Alla 70esima edizione del Festival di Berlino, Jeremy Irons ha consegnato l’Orso D’Oro al cast de Il Male Non Esiste di Mohammad Rasoulof. Un film definito dallo stesso Irons come “poetico e devastante”, sintesi perfetta di un ritratto che, dal 10 marzo 2022, traspone nelle sale italiane la drammaticità della contemporaneità iraniana, sfregiata dalla pena di morte. Si stima che nel 2020 siano state 246 le condanne capitali in Iran, aumentate a 250 nel 2021.
Con un’articolazione in quattro storie lungo un percorso filmico di due ore e mezza, Rasoulof alza il sipario su una quotidianità inevitabilmente intessuta con la morte. I volti umani si trasfigurano davanti al peso di una scelta binaria con cui devono rapportarsi. Si può accettare o contestare la crudele imposizione capitale, addossandosi la responsabilità e le conseguenze di un destino già scritto. Il prezzo è la vita, immolata alla legge o violata da un eterno senso di colpa.
Il Male Non Esiste: la maschera dell’accettazione
Il Male Non Esiste intesse un legame delicato quanto spiazzante tra quattro storie di ordinaria inquietudine. Il primo e il terzo capitolo (rispettivamente Il Diavolo Non Esiste e Compleanno) indagano le ferite, all’apparenza invisibili, di coloro che hanno scelto di accettare di porre fine a una vita. In apertura al film conosciamo Heshmat, padre di famiglia, uomo gentile di poche parole, fagocitato dal silenzio di due occhi spenti che nascondono un segreto riguardante il suo lavoro notturno.
L’intima dolcezza della sua routine quotidiana con la famiglia, ritratta con meticolosa attenzione in tutti i dettagli, ci consegna la maschera di un uomo e del suo dolore nascosto. Una storia di intensa umanità e sincerità, che incede con calma nell’apparente apatia di Heshmat fino al devastante colpo di scena finale, inferto come una lama nelle coscienze individuali. Lo stesso accade con Javad, giovane soldato protagonista della terza storia, pervaso dal lancinante senso di colpa per l’ordine che è stato costretto ad eseguire.
Javad vorrebbe solo godersi tre giorni di permesso dal servizio militare con la fidanzata Naanà, ma lo attende una scoperta traumatica. Una verità davanti a cui ci si chiede quanto pesi il valore di una scelta e quale forza debba trovare il perdono. L’amore così unisce e divide con una fragilità che non può superare l’affamato desiderio di libertà e giustizia.
Il destino di chi visse per amare
Nell’apparente ingenuità pop di un titolo di Tiziano Ferro affiora la più matura consapevolezza di un amore come rinuncia e condanna. Lo si legge nelle storie di Pouya e Bahram, protagonisti del secondo e terzo capitolo de Il Male Non Esiste (rispettivamente Lei ha detto: lo puoi fare e Baciami). Pouya è un soldato, costretto a decidere la fine della vita altrui per salvaguardare la propria. La sua sembra una scelta unidirezionale: gli garantirebbe la fine del servizio militare obbligatorio e tutte le possibilità ad esso legate.
L’ottenimento della patente, di un passaporto, della licenza per aprire una propria attività, di una libertà silenziata dal fantasma della morte. Questo è il prospetto di una vita come tante nel pensiero comune, ma che in Iran deve essere conquistata. Il dilemma di Pouya si traduce nel futuro di Bahram, uomo adulto che vive ai margini della società, convivendo con la scelta che prese quando era soldato. Lavora come medico senza licenza in un villaggio tra le montagne, non può guidare e, ormai vicino alla morte, conserva un segreto più grande da rivelare alla nipote Darya, in visita da lui.
Lei è figlia di una cultura libera, europea e non conosce le trame occulte di un mondo a cui è inconsciamente legata. Le scopre all’ombra di un amore tanto forte da sopravvivere a un tempo lungamente ingabbiato nell’ingiustizia. E qui agisce con forza il simbolismo di Rasoulof, che cattura attraverso semplici metafore un immaginario intellegibilmente lontano, ma universalmente comprensibile nella sua componente umana.
Io, al posto loro, cosa avrei fatto?
Un’immagine di indubbia forza espressiva è quella della volpe nell’ultima storia. Naturale predatrice, ha ucciso tutte le galline della fattoria di Bahram, ma lui non ha mai cercato una vendetta, la nutre quotidianamente, lasciandole una ciotola di cibo fuori casa. Davanti alla possibilità di scegliere, Bahram sceglie la vita altrui, nonostante questo significhi rinunciare alla propria. Il male non esiste, dunque, nelle coscienze di coloro che hanno scelto il sacrificio.
L’espressione trasuda biblicità, ma ancora lo spettatore a un interrogativo cardine del film: “Io, al posto loro, cosa avrei fatto?”. Queste le parole del Portavoce di Amnesty International Italia, Riccardo Noury, che cattura l’ipnotico e sofferto coinvolgimento del film di Rasoulof. La tragica poesia de Il Male Non Esiste si esprime nella perdurante apnea di uno sguardo martellato da una domanda decisiva mentre viene avvolto da immagini di estrema sensibilità.
Il presente è costrittivo, il futuro appeso alla fragilità umana su cui Rasolouf ci invita a riflettere con la descrizione lenta e avvolgente di attimi di vita rubati. Il Male Non Esiste si esprime così in una trainante combinazione di amore e morte, condanna e sacrificio nella sofferta constatazione che il male esiste, eccome, ma non si può raccontare così bene se non attraverso lo sguardo di chi lo subisce.
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