Il posto delle fragole è un film di Ingmar Bergman diretto nel 1957. Ottenne molti riconoscimenti come l’Orso d’oro di Berlino e il premio della critica al festival del cinema di Venezia. Eppure, questo è un film particolare del regista perché si differenzia dal resto della sua produzione, dove sembra trovare spazio quell’elemento di forte comunicabilità e chiarezza insolito per Bergman.
I grandi quesiti de Il Posto delle Fragole
Il professore Isak Borg (Victor David Sjöström) si ritrova improvvisamente a fare i conti con se stesso e con la propria età. Arrivato ad un’età particolarmente avanzata, e a fronte di una soddisfacente carriera lavorativa, per cui si è speso completamente e con forte abnegazione nel corso di tutta la vita, ci sono una serie di conti sospesi col senso esistenziale. Che senso ha la vita? Che senso ha la fine? Queste sono le due domande che ruotano attorno a tutto il film.
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Domande che si manifestano in un’occasione particolare del protagonista: un viaggio per ritirare un premio accademico alla carriera. In questo viaggio il vecchio professore viene accompagnato dalla nuora, Marianne (Ingrid Thulin), che prova un certo sentimento di rabbia verso il suocero. Infatti la sua colpa sarebbe l’avarizia e l’estremo rigore tenuto verso la restituzione di un debito.
Ma questo sentimento piano piano viene meno e la giovane si apre con l’anziano parlandogli dei problemi coniugali col marito. Perché ciò che la turba è la sua reazione a proposito della scoperta di una gravidanza, dal momento che si è categoricamente rifiutato di avere figli, imponendole di interromperla.
Il motivo non è economico, ma di altro genere, ossia la forte avversione dell’uomo verso l’esistenza, vista un po’ come una sorta di condanna.
E così, il vecchio professore si ritrova davanti ad una rivelazione un po’ sconcertante poiché quel figlio era il suo prediletto, molto simile a lui. E quest’avversione verso la vita allora gli sembra in qualche modo derivare da lui. In effetti, la vita del professore era sempre stata all’insegna del rifiuto del piacere, dell’amore e della bellezza della vita, sostituite dalla più stoica solitudine dell’accademico. E in questo senso pare che l’odio verso l’esistenza del figlio derivi proprio da quel suo stile di vita.
Titoli, nomi e altri segreti
Come si diceva nella premessa, questo film è particolare perché rispetto al resto della produzione cinematografica del regista l’elemento della comunicabilità del film è molto forte. Di conseguenza sono pochi gli elementi oscuri, nascosti, pertinenti ad una dimensione di simbolismo, tipici invece di film come Il silenzio, Il settimo sigillo o Persona.
Qui è tutto chiaro, a partire dal titolo: Il posto delle fragole.
Le fragole infatti in Svezia hanno come significato la prima gioventù, i primi anni dopo l’adolescenza, e questo elemento in modo un po’ prolettico già ci porta alla dimensione del tempo e del ricordo, centrali in questo film.
Poi un altro elemento interessante è il nome del protagonista: Isak Borg. Le iniziali del nome sono le stesse del regista, Ingmar Bergman. E inoltre, in svedese borg significa «fortezza» e is-ak vuol dire «di ghiaccio». Questi due indizi facilmente riconoscibili hanno significati altrettanto facili da intuire.
Le iniziali uguali segnalano l’identificazione del regista con il protagonista, dando così al film una patina di autobiografismo. Il significato del nome invece, fortezza di ghiaccio, riprende le caratteristiche del personaggio, ossia una certa chiusura, una certa difficoltà ad avere rapporti con le altre persone.
Dall’autobiografia al racconto universale
Perché infatti questo film nasce in una clinica svedese, dove Bergman quarantenne si trovò per un lungo periodo isolato da tutti e da tutto, a fare i conti con la propria vita, col proprio passato e con il tempo, rimanendone profondamente deluso.
«Modellavo un personaggio che esteriormente somigliava a mio padre ma che ero io in tutto e per tutto. Io, sui trentasette anni di età, tagliato fuori dalle relazioni umane, che recidevo i rapporti, autosufficiente, chiuso, non solo abbastanza fallito, ma completamente fallito. Coronato dal successo, però. E bravo. E per bene. E disciplinato»
Analizzando questi dettagli capiamo che il film tratta la vita, in qualche modo nel suo rapporto di tensione con la morte, dove quest’ultima diventa una condanna qualora la vita non abbia portato a delle vere soddisfazioni. E all’orizzonte di questa tensione si staglia il tempo, che non si ferma mai, che non lascia requie all’uomo e lo condanna sempre ad una fine. Il tempo può essere recuperato soltanto attraverso il ricordo, la memoria.
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Su questo punto il regista stesso da un’interpretazione del film su due piani. Il primo concerne l’elemento onirico, il sogno, che diventa agente rivelatore dell’angoscia e dell’insicurezza dell’individuo ritrovatosi di fronte al bilancio della propria esistenza.
Su un altro piano vi è l’elemento del viaggio, ma un viaggio transtemporale, e rievocatore di un passato che in sé è ormai perduto, ma che mantiene comunque una certa intensità nella sua rievocazione, tanto da influenzare ancora il presente.
E il dolore e la paura che il tempo e la morte provocano sull’uomo portano ad un altro elemento topico dei film di Bergman, la maschera, ossia quella difesa fatta di finzione e falsità che la Persona si pone sul viso per nascondere l’atroce insensatezza della vita.
Il posto delle fragole ospita Proust
La visione del tempo in questo film è certamente riconducibile alla lezione proustiana. Infatti l’elemento di ricerca del tempo perduto attraversa tutto il film. Infatti il posto delle fragole, che è l’elemento che all’interno del film fa scaturire tutta una narrazione analettica di scene della giovinezza del protagonista, assomiglia molto al dispositivo narrativo della madelaine in Proust. Questo è infatti un biscotto tipico francese, il cui sapore, nelle prime pagine di Dalla parte di Swann, faceva tornare il narratore ai ricordi della propria infanzia, dando inizio di conseguenza ad un’analessi.
Il ricordo di questo tempo perduto e la myse en écrit, presente anche nel film, quando verso la fine il protagonista decide di scrivere a proposito dell’esperienza avvenutagli in quel giorno, è proprio il metodo che Proust utilizza per ricercare, ritrovare il tempo perduto, affinché questo non rimanga annegato nell’oblio del passato.
Uno, nessuno e Bergman
Poi vi è il tema della maschera come soluzione all’insensatezza esistenziale. Questo potrebbe certamente a livello letterario essere visto come un rimando a Pirandello. Infatti la maschera in Pirandello è la soluzione alla disidentificazione dell’uomo di fronte all’insensatezza dell’esistenza. Un po’ come avviene a Vitangelo Moscarda in Uno, nessuno e centomila, oppure all’Enrico IV.
Ma questo elemento, già di per sé fortemente filosofico, come tutta la produzione pirandelliana, si lega certamente alla filosofia del grande modello di Bergman: Soren Kierkegaard.
La sua filosofia esistenzialista infatti ragiona sul senso dell’esistere e della vita, arrivando, di fronte alla dissociazione dell’io con se stesso e con il mondo, ad un esisto sconcertante, ossia la disperazione.
In ultima analisi, vi è un altro forte rimando letterario, quello a Kafka. Al di là in sé dell’esistenzialismo di Kafka che certamente, parallelamente a quello di Kierkegaard, permea l’opera, vi è anche una scena in particolare che rimanda al Processo di Kafka.
La scena in questione è quella del processo finale al protagonista, il quale si ritrova davanti ad un giudice che lo boccia, e i motivi, come è già stato detto precedentemente, hanno un forte rimando alla vita personale del personaggio, tanto da assumere i proverbiali tratti kafkiani.
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Bellissimo pezzo. L’autore, che studia dove anch’io ho studiato ai tempi di M. Capanna, ha scavato all’ interno del capolavoro di Bergman che a sua volta scava nell’animo dell’uomo.
Bellissimo pezzo. L’autore, che studia dove anch’io ho studiato ai tempi di M. Capanna, ha scavato all’ interno del capolavoro di Bergman che a sua volta scava nell’animo dell’uomo.
Pezzo davvero magistralmente scritto, uno dei rarissimi saggi scorrevoli, esaustivi e coinvolgenti