Film del 1994, Il postino di Michael Radford è l’ultimo film in cui ha recitato Massimo Troisi (1953-1994), attore napoletano morto per infarto poco prima della fine delle riprese del film. Il postino si può considerare, dunque, il testamento spirituale di quello che tutti conoscono come il comico dei sentimenti.
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Questo film è liberamente ispirato al romanzo Il postino di Neruda (conosciuto in spagnolo come Ardiente paciencia o El cartero de Neruda) dell’autore cileno Antonio Skármeta, con soggetto di Furio e Giacomo Scarpelli. Alla sceneggiatura, oltre a quest’ultimi, hanno preso parte anche lo stesso Massimo Troisi, Michael Radford e Anna Pavignano.
Cosa racconta Il postino
In un’isola del Sud Italia (molto probabilmente Salina, dove è stato girato parte del film), Mario Ruoppolo (Massimo Troisi), disoccupato figlio di pescatori, ignorante, ma che “sa leggere e scrivere, senza correre”, viene a conoscenza dell’asilo politico sull’isola del poeta cileno Pablo Neruda (Philippe Noiret) assieme a sua moglie Matilde (Anna Bonaiuto) attraverso la proiezione di un filmato al cinema che documenta l’arrivo del poeta e di sua moglie.
Ciò costituisce l’occasione per Mario Ruoppolo per farsi assumere dal capo telegrafista e unico impiegato delle poste Giorgio Serafini (Renato Scarpa) come postino del poeta. L’incarico di postino di Neruda porta gradualmente Mario a stringere amicizia con l’esule poeta cileno: dopo un primo tentativo di contatto facendosi autografare una copia delle poesie (“Me lo rende unico, Maestro?, chiede Mario a Neruda”), i due cominceranno a stringere un rapporto di amicizia sempre più forte dove centrali saranno la forza della poesia e dei sentimenti.
Differenze e novità tra libro e film
Come è stato fatto notare all’inizio dell’articolo, Il postino di Michael Radford è liberamente ispirato al romanzo Il postino di Neruda di Antonio Skármeta. A differenza del romanzo, ambientato a Isla Negra, sulle coste del Cile, questo film è ambientato, invece, nel Sud Italia, rendendo stretto il legame tra quest’ultimo e il Sudamerica, come a indicare che tutto il Sud del mondo è un luogo intriso di malinconia, ideale per i sentimenti di amore, amicizia e nostalgia, permettendo, dunque, una riflessione più universale, rimarcata dal fatto che l’isola del film sia senza nome.
Interessante è il fatto che ci sia anche una trasposizione temporale, ovvero dal 1969, anno in cui il romanzo di Antonio Skármeta è ambientato, al 1952. Gli Anni Cinquanta, infatti, sono gli anni del boom economico, come viene mostrato in una scena del film da un filmato della campagna elettorale che mostra un’Italia dal volto fortemente cambiato. Questo è stato un periodo dedito al solo progresso e benessere economico, e meno alla lentezza e alle emozioni dei singoli. Una frase emblematica in questo senso è quella del candidato dell’isola per la Democrazia Cristiana Di Cosimo (Mariano Rigillo), che al protagonista Mario dice che «la poesia fa male agli uomini», come a dire che la poesia, il rispetto verso gli altri e la bellezza delle piccole cose non servono a niente in un paese di pescatori dediti solo all’uso delle «reti tristi».
Parlando di poesia, a differenza del romanzo di Antonio Skármeta, ne Il postino sono presenti alcune poesie di Paolo Neruda: da Ode al mare, Nuda, Mi piace quando taci perché sei come assente fino a Ode al pomodoro, “la poesia non è di chi la scrive…è di chi gli serve”, si potrebbe dire citando Mario Ruoppolo. Le poesie di Pablo Neruda inserite nel testo e recitate da Philippe Noiret e Massimo Troisi sono funzionali a esprimere quelle emozioni che “la poesia può svelare a un animo disposto a comprenderla”. Sono funzionali a noi spettatori che assieme a Mario Ruoppolo impariamo a vedere la bellezza nella monotonia quotidiana da un lato e ad avvicinarci agli altri esprimendo i nostri sentimenti dall’altro.
Bisogna tener presente, inoltre, che questo è stato l’ultimo film a cui Massimo Troisi prese parte. L’attore partenopeo, malato di cuore al punto che necessitava di un trapianto, ha rimandato fino all’ultimo l’operazione per continuare le riprese del film fino al suo ultimo ciak il 3 giugno a Cinecittà, prima della morte sopraggiunta per infarto il giorno dopo. La scena finale de Il postino, dove Pablo Neruda torna all’isola dopo cinque anni e ascolta la registrazione lasciata da Mario, è da intendersi come un lascito di Massimo Troisi che testimonia la forza dei sentimenti, della poesia e della malinconia che tanto hanno contraddistinto la sua carriera teatrale e cinematografica.
Di Beatrici e amori sconfinati
Il rapporto di amicizia tra Mario Ruoppolo e Pablo Neruda completa i due: Mario impara il valore della poesia, più precisamente che “il mondo è metafora di qualcosa”, ovvero che dietro ogni cosa si cela la bellezza e la felicità; Neruda, invece, nonostante il suo peregrinare in quanto esule, trova una casa nell’isola e dei fratelli in persone semplici come Mario e i pescatori.
La poesia in Mario Ruoppolo si trova, ad esempio, nel momento in cui incontra alla taverna di donna Rosa (Linda Moretti) sua nipote Beatrice Russo (Maria Grazia Cucinotta, qui al suo debutto). L’innamoramento di Mario, infatti, ricorda molto l’innamoramento descritto dai poeti stilnovisti come Guido Cavalcanti e Dante Alighieri, seppur declinato in maniera ironica. Durante una partita di calcio balilla, infatti, dove Beatrice invece del canonico saluto stilnovista lascia a Mario una pallina che lancia dalla bocca, lo sguardo di Beatrice porta Mario a innamorarsi perdutamente (“Non le ho detto niente. La guardavo e m’innamoravo”, dichiara Mario a Pablo Neruda) al punto che, nel momento in cui Neruda gli dirà che all’amore c’è rimedio, Mario risponderà: “No, no! Che rimedio, Don Pablo! Io voglio stare malato”.
I sentimenti di Mario sono talmente forti che questi chiederà aiuto a Pablo Neruda per conquistare Beatrice, poiché “le Beatrici suscitano amori sconfinati”. Neruda si recherà alla taverna con Mario per permettergli di far colpo su Beatrice, e gli permetterà di recitare le sue poesie – in particolare Nuda, che Neruda dedica alla moglie Matilde – per conquistare la ragazza, che Mario arriverà anche a sposare con lo stesso Neruda come testimone di nozze.
Con Massimo Troisi Il postino come metafora della nostalgia
Se prima di sposarsi con Beatrice, Mario dice quanto segue a Pablo Neruda: “è colpa tua se mi sono innamorato… perché mi hai insegnato ad usare la lingua non solo per attaccare francobolli!”, Pablo Neruda, nonostante il suo continuo viaggiare di paese in paese, ha trovato nell’isola e in Mario un luogo che sa di casa e un’amicizia che diventa fratellanza universale.
Tra le scene più commoventi vi sono, infatti, quelle in cui Mario, ricevuta una lettera scritta da qualcuno per conto di Pablo Neruda che gli chiede di restituirgli alcuni oggetti lasciati a casa, si mette a registrare i suoni dell’isola: le onde del mare, il vento, le campane della chiesa fino al “rumore” del cielo stellato e il battito del cuore di Pablito, il figlio che avrà da Beatrice e che non avrà modo di conoscere. Tutti suoni che rappresentano ciò che di più bello Mario ha trovato sull’isola e che nella prima parte del film, in particolare nella scena del registratore che Neruda usa per inviare un messaggio agli amici in Cile, non ha saputo cogliere perché incapace in un primo momento di vedere il bello attorno a sé.
La registrazione che Pablo Neruda ascolta cinque anni dopo aver lasciato l’isola non solo costituisce il ringraziamento di Mario verso il poeta per avergli insegnato la poesia nelle piccole cose oppure un luogo per Neruda dove può sentirsi sempre a casa, ma anche il testamento spirituale di Massimo Troisi, che da buon “comico dei sentimenti” qual era ci mostra la bellezza della vita e la poesia nella semplicità delle piccole cose nonostante la realtà ci sembri condannarci alla rassegnazione, a una vita vacua e prosaica.
Un testamento spirituale
Parafrasando lo stesso Pablo Neruda, con Il postino Massimo Troisi “confessa di aver vissuto”. Questo film è il testamento spirituale di un attore che dalle difficoltà della vita ha saputo trarre una “metafora di qualcosa”, ovvero la poesia, la bellezza e la felicità, intrise di malinconia e nostalgia, ma che fanno bene al cuore. Anche Il postino, dunque, è metafora di qualcosa: della vita e della poesia che possiamo trovare in tutte le cose, anche le più tristi.
“Quando la spieghi, la poesia diventa banale. Meglio delle spiegazioni, è l’esperienza diretta delle emozioni che può spiegare la poesia ad un animo disposto a comprenderla”.
Philippe Noiret ne Il postino
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