Il 7 Settembre è uscito nella sale italiane Il più bel secolo della mia vita diretto da Alessandro Bardani, tratto dall’omonima pièce teatrale dello stesso Bardani e scritto con Luigi Di Capua. Il film vede come protagonisti un irriconoscibile Sergio Castellitto e il debutto, un vero battesimo di fuoco, del comico, musicista e conduttore Valerio Lundini.
Il film ha lo scopo di denunciare una vera legge ancora in vigore in Italia, e per farlo Bardani sceglie di mettere alla guida due attori a prima vista incompatibili: distanti per atteggiamenti e recitazione, come gli stessi protagonisti de Il più bel secolo della mia vita, Lundini e Castellitto riescono proprio per la loro estrema diversità (anche generazionale) a trovare un punto di equilibrio. Il film è così un road movie dolceamaro, capace di celare nel profondo una grande dimostrazione di generosità.
La storia de Il più bel secolo della mia vita
La trama dietro al film di Bardani è molto diretta, semplice nella messa in scena, senza troppi fronzoli. Tale direzione, tuttavia, nasconde in alcuni punti un appoggio fin troppo affidato ai sentimentalismi; lo dimostrano alcuni dialoghi che risultano essere oltremodo didascalici, al punto da cedere poco spazio alla libera interpretazione dello spettatore.
Ma effettivamente di cosa parla Il più bel secolo della mia vita?
Ciò a cui ruota attorno l’intera struttura narrativa è una legge ancora in vigore in Italia. Ovvero che un figlio non riconosciuto ha il diritto di conoscere l’identità dei propri genitori biologici, risalendo così alle proprie origin, solo dopo il centesimo anno di età.
Al giovane Giovanni (Valerio Lundini), membro di un’associazione (che ha come obiettivo quello di convincere il ministro a muoversi per abolire questa legge così assurda e ingiustificata) viene difatti affidato il compito di andare a recuperare presso l’ospizio, gestito dalle suore di Bassano del Grappa, l’orfano centenario Gustavo (Sergio Castellitto). Una volta prelevato Gustavo, i due si metteranno in viaggio per andare a Roma all’incontro con il ministro, usando la storia di Gustavo, e la sua presunta volontà nel voler conoscere l’identità dei propri genitori biologici. L’obiettivo è quindi usare la storia di Gustavo come pretesto per invogliare il governo ad abolire la legge.
Stiamo dando i numeri (e le leggi)
Nel corso del viaggio le due personalità, agli antipodi, dei due protagonisti avranno modo di interfacciarsi. Scontrandosi riveleranno a loro stessi necessità, paure e desideri celati a sé stessi per paura, angoscia e vergogna.
Il tutto sfocia in una commedia che ha la parvenza del “già visto”, della classica commedia on the road in cui i personaggi prima si odiano e poi finiscono per diventare amici (o addirittura amarsi). Ma Il più secolo della mia vita fa un passo in avanti quando decide di portare l’esperienza cinematografica su un piano superiore, nel quale lo spettatore ha la possibilità di mettere a confronto la realtà diegetica dei personaggi con quella reale.
Infatti il film vuole – e ci riesce molto bene – mettere in luce il problema e i disagi che questa legge, vera antagonista del film, porta con sé.
Il più bel secolo della mia vita, il comparto tecnico che conta
Fare un film sui buoni sentimenti, su una formula che già ampiamente è stata usata all’interno dell’industria cinematografica non è semplice. Tuttavia, Alessandro Bardani, girando Il più bel secolo della mia vita, è ben consapevole dei limiti e dei pregiudizi che si porta appresso. Allo stesso tempo, però, sperimenta molto sotto vari aspetti.
Non si può non citare il comparto del trucco, Andrea Leanza e Giulio Zecchini, che hanno realizzato un autentico capolavoro nel trasformare Sergio Castellitto in un centenario così credibile da risultare vero. Allo stesso va nominata una regia che si affida a immagini di repertorio per raccontare il passato di Gustavo. I suoi ricordi, che costruiscono una personalità stravagante, sono narrati tramite una regia impreziosita da un bianco e nero molto morbido ed elegante. Merito d’altra parte della fotografia di Timoty Aliprandi, che riesce poi a passare ai giorni nostri con l’utilizzo di colore vivi ed energici.
Castellitto non delude, per Lundini è un buona la prima
Il cast vede poi l’aggiunta, oltre ai già citati Sergio Castellitto e Valerio Lundini, Carla Signoris nei panni della mamma di Giovanni, Antonio Zavattieri e il cameo di Sandra Milo, forse un po’ sprecato e che lo spettatore difficilmente si ricorderà alla fine della visione del film. Comunque, quello che per forza di cose spicca su tutti quanti e ruba completamente la scena è Castellitto padre.
L’attore romano classe 1953, padre di Pietro, anch’egli regista (ricordiamo il suo brillante esordio con I Predatori nel 2020 alla Mostra dell’Arte Cinematografica di Venezia e quest’anno nuovamente in concorso con il suo secondo film da regista e attore, Enea), riesce a non cadere mai nel cliché del vecchio brontolone alla Walter Matthau, ma crea un suo personalissimo modo di mostrare come anche con l’invecchiamento si possa raggiungere una meritata indipendenza.
Valerio Lundini passa, a suo malgrado, un po’ in secondo piano, mostrando il più delle volte quello che per tutti è il suo personaggio già visto e ampiamente apprezzato nel suo programma d’eccellenza, Una pezza di Lundini. Comunque, rispetto a molti suoi colleghi, ne esce più che dignitosamente, grazie anche alla chimica creatasi con l’attore e personaggio di Sergio Castellitto.
La nostra speranza è che Lundini possa cimentarsi in progetti futuri in cui gli sia dato più spazio e possibilità di provare, di migliorare e di stupire non solo noi pubblico ma anche sé stesso. Perché spesso il cosiddetto talent (ossia quel personaggio non appartenente al mondo del cinema) che viene chiamato a recitare (il più delle volte a doppiare), incontra il banale obiettivo delle produzioni di mercificare il suo successo.
Non è però questo il caso, perché Valerio Lundini cerca in tutti i modi di lasciarsi alle spalle il proprio personaggio, facendo trasparire la personalità di Giovanni, riuscendoci il più delle volte e mostrando delle doti, per certi versi, inaspettate.
Il più bel secolo della mia vita vi aspetta rigorosamente in sala!
La domanda finale che quindi ci si pone è: Il più bel secolo della mia vita merita di essere visto in sala?
Sicuramente sì. Perché l’esperienza cinematografica rimane unica in tutto e per tutto. Tuttavia, la sua piccola distribuzione all’interno del circuito delle sale italiane potrebbe ostacolare il pubblico nell’andare a prendere il biglietto per il film (nonostante valga ancora fino a fine mese l’iniziativa del MIC).
Se così fosse, non temete, perché dietro il film di Alessandro Bardani troviamo Rai Cinema e Prime Video; quindi in modo o nell’altro, che sia sulla rete pubblica o sulla piattaforma di streaming, Il più bel secolo della mia vita avrà la sua diffusione.
Proprio perché il film di Bardani non ambisce ad essere un capolavoro, ma un film con un’anima e con un cuore grande, sì! Che mette in luce le fragilità e le complessità di più generazioni per mezzo di personaggi e attori che, si vede, hanno creduto nel progetto e negli scopi dell’opera stessa.
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