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I Sette Samurai superano la prova del tempo

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10 minuti di lettura

Settant’anni arrivava sul grande schermo I Sette Samurai di Akira Kurosawa, un dramma storico denso di azione e tensione ambientato nel Giappone del XVI secolo, per i più esperti l’era Sengoku, un periodo di conflitti interni che non lasciava scampo a nessuno: bande di briganti e ronin assaltavano i villaggi di contadini e i pochi che resistevano e sopravvivevano ricorrevano a metodi spregiudicati e violenti per difendere le famiglie e il raccolto. Se non riuscivano a difendersi dalle minacce da soli, partivano alla volta delle città per reclutare guerrieri senza padrone e mercenari che difficilmente accettavano gli incarichi per un pugno di riso o per ridare lustro al proprio nome.

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La storia raccontata da Kurosawa in I Sette Samurai, è una storia diversa per il tempo. Nel film, un samurai rinuncia al suo orgoglio e chiama a sé altri sei guerrieri per difendere un villaggio, mosso da spirito di compassione e solidarietà verso i più deboli: i suoi compagni di ventura si spingeranno oltre l’estremo sacrificio per eliminare la minaccia nemica e scopriranno che c’è un altro mondo oltre a quello della guerra e del bushido che fa di tutto per resistere e per sopravvivere alle avversità del tempo.

I Sette Samurai è sia una pellicola d’azione amata dai cinefili sia un cult osannato e omaggiato in tanto cinema hollywoodiano e non. È un kolossal che resiste alla prova del tempo proprio per il suo modo di raccontare l’azione e i personaggi attraverso la scrittura e la macchina da presa tipiche di Kurosawa.

I Sette Samurai, un kolossal dalla produzione travagliata

i sette samurai, uomini sotto la pioggia in un villaggio contadino

Akira Kurosawa affrontò alcune sfide durante la produzione di I Sette Samurai, sfide che ostacolavano la realizzazione del film stesso. La sceneggiatura, ad opera dai soci Hideo Oguni e Shinobu Hashimoto (con il quale Kurosawa scrisse il precedente Rashomon), prevedeva un numero inferiore di protagonisti e solo in seguito ai casting degli attori – specialmente quello del giovane Toshiro Mifune – si completò la storia dei sette guerrieri.

Alcuni attori, tra cui Seiji Miyaguchi, l’interprete dell’abile spadaccino Kyuzo, si sottoposero a estenuanti e faticose lezioni di spada poiché non avevano esperienza con la scherma. Kurosawa, infatti, voleva ricreare il villaggio e i costumi dell’epoca, dalle capanne alle ciabatte di paglia, per essere più fedele al periodo storico, convinto che gli attori potessero dare il meglio essendo calati in un contesto autentico.

La produzione sostenuta dalla Toho (che nello stesso periodo finanziava anche Godzilla) subì due arresti, con slittamenti di sequenze decisive: la battaglia doveva essere girata nel periodo estivo ma fu girata nel febbraio dell’anno successivo perché mancavano i cavalli; in più, dovettero girarla in un clima gelido, con tre macchine che riprendevano ogni tipo di angolo e movimento all’interno del set a seconda dell’azione in scena, in maniera tale da non catturare per più di una volta gli stessi movimenti. Di notte, si potevano così montare i giornalieri. Un metodo del genere è definito “da guerrilla” ed è raramente usato dalle produzioni odierne, sia indie che non.

Non c’è cinefilo che nella sua classifica non annoveri I Sette Samurai tra i film che bisogna guardare almeno una volta nella vita e non c’è filmmaker che non lo citi tra i fondamentali per imparare a girare: lo stile di Kurosawa è attuale, perché segue i protagonisti e sottolinea la loro centralità nella storia. Le fughe dei contadini e le corse durante la battaglia sono longtake che calano lo spettatore nel ritmo dell’azione e le inquadrature d’insieme dei protagonisti risultano magistrali per i tagli di luce e la profondità di campo, che dà un rilievo più teso e drammatico nei dialoghi tra i personaggi e una gerarchia precisa all’interno del quadro.

Kurosawa fa sue le tecniche del cinema classico e le piega al suo volere.

I Sette Samurai, eroi e mondi a confronto

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Più che una storia di cappa e spada, il cui genere in patria è conosciuto come chanbara, e un dramma storico, definito jidai-geki, Kurosawa vuole narrare una storia in cui riavvicina il mondo dei samurai a quello contadino in uno spirito scevro di orgoglio d’appartenenza ma ricco di solidarietà: in una scena introduttiva, il ronin Kambei rinuncia a un simbolo della sua casta per salvare un bambino rapito e il suo giovane allievo Katsuhiro s’innamora della giovane contadina Shino, nonostante le paure e l’iperprotettività del padre.

Davanti alle ostilità l’unica soluzione è unirsi, indipendentemente dall’appartenenza: lo stesso Kikuchiyo, figura antieroica del guerriero, riunisce i due mondi e trova il suo riscatto sociale nell’addestrare i contadini e nelle missioni di avanscoperta. Indimenticabile l’interpretazione di Mifune, che appare scanzonato, rozzo e comico rispetto all’atteggiamento serafico e contenuto dei suoi colleghi, specialmente nel monologo sui contadini che riflette la tragicità e l’ambiguità del suo personaggio.

L’unione tra il mondo contadino e quello guerriero è sancita dalla filosofia morale e dal comportamento giapponese incarnati da ognuno dei sette guerrieri: Kambei rappresenta la saggezza, Katsuhiro la generosità e l’entusiasmo della giovinezza, Kyuzo la concentrazione ascetica, Heihachi la giovialità, Gorobei l’astuzia e il buon senso, Shichiroji l’umiltà e infine Kikuchiyo l’audacia e il coraggio di combattere contro lo scoramento e la rassegnazione. I valori che portano cambiano i contadini e li trasformano in una comunità più intraprendente e fiduciosa verso l’esterno.

Il tono epico fa in modo che i temi ricorrenti in I Sette Samurai non rimangano così superficiali ma che siano sentiti dallo spettatore come lezioni di vita. Il guerriero sa come reagire alle situazioni e reagisce apportando un significativo cambiamento nel suo mondo.

I Sette Samurai e l’eredità dei vinti

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I Sette Samurai offre una serie di lezioni su come condurre una storia e introdurre i personaggi: si dice che da questo film vengano i tipici tòpoi del cinema d’azione, si veda ad esempio la scena introduttiva del personaggio che mostra parallelamente la sua backstory, la sequenza di reclutamento del gruppo dei protagonisti principali e la scena della stesura del piano di battaglia. Hollywood e specialmente il cinema western hanno assorbito queste strutture di narrazioni tanto da riproporle nei remake del film e in altre “versioni” della storia.

John Sturgess trasporta il soggetto di I Sette Samurai nella terra di frontiera con I magnifici sette, la Pixar fa un’operazione simile con l’epico megaminimondo A Bug’s Life e ultimamente anche Zack Snyder si è ispirato a Kurosawa per la saga fantascientifica di Rebel Moon. In Giappone, oltre all’anime prodotto dallo studio Gonzo Samurai 7, Miike riprenderà lo stile e le sequenze di combattimento nel suo 13 Assassini.

Kurosawa porta in scena una vittoria di Pirro da parte di un gruppo di guerrieri di un’epoca remota i cui valori verranno ripresi in un contesto socio-economico in cui serviva rialzarsi e combattere di nuovo. Con I Sette Samurai riesce ancora oggi a ispirare generazioni di filmmaker e sceneggiatori che desiderano coniugare intrattenimento e temi profondi con un respiro epico. I samurai del film possono dichiararsi vinti, ma dal 1954 a ora hanno conquistato il nostro immaginario.


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Dal 1995 inseguo sogni e mostri. Che siano di plastilina o di pixel. Quando mi fermo scrivo poesie, giro qualche video e se riesco mi riposo cucinando una torta di ciliegie con un buona tazza di caffè con il sottofondo di una colonna sonora sognante o il nuovo singolo delle KDA.

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