Nei primi 2 minuti e 30 secondi de Il Grande Caldo, Fritz Lang ci dà un esempio di grande cinema.
Un revolver è su una scrivania. Una mano maschile gli si avvicina lentamente. Si vede una nuca, la pistola viene fatta avvicinare alla tempia e il grilletto viene premuto: un uomo si suicida. Una donna scende le scale di corsa, si ferma di fianco ad un grande orologio a pendolo: pare sconfortata, non tanto sorpresa, più spaventata.
Si avvicina alla scrivania, ora si vede la sua nuca; lei osserva il tavolo, guarda la mano dell’uomo e nota una lettera da lui scritta: procuratore distrettuale Willard Firch, palazzo di Giustizia. La donna la apre, legge in pochi secondi, capisce qualcosa, prende il telefono vicino al cadavere dell’uomo e chiama un numero: cerca il signor Lagana.
Il Grande Caldo di Fritz Lang, un noir iconico fin dall’incipit
Il Grande Caldo, ormai 70enne, è l’esempio perfetto che racchiude l’anima del noir. Comprende, infatti, tutti gli elementi di questo genere, aggiungendo un grado di violenza molto forte per un film del 1953, in cui non si ha il solito detective pensieroso in una strada buia, ma un pragmaticissimo Glenn Ford che agisce, fa, prende in mano. Il tutto diretto da un Fritz Lang solido e rigoroso dentro alle meccaniche del genere, con una limpidezza sorprendente.
Fritz Lang (1890-1976) non ha bisogno di presentazioni, è noto che Godard lo definì “il simbolo stesso del cinema”; citazione non casuale visto che fu proprio il lavoro di Lang, insieme a quello di altri registi, a fornire l’ispirazione per creare quel circolo dell’Objectif 49, primo pezzo che portò poi alla nascita dei Cahiers du Cinéma nel ’51 e, successivamente, a quella politica degli autori in cui i giovani turchi mettevano Lang, insieme ad altri, al centro. Questo accadeva qualche anno prima e durante l’uscita di Il Grande Caldo.
Al momento di girare Il Grande Caldo, Fritz Lang si trovava negli USA da oramai 20 anni, scappato dalla Germania nazista nonostante lo stesso Joseph Goebbels lo volesse come dirigente nell’industria cinematografica tedesca. Famoso l’aneddoto in cui, durante una conversazione tra i due, Lang fece notare a Goebbels le proprie origini ebraiche e il ministro gli rispose: “Non faccia l’ingenuo, signor Lang, siamo noi a decidere chi è ebreo e chi no!”.
Lang ha sostenuto di avere inizialmente accettato l’offerta, ma di avere abbandonato la Germania la sera stessa, sospettando una trappola. In realtà, il regista avrebbe lasciato definitivamente Berlino quattro mesi dopo (oltre a Lang, nella comunità ebraica solo pochi nomi – del calibro di Max Reinhardt – ebbero la “fortuna” di ricevere offerte simili dai nazisti).
Il Grande caldo è un classico noir, con qualcosa in più
Lang aveva già alle spalle una serie di film made in USA formata da opere di grandissimo livello, come Il Prigioniero del terrore, La Donna del Ritratto e La Strada scarlatta. Tuttavia, Il Grande Caldo è un noir con un qualcosa di diverso, per esempio una maggiore carnalità, forse data dalla forte violenza che lo caratterizza; un maggiore vigore, dovuto probabilmente all’interpretazione di Glenn Ford, un attore che qui dimostra una capacità di variazione formidabile, dalla dolcezza del sincero padre di famiglia al poliziotto silenzioso dallo sguardo cagnesco.
O forse sono le figure femminili: manca una vera e propria femme fatale, c’è invece una serie di donne, motori della narrazione – come Gloria Grahame, interprete del personaggio con l’evoluzione più interessante.
L’elemento della detection è presente e centrale, contornato dai tipici bar, i soliti malviventi, i cappelli, le immancabili sigarette e le finestre socchiuse che popolano il genere noir. Tipica anche la discesa dell’eroe nei meandri della malavita, quella discesa che l’eroe è costretto a compiere per risolvere il caso, divenuto sempre più personale.
“Nessuna quantità di fiori basterà a coprire la puzza di questo posto” dice il protagonista a Vince Stone (Lee Marvin), ricco capo malvivente che riesce a controllare anche la polizia. E infatti la non libertà della polizia è uno degli elementi centrali della trama, uno dei motivi che porta il protagonista ad agire da solo, a seguire la pista che ha nonostante tutti gli dicano di non farlo.
Violenza inaudita, successo assicurato
I temi della doppia natura dell’uomo e del Male, tipici del regista, son ben presenti in Il Grande Caldo, rappresentanti dai personaggi oltre che nella narrazione in generale. Il film fu pensato e realizzato in assai poco tempo: la produzione della Columbia ci mise meno di un mese a scegliere il regista, le riprese durarono dal 14 marzo al 15 aprile del ’53 e la pellicola uscì nelle sale lo stesso anno. Nonostante la violenza esibita in Il Grande Caldo fu uno shock per molti spettatori, il film ebbe grande successo, sia di pubblico che di critica.
Le invenzioni di Fritz Lang, sia nel rappresentare che nel narrare, sorprendono ancora, sempre con una fluidità narrativa e ritmo serrati. Molto è quello che insegna un film così, molto un film così concede ancora oggi: il riuscire ad avere una storia piena e sfaccettata senza perdersi mai, o l’avere tempi concitati nonostante le inquadrature siano spesso fisse, cambiate lentamente, quasi sempre con movimenti di macchina in orizzontale e poco più.
Ma una cosa, forse, ricorda oggi Il Grande Caldo: essere grandi registi e fare grandi film vuol dire anche saper fare il semplice, una storia ben narrata e interessante, senza scoppi o estetiche incredibili. A volte, basta un semplice movimento di macchina ben piazzato a creare il movimento perfetto, come una macchina da presa che indietreggia lentamente dalla mano di un uomo di spalle, che ha appena preso una pistola e se la avvicina alla tempia. Non c’è nulla di più difficile che far sembrare la genialità facile.
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