fbpx
cinema ritrovato

Il Cinema Ritrovato: Cose (mai) Viste

/
11 minuti di lettura

Ogni anno a Bologna l’estate comincia davvero solo quando accompagnata da due cose: l’invasione delle cicale e l’inaugurazione della nuova edizione del Cinema Ritrovato, il più importante festival di restauro cinematografico d’Europa, se non del mondo intero. Quest’anno alla sua trentasettesima edizione, il festival nasce per divulgare e mostrare al pubblico film recentemente recuperati da un qualche archivio oppure restaurati per poter essere apprezzati al pieno delle loro possibilità.

Per ogni edizione il programma cresce e si gonfia delle più disparate offerte: ospiti illustri (giusto per citarne alcuni di quest’anno Luca Guadagnino, Joe Dante, Ruben Ostlund, Wim Wenders) a presentare film selezionati, intere giornate dedicate all’esplorazione di frammenti di film salvati dall’oblio, re-visioni di cult e classici, rassegne a tema e retrospettive su singoli registi o attori. Ebbene, in mezzo a tutta quest’ampia offerta è facile sorvolare sui film “minori,” magari meno conosciuti o pubblicizzati: è per questo che abbiamo deciso di raccontarvi, omaggiando Enrico Ghezzi ed il suo storico programma Cose (mai) Viste, alcune delle pellicole più interessanti fra quelle meno famose presentate quest’anno al Cinema Ritrovato.

Schivando gli omaggi ad Anna Magnani, Rouben Mamoulian e Teinosuke Kinugasa presentati durante l’ultima edizione e ampiamente documentati da chi vi ha partecipato, vogliamo proporvi cinque titoli semi-sconosciuti e internazionali, capaci di farvi vivere esperienze cinematografiche uniche e di cui sentirete parlare solo qui.

Morte in Vacanza (Macario), 1960

Cinema Ritrovato

Morte in Vacanza di Roberto Gavaldòn è stata una delle sorprese più inaspettate del Cinema Ritrovato 2023. Primo film messicano a essere stato candidato agli Oscar, Macario racconta dell’omonimo protagonista e della sua fame insaziabile: l’uomo, onesto lavoratore, vive in assoluta povertà con la famiglia e si toglie, letteralmente, il pane di bocca per sfamare i figlioletti. Tutto questo cambia quando incontra il Tristo Mietitore che gli concede il potere di curare tutti i malati.

La struttura di Macario segue di pari passo quella della fiaba più classica, variandone solo in parte l’estetica e il tono: da un lato non si può rimanere indifferenti davanti alla bellezza dei set e dei costumi messicani e dall’altro il grottesco e il fantastico della fiaba vengono soltanto tinti di nero, resi più cinici e schietti, in un complesso gioco di equilibri tra il magico e l’inquietante. Emoziona, stupisce, disturba. Come se non bastasse, al “realismo magico” di Gavaldòn si aggiunge una componente di denuncia sociale degna del miglior Buñuel, forte anche delle stesse invenzioni visive oniriche del regista spagnolo.

Una fiaba nera in tutto e per tutto, nella quale la Morte sovrasta qualunque cosa, tanto i set stessi, straripanti di iconografie e sinistri addobbi per il Dia de Los Muertos, quanto la storia in sé, completamente orchestrata da una morte burattinaia che inscena uno spettacolo di burattini umani.

Terra Amata (Cry, The Beloved Country), 1951

Cinema Ritrovato

Adattamento dell’omonimo libro di Alan Paton, Terra Amata è diretto da Zoltan Korda, uno dei registi britannici che in maniera più prolifica volse lo sguardo all’ampio impero britannico dell’epoca: i suoi film trovavano ambientazioni folgoranti lungo tutte le colonie e si approcciava alle vite degli autoctoni con compassione e simpateticità.

Sviluppato in Sudafrica in pieno Apartheid, il film segue le vicende di due padri, un ricco proprietario terriero bianco ed un prete della comunità nera, che devono confrontarsi con le diverse scelte di vita dei rispettivi figli. Korda pone subito enfasi sulla terra come tacito testimone dei soprusi ai quali i suoi figli sono sottoposti, come martire scarnificato e a sua volta torturato: quando la terra viene abbandonata sia dallo stato che dalla chiesa, niente può salvare le persone comuni dal proprio inutile martirio.

Eppure, il film non riuscì a convincere il Sudafrica dei propri errori, come altre pellicole fecero invece in diverse parti del mondo: l’Apartheid durò fino al 1990. Guardando Terra Amata si ha la netta sensazione di star vedendo un film che avrebbe fatto la storia, fosse la storia stessa stata pronta a cambiare.

Ishanou, 1990

Cinema Ritrovato

Ishanou, diretto da Aribam Syam Sharma, non è solo un film indiano: è un film Manipur. L’India, da noi occidentali vissuta esclusivamente come la terra dei canti e dei balli di Bollywood, è una delle realtà culturali più complesse al mondo; fra 23 lingue parlate e più di 2.000 dialetti, tradizioni radicalmente diverse le une dalle altre e specificità culturali a noi aliene, l’India è quanto di più sfaccettato possa esistere.

Nello specifico caso di Ishanou, si parla dunque della cultura di Manipur, una regione nordorientale del paese, nella quale un gran numero di fedeli prega e onora le Maibi, gruppo di sacerdotesse dedite alla danza ed al canto di rituali sacri. La protagonista del film si trova di colpo posseduta dalla dea cara alle Maibi e diventa la sua, appunto, ishanou (prescelta), abbandonando marito e figlia.

Quello che più colpisce è come la musica e una generale attenzione al sound-design riescano ad evocare reazioni primitive anche nello spettatore, sentimenti quasi inspiegabili, per cui parrebbe quasi che il film stesse a sua volta possedendo chi lo guarda. Non si tratta certo delle colorate coreografie di Bollywood, ma la centralità dei canti e della musica continua a dominare il cinema indiano, in questo caso in veste di ritualistica magia cinematografica.

Segni Particolari: Nessuno (Rysopis), 1960

Cinema Ritrovato

Il debutto del regista polacco Jerzy Skolimowski, che da ultraottantenne ha ottenuto una candidatura all’Oscar per miglior film straniero soltanto l’anno scorso col suo EO, è poco più che un esperimento, almeno dal punto di vista formale: regia e narrazione sono acerbe, la prima creativa ma sregolata, la seconda praticamente assente, eppure il film già contiene tutte le tematiche che renderanno Skolimowski uno dei nomi più importanti della Nouvelle Vague Polacca.

Il rapporto fra il corpo e lo spazio in cui esso si trova, fra la carne e i materiali industriali, fra il singolo e la collettività: tutto Rysopis si muove cercando di esplorare le relazioni che legano il corpo umano, le sue ferite e i suoi movimenti al mondo che lo circonda, arrivando persino ad intavolare riflessioni meta-cinematografiche circa il rapporto fra la macchina da presa stessa e i corpi che ritrae, a tratti sezionati da inquadrature ravvicinate, a tratti imprigionati da enormi campi lunghi.

Se le elucubrazioni di Skolimowski iniziano con Rysopis, procedono poi nei successivi Barriera e Walkover, per poi essere consacrate alla storia del cinema col capolavoro controcorrente Il Vergine e i successivi film internazionali del regista, da L’Australiano allo stupendo Moonlighting. Rysopis non è forse un film per tutti, ma è di sicuro il manifesto di uno dei più importanti autori di sempre del cinema europeo.

Stranger and the Fog (Gharibeh va Meh), 1976

Cinema ritrovato

Stranger and the Fog, film iraniano diretto da Bahram Beyzai, è una delle esperienze più memorabili di questa edizione del Cinema Ritrovato: fra le pellicole più rare ed al contempo più stranianti a essere prodotte nell’Iran degli anni 70, il film riesce a intercettare e prevedere di un paio di anni la rivoluzione iraniana che sconvolgerà gli equilibri del paese.

Uno straniero arriva dal mare nei pressi di un villaggio di pescatori isolato dal resto del mondo: non ha memoria, ma sente di essere inseguito da qualcuno. La sua nuova vita nel villaggio viene segnata in primo luogo dalla diffidenza degli abitanti, che lo considerano un cattivo presagio, e poi dalla paranoica attesa legata ai suoi fantomatici inseguitori. Ciò che più colpisce di Gharibeh va Meh è come l’atmosfera restituita da una regia capace di giocare coi tempi d’attesa, da musiche autoctone, da una fotografia curatissima nella sua perenne foschia, riesca a trasmettere la sensazione di osservare un pianeta alieno.

Lo straniero sembra più un “uomo caduto sulla Terra” che un naufrago, il mare ricoperto di nebbia da cui proviene ricorda quasi lo spazio siderale e la sua insondabile “totale assenza”: non vi è nulla oltre il mare, anche solo pensare che ci possa essere qualcosa risulta inammissibile per il piccolo pianeta sul quale abitano i pescatori di questa storia. Mescolando l’apocalittico procedere del tempo e lo straniante interfacciarsi di “alieni”, l’inevitabile esplosione di violenza non risulta comunque essere la parte più disturbante del film, che invece riesce ad ipnotizzare grazie alla sua capacità di fare appello alla paura più umana e profonda di tutte: quella dell’ignoto.


Seguici su InstagramTikTokFacebook e Telegram per sapere sempre cosa guardare!

Non abbiamo grandi editori alle spalle. Gli unici nostri padroni sono i lettori. Sostieni la cultura giovane, libera e indipendente: iscriviti al FR Club

Appassionato e studioso di cinema fin dalla tenera età, combatto ogni giorno cercando di fare divulgazione cinematografica scrivendo, postando e parlando di film ad ogni occasione. Andare al cinema è un'esperienza religiosa: non solo perché credere che suoni e colori in rapida successione possano cambiare il mondo è un atto di pura fede, ma anche perché di fronte ai film siamo tutti uguali. Nel buio di una stanza di proiezione siamo solo silhouette che ridono e piangono all'unisono. E credo che questo sia bellissimo.

Lascia un commento

Your email address will not be published.

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.