Sono trascorsi 25 anni dalle ultime grida del Regno. Il tetro ospedale ideato da Lars Von Trier nel 1994 riapre i battenti con un’inattesa terza stagione. Un’operazione superflua ma incantevole, che ripropone senza alterazioni lo svago paranormale che conquistò la TV danese. Le corsie di neurochirurgia del Regno sono ancora dimora di allucinazioni fantasmagoriche, ma assieme agli spettri aleggia un nuovo gioco: le prime due stagioni si trasformano in realtà. Nei minuti che aprono Il Regno: Esodo scorrono i titoli di coda delle puntate precedenti. Quando l’immagine si interrompe una voce off commenta: “che boiata”. Ha inizio il viaggio dell’anziana protagonista, appassionata della Serie TV Il Regno, ma insoddisfatta del finale a tal punto da farsi ricoverare nell’ospedale dei misteri. Infermieri e dottori sono ancora incerti su quanto accaduto 25 anni prima. L’attenzione dello spettatore cambia: la svolta è imprevista. L’immagine è ampia, la fotografia bluastra. Un regno nuovo. Il primo dei numerosi scherzi ideati da Von Trier.
Quando le porte automatiche dell’ospedale si spalanco per inghiottire la protagonista, lo schermo torna al 4:3, mentre la seppia riconquista la palette. “L’esodo è un’arma a doppio taglio”, doppio è il gioco e lo spazio de Il Regno. La giostra delle assurdità – spazio d’insieme tra dramma paranormale e commedia grottesca – riprende a girare.
Il Regno: Esodo, metalarsvontriano
Privato del discorso metatelevisivo, Il Regno: Exodus è riproposizione di forme e discorsi delle stagioni precedenti. Twin Peaks 3 è un paragone immediato, ma poco calzante. La Serie TV di David Lynch, anch’essa tornata al piccolo schermo nel 2017, è figlia degli anni trascorsi e dei film nel frattempo diretti. Dell’ultimo Lars Von Trier, in Il Regno: Exodus, c’è solo l’autoreferenzialità. Più che metatelevisivo, è metalarsvontriano. Il Regno: Exodus parla di lui, con lui, contro di lui. Lo sberleffo è continuo, danno e premio per lo spettatore.
Si sprofonda nel solco di un autore capace di prendersi gioco di noi e di se stesso. Negli insulti che si dedica nella serie-nellaserie c’è l’ironia che si compiace della propria intelligenza. “Quell’idiota di Von Trier”, si permette un’infermiera.
Il Regno: Exodus è anche una riflessione sul regista. Lars Von Trier è un prankster, bambino dispettoso che ci conduce nelle cinque ore di un paranormale a cui non dover credere mai.
Nell’ospedale del Regno lo citano tutti: è lui ad aver attirato schiere di strambi amanti della serie. La piega metatelevisiva è una delle tante in cui Il Regno: Exodus viene sfogliato nelle sue cinque ore. L’unica nuova.
L’aspetto comico e il risvolto paranormale sono noti ai fan e riproposti con fedeltà. Potremmo dire requel, percorso che continua e ricomincia. Ma il tono de Il Regno obbliga a pensare a una reincarnazione. I protagonisti storici vengono sostituiti da dei doppi. Identici per intenti e modi, sono guidati da una volontà che li precede. I desideri del Regno, organismo vivente dell’occulto.
Bodil Jørgensen interpreta l’anziana desiderosa di risposte. Le sue orme calano sul solco della Signora Drusse, protagonista delle prime due stagioni. Bodil Jørgensen è il figlio del Dottore che fu vittima degli eventi e di se stesso. La sua è un’interpretazione compiuta. Resiste al paranormale mentre discende all’inferno, come il padre prima di lui. Un ripetersi dei destini che è gioco sadico di Von Trier.
Nuova pedina dell’occulto è Willem Dafoe, che permette a Riget: Exodus di essere più di una fedele copia. Arriva d’improvviso e aggiunge follia. Il girotondo davanti all’ospedale, danza macabra come in Bergman, è uno spasso. Ogni episodio aumenta l’intensità dei suoi elementi e concede l’intersezione tra paranormale e grottesco. La satira di Von Trier è ancora un discorso di culture: svedesi e danesi si scontrano nel Regno, sotto assedio di due fazioni senza pace. I fantasmi entrano dalle porte concesse dall’uomo, spiriti del bene e del male invitati a banchetto. Il percorso della protagonista in cerca di una verità televisiva, diventa avventura compassionevole mentre ogni scena esagera la precedente.
Lars Von Trier sembra crederci di più, delineando una storia paranormale con logiche e risposte: ma è uno scherzo a volto serio. Unisce immagini e creazioni come una divinità pagana, coinvolta dagli eventi a tal punto da entrare in scena per scongiurare il peggio. Il Regno: Esodo è libertà manifesta: Von Trier può tutto. Autogoverno delle immagini e dittatura della suggestione. Torna l’acqua, elemento caro al regista nella dimenticata Medea (1988). Ma ruba anche dai colleghi e dalla tradizione. Non dirige il suo Twin Peak 3, ma ne ruba spesso le idee. Lui può; divinità dispettosa. Prende quel che c’è, divora assieme al Regno. Tutto è concesso e serio, sino all’impeto finale che erompe in risata. “L’esodo è un’arma a doppio taglio”, il pieno e il vuoto, il bene e il male. Risata e urlo. Lars Von Trier scherza, ma ha un’idea di arte che ,seppur priva di regole, ha uno spirito. Forse per questo è una storia di fantasmi.
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