenti che vogliono scopare e ubriacarsi, e questo già fatica a presentarsi come originale; forse, invece, il problema è dato dalla ripetitività stessa del film (risvegli in hotel, feste in piscina, serate in discoteca, gente che vomita).
Forse sono alcune scelte francamente poco ispirate (come You & Me – Flume Remix su un rallenty di una festa in piscina, una scelta di stile che rimanda a spot da pagina social di locali della costiera romagnole); forse è la caratterizzazione delle tre protagoniste, vuote e sconosciute nonostante ben interpretate.
Tre ragazzine che si raccontano ragazze
Va spesa qualche riga in più su questi tre personaggi. Le protagoniste di How to Have Sex sono le tipiche adolescenti che vogliono star sveglie fino all’alba per ubriacarsi, ballare ed essere sensuali, vestirsi sexy e scomode, conquistare ragazzi e ridere, ridere ancora e far ridere.
Sono tipiche, forse troppo tipiche. Certo, questo può rendere più facile l’identificazione dello spettatore, ma le rende anche nessuno, possono essere chiunque perché loro sono chiunque. La narrazione non delinea i loro caratteri, li accenna ogni tanto, ma sembra un voler aggiungere un po’ di pepe piuttosto che dare sostanza. Non aiuta che, per la maggior parte del tempo, i loro dialoghi siano battute di circostanza, risate e poco più.
Il nocciolo di How To Have Sex è chiaro, il resto poco
Nel finale, sembra che i nodi stiano venendo al pettine, che qualcosa di veramente grosso stia per esplodere. Ma il tutto si conclude in un’onda di felicità disarmante e annullatrice. Qualcosa manca, più di una cosa.
Ciononostante, How to Have Sex non è un brutto film. La protagonista Tara racconta molto dell’adolescenza, soprattutto nel suo non dire, nella sua volontà di apparire, nei suoi dubbi e nella sua poca forza di reagire a quello che il contesto le consiglia. Tutti si sono sentiti, e si sentiranno, come Tara almeno 10 volte nella vita.
Il grande problema è che non si capisce dove o cosa la regista volesse fare oltre a raccontare l’adolescenza. Una volta raccontato il nocciolo, non si comprende cosa farsene della storia del film.
Soprattutto visto il paradosso di fondo, a cui è molto difficile dar risposta e che è racchiuso nella scelta dell’argomento chiave: perché uno spettatore dovrebbe trovare interesse a guardare in un film uno stato d’animo che ha provato più volte, specie se rappresentato senza sfumature particolari? Conosce già quella sensazione. Così, con personaggi comuni e poco caratterizzati, il massimo che si può trovare è un rispecchiarsi in loro.
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