Dal 1 febbraio al 1 aprile la piattaforma di contenuti streaming Netflix distribuirà i 21 film realizzati dallo Studio Ghibli (unico mancante Una tomba per le lucciole) in tutti i paesi tranne Giappone, Stati Uniti e Canada. È una scelta sicuramente felice per tutti, chi già conosce i film avrà l’opportunità di rivederli con facilità e chi, invece, non ha mai approfondito la conoscenza avrà modo di scoprire un mondo nuovo, magico e poetico.
NPC Magazine ogni domenica pubblicherà un approfondimento dedicato a ciascuno dei film dello Studio Ghibli, iniziamo oggi con una delle prime pellicole rilasciate da Netflix, Il mio vicino Totoro.
Il mio vicino Totoro è il quarto lungometraggio realizzato da Hayao Miyazaki dopo Lupin III–Il castello di Cagliostro, Nausica della Valle del vento e Laputa–Il castello nel cielo. È stato distribuito in Giappone nel 1988 assieme a un altro lungometraggio dello Studio Ghibli, Una tomba per le lucciole realizzato da Isao Takahata, socio fondatore dello Studio Ghibli insieme a Miyazaki.
La scelta di distribuire le due pellicole accoppiate non si è dimostrata vincente, ma, anzi, le ha penalizzate. Dal momento che veniva venduto un biglietto unico per entrambi i film proiettati si è concretizzato un flop commerciale, inoltre mai accoppiamento fu più mal realizzato vista la discordanza, se non l’opposizione, dei temi trattati.
Un rinato interesse per il film si ha qualche anno più tardi, come spesso accade, grazie alla vendita di merchandising dedicato; la fortunata accoglienza riservata al paffuto Totoro da parte del pubblico è inaspettata, ma da sola riesce a rinfrancare le finanze dello Studio Ghibli tanto che i due soci fondatori decidono di adottare Totoro come logo dello studio stesso.
La pellicola arriva in Italia molto tardi, solo nel 2009, dopo il successo de La città incantata e la conoscenza dello Studio Ghibli a un pubblico più vasto.
Il mio vicino Totoro, di cosa parla
Il film si apre con l’arrivo della famiglia Kusakabe, composta da padre e due figlie, in un paesino della campagna giapponese, Tokorozawa. Il motivo del loro trasferimento è la possibilità di stare più vicino alla madre malata e ricoverata per lungo tempo nell’ospedale locale.
Con l’arrivo nella nuova casa ha inizio per le due sorelle un viaggio unico segnato da innumerevoli scoperte e fascinazioni. Stringeranno legami con le persone del luogo, vicini gentili sempre pronti ad aiutare il prossimo, personaggi che rimandano a un tempo passato ricco di tradizione. Ma scopriranno anche creature fantastiche come i nerini del buio, Totoro e il gattobus. Le bambine entreranno in un mondo meraviglioso in cui la vita reale e le avventure fantastiche convivono perfettamente.
Personaggi
Inizialmente nell’idea di Miyazaki la protagonista doveva essere solo una, poi in corso d’opera ha deciso di aggiungere una sorella regalandoci la possibilità di vedere delineato il grande rapporto che c’è tra le due, che seppur con differenza di età sono molto legate.
Lo stretto legame è sottolineato anche dai nomi delle due bambine, infatti, come ci tiene a precisare la più piccola mentre si stanno presentando alla Nonnina locale, si chiamano alla stesso modo. Entrambi i nomi rimandano al mese di maggio, Satsuki, la più grande, viene dal giapponese antico, Mei, la più piccola, è una storpiatura dell’inglese may.
È molto bello assistere alle dinamiche che intercorrono tra le due sorelle e accorgersi di quanto Miyazaki sia un maestro nell’evocare le situazioni e i tratti tipici dei suoi personaggi più che mostrarli in maniera didascalica. Questa maniera di raccontare i personaggi non è circoscritta solo alle due bambine ma si allarga anche agli altri comprimari, il padre, la madre, Nonnina e lo stesso Kanta, che altro non è che l’incarnazione tipica dell’adolescenza un po’ impacciata che ancora non sa bene come comportarsi di fronte a sentimenti nuovi e mai provati.
Anche se la madre è presentata solo più tardi nella trama e compare relativamente poco, la sua è una presenza costante, vero motore della storia che altrimenti non avrebbe modo di svilupparsi in quel preciso luogo. É una presenza costante per le figlie che sentono tantissimo la sua mancanza e l’affrontano in maniere differenti, coerenti alla propria età e al proprio carattere.
Satsuki è la sorella grande e responsabile che fa le veci della madre stessa prendendosi cura della sorellina, ma anche del padre, come quando prepara colazione e pranzo al sacco per tutti o quando decide di andare ad aspettare l’arrivo del padre alla fermata dell’autobus perchè si accorge che ha dimenticato l’ombrello.
Mei, dal canto suo, vede nella sorella un esempio da seguire e imitare, volontà esplicitata, per esempio, quando la vediamo per la prima volta sola, vestita come Satsuki che chiede chiaramente al padre se assomiglia alla sorella. Ne imita i movimenti e ne ripete le parole. Quello di Mei è un comportamento tipico dei bambini che è raffigurato da Miyazaki con grande naturalezza ed estro creativo.
Il padre è la persona che più asseconda i giochi e le fantasie delle figlie, probabilmente per sopperire alla mancanza della madre, inventa storie per le due bambine e trova sempre risposte adatte ad alimentare le loro fantasticherie e mai a stroncarle. È sempre pieno di entusiasmo e diventa, a volte un compagno di giochi per le due bambine, a volte la spinta che a loro manca in quel momento. Non si stupisce di fronte alle confessioni delle figlie ma riserva per loro risposte adeguate e suggestive. Sono tante le scene rappresentative in questo caso, quella del bagno serale in cui si sentono strani rumori e la bambine un po’ si spaventano e il padre dice loro: «Proviamo a ridere tutti così metteremo in fuga gli spauracchi!», il bagno diventa così un momento di grande ilarità in cui tutti si divertono e la paura è stata sconfitta. Un’altra scena degna di nota in tal senso è quella della rivelazione di Mei del primo incontro con Totoro, reazione che dovrebbe essere d’esempio per chiunque voglia fare il genitore. Il padre non ridicolizza o sminuisce la fantasia della bambina (che poi fantasia non è) ma ci dà la chiave di lettura di tutto il film e fa sentire la figlia importante e unica; il padre dice infatti che poter vedere Totoro è un privilegio che non può essere concesso a tutti. Ancora non lo sa, ma dicendo quella frase fa felice entrambe le sue figlie, perché anche Satsuki ne sarà orgogliosa ed estasiata quando capiterà a lei.
È evidente come la sensibilità di Miyazaki lo renda un maestro nella costruzione dei suoi personaggi che mantengono una naturalezza e una sfaccettatura psicologica invidiabile. I suoi non sono mai personaggi piatti, non sono mai inseriti nella storia per rappresentare solo un sentimento o un tratto del carattere ma, al contrario, riescono a regalarci tutto un mondo interiore ricco di contraddizioni e piccole sfumature.
Totoro e le creature fantastiche
La foresta che circonda la campagna dove vanno ad abitare le due sorelle è ricca di creature fantastiche che ci vengono presentate una a una e spiegate accuratamente. Come sempre le spiegazioni di Miyazaki non sono mai didascaliche, usa i suoi personaggi per fornirci le informazioni che ci servono per addentrarci con loro in questo mondo fatato. Le bambine conoscono già queste entità, sono in grado di riconoscerle perché le hanno viste nei loro libri illustrati; per loro questo è valore di veridicità e ne dichiara l’effettiva esistenza. All’inizio noi come spettatori siamo forse portati a pensare il contrario, ossia che le illustrazioni siano solo lo spunto per le fantasie delle due bambine, saremo però smentiti in questo quando assisteremo allo svolgersi delle avventure delle due sorelle e agli esiti che queste avventure lasceranno nel mondo reale, come per esempio lo spuntare dei germogli in una sola notte o più di tutti il salvataggio di Mei scomparsa altrimenti impossibile.
Tutte le creature derivano da una certa mitologia nipponica, le prime di cui facciamo conoscenza sono i così detti nerini del buio o corifuliggine, sono delle palline nere che incarnano la ceneri dei caminetti, solo i bambini li possono vedere ed è divertente vedere come Mei si approccia alla loro presenza, se all’inizio ne è spaventata e ne ha timore, successivamente li vuole acchiappare e farli vedere a tutti, anche agli adulti presenti. Li ritroveremo spesso durante il film, oltre che nella casa diroccata dove va a vivere la famiglia Kusakabe, anche nella foresta, lungo il tunnel che porta all’interno dell’albero di Canfora.
Proprio l’albero di Canfora è la tana del protagonista della pellicola, Totoro, uno strano animale, molto buffo e paffuto che è una sorta di miscuglio tra un orso, una talpa e un procione. È molto morbido e viene voglia di stringerlo se non di sdraiarcisi sopra come infatti fanno le due sorelle. È Mei a dare un nome a questo essere magico. Totoro è infatti un troll che vive nella foresta, la parola giapponese corrispondente è tororu. Mei, come è normale per i bambini piccoli, sbaglia pronuncia e così nasce il nome di questo spirito buono. La spiegazione della natura di Totoro ci viene comunicata dal padre. È lui a dirci che è uno spirito della foresta, che come le altre creature gli esseri umani non sono in grado di vedere. Solo le bambine vedranno Totoro perché solo loro posseggono la genuinità, l’innocenza per poter vedere.
Temi miyazakiani
Ogni regista ha dei temi ricorrenti che si possono ritrovare in ciascun film realizzato, questo vale anche per Miyazaki. La bravura del regista è quello di affrontare questi temi in maniera sempre diversa e adatta alla storia narrata.
La natura è il primo grande tema che vediamo affrontato. Il mio vicino Totoro è ambientato infatti nella natura, tutto in questa favola è natura. La famiglia Kusakabe abbandona la città per andare a vivere in campagna, una campagna bellissima con una foresta molto grande, ruscelli, campi coltivati. Ciò che ci viene abilmente mostrato è un paesaggio campestre in cui regna la pace, gli abitanti sono sereni e le preoccupazioni e le brutture del mondo sono tenute lontano. La vita scorre lenta e rilassata.
La foresta è la componente più raffigurata di questo paesaggio agreste, è qui che si svolgono le scene più magiche della storia. Si ha idea che ogni dettaglio contenga magia, la foresta stessa è meraviglia. È il luogo incantato per eccellenza ricco di tunnel che conducono in posti strabilianti, sedi delle avventure più prodigiose che le protagoniste possono vivere. Sono i dettagli, come sempre, a fare la differenza, se la tranquillità e la sospensione del tempo tipica del luogo è ridata dalle inquadrature del fiume dove l’acqua è piatta e si irradiano onde concentriche, l’elemento magico del luogo è trasmesso dallo scintillio delle foglie, dei germogli e dei fiori. Kazuo Oga è l’artefice delle bellissime scenografie che rimandano la magia e l’incanto contenuto in ogni dove. Altro elemento degno di nota sono le musiche composte da Joe Hisaishi, fido collaboratore di Miyazaki e dello Studio Ghibli, tra i musicisti più apprezzati in Giappone. É sbalorditivo come le musiche riescano a sottolineare perfettamente i vari aspetti della natura, contribuiscano a creare l’atmosfera magica della foresta ma anche a sottolineare la quiete della campagna circostante.
Tutto in questo luogo, in questa storia è meraviglia. Il mio vicino Totoro è il film sulla meraviglia della scoperta, una scoperta fatta con gli occhi dei bambini, altro tema cardine di Miyazaki. Tutto in questa storia è visto dalla parte delle bambine e di conseguenza tutto è un grande gioco fantastico, ci si esalta per ogni cosa, si è sempre senza fiato. Si assiste alla rappresentazione delle fantasie immaginifiche dei bambini, sono i bambini che hanno il potere di sconfiggere la noia e la ripetizione inutile della quotidianità, attraversando confini o tunnel per immergersi nel fantastico e costruire sogni ad occhi aperti, modificare la realtà e dare vita a un mondo nuovo in cui queste due componenti possano esistere insieme.
L’incanto di un attimo sospeso
La scena più iconica del film è probabilmente quella che si svolge alla fermata del bus. È notte e piove fitto, la foresta è buia, improvvisamente si accende una luce, è quella del lampione che illumina le due sorelle in attesa. La resa di quella luce è sorprendente e il succedersi delle inquadrature rimanda a un senso di attesa e di sospensione del tempo. Tutta questa scena è molto emozionante, ancor di più con la comparsa di Totoro che ci regala un senso di scoperta innocente che ha il potere di essere straordinaria e molto semplice allo stesso momento. Le vibrazioni delle gocce di pioggia sull’ombrello che fanno tremare lo spirito buono in qualche modo fanno tremare anche noi.
È nel concludersi di questa scena che appare per la prima volta il gattobus, altra creatura fantastica che popola la foresta. È un bus con le sembianze di gatto, con 12 zampe e gli occhi gialli come fari. Ha il potere di portarti dove vuoi in modo molto veloce e magico, visto che gli ostacoli spariscono o si scostano al suo passaggio. Il gattobus è una bellissima rivisitazione dello Stregatto di Alice nel Paese delle meraviglie, quel sorriso un po’ sornione un po’ bislacco, il rimando all’andare e al perdersi.
In fondo è forse possibile vedere Il mio vicino Totoro come una sorta di rivisitazione di Alice nel Paese delle meraviglie in chiave nipponica. Come Alice, prima Mei e poi anche Satsuki attraversano un tunnel che le porterà all’interno dell’albero di Canfora, tana di Totoro; qui scopriranno di poter assistere a cose meravigliose e fare la conoscenza di creature fantastiche. Ma al contrario di Alice il mondo magico non è separato da quello reale, ma anzi i due mondi convivono e si supportano. Totoro apparirà alle bambine non solo quando attraversano il tunnel di alberi, ma anche quando stanno normalmente vivendo la loro vita.
Solitamente le apparizioni avvengono nei momenti di solitudine e di bisogno, Totoro aiuterà le due sorelle sconfinando nel mondo reale, prendendone parte e dichiarando così di non essere una fantasia infantile, un gioco creato per combattere la solitudine tipica dei bambini, ma un essere reale e magico dalle possibilità illimitate.
Miyazaki ci regala un saggio sulla meraviglia e sulla scoperta che ci riporta direttamente al nostro mondo infantile, ci raccomanda di non dimenticarci mai di quella parte che serbiamo nel cuore, la più pura e innocente, l’unica in grado di vedere Totoro.
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