Acqua intrisa di sangue, paesaggi sterminati popolati da suoni inquietanti, intonaco dei muri che si sgretola sotto il colpo di pugni senza direzione, fucili che sparano alle nuvole, corpi esausti e menti alla deriva: sono i frammenti visivi e percettivi che formano Il nemico (Foe in lingua originale, disponibile su Amazon Prime), il thriller distopico di Garth Davis ambientato nel 2065. Junior (Paul Mescal), è stato selezionato per un programma di sperimentazione nello spazio: deve lasciare la sua fattoria nel bel mezzo del Midwest americano e sua moglie Henriette (Saoirse Ronan).
Saoirse Ronan e Paul Mescal non deludono: la prima, nei panni di Henriette, restituisce un personaggio enigmatico e complesso, in cui i confini tra realtà e inganno si mescolano e si confondono. Mescal abita i panni di Junior dimostrando una grande padronanza del proprio corpo e delle sue possibilità di espressione, e gli conferisce spessore umano ed emotivo (capacità di cui ha dato prova già in Normal People). Ma le interpretazioni eccellenti di Ronan e Mescal e la chimica tra i due non bastano a rendere Il nemico un film convincente.
Qual è il futuro dell’amore in un mondo distopico?
Intervallato da paesaggi tanto sconfinati quanto claustrofobici e costruito su una linea narrativa piena zeppa di interferenze dal passato che diventano visioni allucinatorie, Il nemico, adattamento dell’omonimo romanzo di Iain Reid, è il prodotto di un presente che offre già materiale in abbondanza per un futuro distopico.
Una coppia che si sgretola sotto il peso dell’universo, del passato e del futuro: due tempi caratterizzati dal vuoto e dal rimosso, dalla finzione e dall’inganno, che nel loro specchiarsi si moltiplicano e fagocitano il presente. Lo scenario distopico e le sorti dell’umanità condannata all’esilio, incapace di abitare quel pianeta che ha distrutto con le sue mani, diventano fin da subito lo sfondo di un dramma umano “vecchio come il mondo”.
Lo spazio, la crisi idrica, la mancanza di risorse e il pianeta alla deriva diventano questioni piccole piccole di fronte all’abisso in cui scivola il rapporto tra Henrietta e Junior: in Il nemico la vera incognita è l’amore e le meccaniche che lo governano. Cosa significa entrare in connessione emotiva con un’altra persona? Come si forma il filo che lega due persone? Quali sono i confini che uniscono due amanti, e quali sono quelli che separano?
Queste sono le domande attorno cui gravita il nucleo tematico de Il nemico: ma il film di Gravis non dispone degli schemi interpretavi e narrativi adatti per affrontare queste questioni senza cadere nella retorica e nel sentimentalismo. Le scene tra Hen e Junior ci mostrano una storia già vista e rivista, una riproposizione canonica della coppia classica che prova a interrogare sé stessa ma non ci riesce, nemmeno di fronte all’apocalisse.
Il nemico, nè dramma nè sci-fi
Il punto di vista de Il nemico è terreno, lo sguardo non è rivolto verso il cielo ma verso la terra, il suolo, la casa e gli affetti. Ma è uno sguardo spaesato, che non sa dove guardare e non sa farci guardare. Il nemico non riesce a guidare lo spettatore nel suo mondo, un pastiche di clichè statunitensi e apocalittici.
Né è sufficiente la bravura di Mescal e Ronan (nonostante lo stridente accento americano) e la loro consapevolezza nell’abitare il proprio spazio a dare linfa e vigore a una dinamica di coppia che rimane sempre in superficie, tra gesti enfatici e toni melodrammatici senza spessore. Il nemico è un campo pieno di semi che non riesce a far germogliare, un terreno fertile che si inaridisce di minuto in minuto sotto il sole torvo del Midwest.
Il nemico non riesce ad usare gli strumenti che ha a disposizione: nè gli scenari e gli stilemi tipici dello sci-fi, nè le tematiche e gli intrecci del dramma. Non c’è nulla lì fuori per te, sono le parole che Junior rivolge ad un’Henrietta desiderosa di andare altrove e di guardare oltre. Ma sembra non esserci molto di più nemmeno dentro Il nemico, nei suoi confini così ampi da diventare inconsistenti.
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