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I Racconti dell’Orso, quando l’immagine sovrasta la parola

Un film nato da un viaggio e plasmato dalle immagini di un mondo fuori dal tempo

5 minuti di lettura

I Racconti dell’Orso non è altro che cinema ridotto al suo nocciolo, capace di raggiungere la sua essenza più semplice e diretta. Due amici registi, Samuele Sestieri e Olmo Amato, raccolgono dei soldi tramite crowdfunding, partono per un viaggio di quaranta giorni che parte dalla Finlandia e finisce nel punto più a nord della Norvegia e tornano con un film tra le mani.

I Racconti dell’Orso, presentato nel 2015 alla 33° edizione del Torino Film Festival e ora disponibile in streaming su MUBI, è il risultato di un esperimento estremo, di un percorso che tende verso il raggiungimento di un’oasi primitiva. Un lungometraggio di poco più di sessanta minuti senza una sceneggiatura precisa che si è costruita con l’avanzare del viaggio, con solo una camera digitale e due persone sia dietro che davanti alla macchina da presa. Il primo film dei due giovani registi italiani (Samuele Sestieri poi nel 2021 ha scritto e diretto in solitaria il film fantascientifico Lumina) rinuncia all’uso della parola per muoversi nel terreno dell’immagine, nel luogo che solo la fantasia e la fanciullezza riescono a raggiungere.

Una storia dentro il sogno di una bambina

I racconti dell'Orso

I Racconti dell’Orso ha però al suo interno anche un sottile impianto narrativo: una macchina si muove lungo una strada luminosa immersa nella natura, due uomini parlano dell’Italia e sul sedile posteriore una bambina si addormenta mentre guarda fuori dal finestrino. Da quel momento in avanti si apre il film, che si immerge nel mondo dei sogni e nell’inconscio incontrollato della bambina.

Tra i paesaggi meravigliosi e suggestivi dell’Europa del nord uno strano robot e uno stravagante uomo in rosso si incontrano incrociando così i loro destini. Si annusano come due animali, si inseguono, si confrontano in una lingua fatta di suoni e incontrano un peluche che li costringe a unire le forze per curarlo e farlo crescere.

I tre personaggi strambi e atipici però non sono gli unici protagonisti del sogno, ma è lo sfondo su cui loro interagiscono a essere il centro gravitazionale su cui orbita attorno una storia di formazione costruita in piccoli capitoli che delimitano in recinti una storia fluida e dinamica, priva di punti fermi. I veri protagonisti sono l’acqua, la luna, la nebbia, la foresta, una natura incontaminata che domina un mondo ormai vuoto e silenzioso, un mondo estraneo allo scorrere del tempo e fuori dallo spazio conosciuto.

I Racconti dell’Orso è una storia plasmata da un viaggio

I racconti dell'Orso

I Racconti dell’Orso è parola che si trasforma in immagine, idea che si traveste da simbolo tangibile, un viaggio guidato dal percorso, non deciso a priori e lasciato libero di mutare e plasmarsi a seconda del caso e del destino. Samuele Sestieri e Olmo Amato si sono messi in gioco davanti e dietro la cinepresa, hanno costruito un film con nulla dal nulla, materia cinematografica che si forma non dalle parole ma dalle sensazioni. 

I Racconti dell’Orso erige un immaginario onirico e fantastico tramite la saturazione di un’immagine già ai limiti del sogno e una regia che segue sia da vicino sia da lontano i suoi personaggi e le loro interazioni inumane. È tramite una messa in scena così particolare che il film riesce in una sola ora a indagare il tema della fanciullezza e della sua innocenza, della cura, dell’amicizia, della perdita di qualcosa di prezioso, un racconto che quindi riesce a far abbracciare e unire il bambino all’adulto, un’esperienza di formazione a un esperimento più complesso e sfaccettato. 

I Racconti dell’Orso è un piccolo miracolo produttivo nel panorama italiano, un esempio di come il cinema possa ancora essere fatto semplicemente da una telecamera e il moto creativo di due persone.


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Il cinema e la letteratura sono gli unici fili su cui riesco a stare in equilibrio. I film di Malick, Wong Kar Wai, Jia Zhangke e Tarkovskij mi hanno lasciato dentro qualcosa che difficilmente riesco ad esprimere, Lost è la serie che mi ha cambiato la vita, il cinema orientale mi ha aperto gli occhi e mostrato l’esistenza di altre prospettive con cui interpretare la realtà. David Foster Wallace, Eco, Zafón, Cortázar e Dostoevskij mi hanno fatto capire come la scrittura sia il perfetto strumento per raccontare e trasmettere ciò che si ha dentro.

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