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IL CACCIATORE COPERTINA

Il Cacciatore, Michael Cimino ha raccontato davvero la guerra del Vietnam?

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7 minuti di lettura

È il 1978, l’America è ormai uscita dall’incubo del Vietnam, un periodo storico che ha lacerato il paese, forse come mai ha fatto e mai farà nella sua storia. Dopo anni in cui la rappresentazione del Vietnam è stata rilegata ai margini come un tabù impalpabile, il cinema inizia a portare sullo schermo la tragedia della guerra

Il Cacciatore, diretto da Michael Cimino, è il primo a farlo, subito seguito l’anno successivo da Apocalypse Now (Francis Ford Coppola, 1979).

IL CACCIATORE DE NIRO

Il Cacciatore, ultime tracce di quotidiano e un destino infausto

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I tre protagonisti Mike (Robert De Niro), Nick (Cristopher Walken) e Steven (John Savage) lavorano in un’acciaieria in Pennsylvania. Tutto il primo atto del film Il Cacciatore è uno scorcio realistico sul microcosmo di questi personaggi, che presenta elementi di connotazione sociale ed etnico-culturale (working class e figli di immigrati). Ciò interviene a dipingere una dimensione più spiccatamente popolare, oltre che evidentemente umana. Il Cacciatore ha un passo lento e cala lo spettatore in un quotidiano languido e pronto a sgretolarsi, guastato da un addio inevitabile e da un ritorno impossibile.

Impossibile perché c’è chi muore e non torna, impossibile perché anche chi torna non è più lo stesso. Già questo primo atto porta quindi il sentore di un destino infausto, le celebrazioni e i momenti di festa non sembrano che un ultimo grande rito di addio da cui emergono preoccupazioni (“Hey Nick, think we’ll ever come back?”) o sequenze che portano il segno misterioso di ciò che li aspetta: un berretto verde che si aggira per la festa di matrimonio come fosse un fantasma e le gocce di vino che, come un cattivo presagio, macchiano il bianco dell’abito da sposa, idealmente come il sangue che corrompe l’anima innocente dei personaggi.

La macchina da presa scorre lenta nelle zone industriali, sui paesaggi rurali e sulle montagne innevate, e tutto restituisce un senso di calma quotidiana e di stasi che è destinato a persistere, mentre a mutare sarà l’interiorità dei personaggi.

Il Cacciatore e la mistificazione della guerra

IL CACCIATORE ROULETTE RUSSA

Il secondo atto rompe l’ordine della prima parte e trascina bruscamente i personaggi in una realtà brutale. Su questo punto, soprattutto se si pensa al periodo di uscita, si avvinghiano una serie di polemiche riguardo il racconto che Il Cacciatore fa della guerra da un punto di vista storico, tacciato di mistificazione e di diventare un luogo ideologico per emendare l’America dalle sue colpe.

Tuttavia, con il tempo, Il Cacciatore ha raggiunto lo status mitico di capolavoro, ed è considerato da molti la vetta del cinema di Michael Cimino e uno dei più grandi film della storia del cinema tutto. Nelle riletture della critica, nel tempo, si è ormai storicizzata una prospettiva sul film meno ideologizzata e più vicina a una dimensione visceralmente umana e interiore, cioè quella delle storie personali e private piegate dall’esperienza della guerra in Vietnam.

La prigionia, i protagonisti soggiogati dai diabolici viet cong, la roulette russa e altre invenzioni narrative del film non sono che rappresentazioni allegoriche e, anche se sicuramente “hollywoodiane” e lontane dalla realtà storica, non sono mai enfatiche e assumono il ruolo di rendere l’incubo dei personaggi tangibile, piuttosto che espiare l’America e demonizzare il nemico. La roulette russa, in questo senso, non è altro che un rito simbolico in cui prendono forma la follia della guerra, l’irrazionalità e il dominio del caso.

Terzo atto: destini spezzati

IL CACCIATORE ROULETTE RUSSA

Il Cacciatore svela poi un terzo atto meravilgioso, capace di scavare a fondo nei recessi di quell’umanità ferita. Il ritorno a casa, immaginato come un rassicurante porto franco, si trasforma in un doloroso confronto con la realtà. La perdita delle illusioni è scolpita sul volto di Mike, le cui speranze sono state sgretolate dalla violenza e dalla brutalità della guerra. Le mutilazioni fisiche di Steven, che ha sacrificato parte di sé in nome del dovere, diventano il simbolo tangibile dei traumi che tutti i reduci portano con sé.

La morte di Nick, il cui destino è segnato dal trauma della guerra, rappresenta il tragico e commovente epilogo di un’amicizia spezzata dai campi di battaglia, nonché simbolo dell’America e del suo raptus autodistruttivo. Mike, intatto fisicamente, è tormentato dalla sua distanza emotiva, incapace di connettersi veramente con coloro che ama. In questo quadro cupo, l’incomunicabilità dei personaggi emerge come un ostacolo insormontabile. Le parole sembrano inadeguate a esprimere la complessità delle emozioni vissute e il divario tra ciò che si prova e ciò che si può dire sembra una voragine incolmabile (“I feel a lot of distance, and I feel far away”).

L’inevitabile confronto con la realtà post-bellica diventa un terreno minato di silenzi e sguardi vuoti. L’ultima sequenza de Il Cacciatore, accompagnata dai personaggi che intonano “God Bless America“, agisce come una sorta di canto tragico. La canzone, carica di simbolismo patriottico, si trasforma in un’eco amara della promessa di prosperità e libertà. Tuttavia, nel suo risonare, si intravedono anche nuove speranze: nonostante le ferite profonde e le perdite irrimediabili, c’è ancora spazio per la rinascita e la ricostruzione. È un commovente inno alla resilienza umana, capace di sorgere anche dalle ceneri di un passato distruttivo.


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Classe 1998, nato a La Spezia. Laureato in Discipline dello Spettacolo e della Comunicazione a Pisa e attualmente studente di Cinema, Televisione e Produzione Multimediale a Bologna. Sono appassionato di cinema sin da piccolo e scrivere mi aiuta a fare chiarezza su ció che guardo (quasi sempre).

1 Comment

  1. BRAVISSIMO MATTEO,
    LA GUERRA UCCIDE ANCHE CHI TORNA A CASA E NON SARA’ MAI PIU’ LO STESSO.
    COME BEN DESCRITTO IN UNO DEI MIEI LIBRI PREFERITI “NIENTE DI NUOVO SUL FRONTE OCCIDENTALE” .
    EPPURE L’UMANITA’ NON HA IMPARATO NULLA . PECCATO!
    GRAZIE
    ALESSANDRA
    .

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