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Il suono dell’invisibile in «Dogville»

18 minuti di lettura

L’universo diegetico di Dogville, nono lungometraggio del regista danese Lars von Trier, pone i propri spettatori di fronte a una scenografia alquanto inusuale. Il film è ambientato in un paesino fittizio (Dogville, per l’appunto), i cui edifici, le cui strade, i cui orti, le cui strutture, insomma, non esistono, se non sotto forma di tracce marcate in gesso sul pavimento di uno studio di posa. Con alcune significative eccezioni, tutto ciò che costituisce Dogville, al di fuori dei suoi personaggi umani, è visivamente assente. Più precisamente, nelle parole di Oana Andriese, «l’intera scenografia è costruita da segni che rappresentano altro da sé e sostituiscono l’oggetto reale».

Il peculiare aspetto visivo di Dogville, a ogni modo, vi era forse già noto. Ciò che rischia di passare inascoltata è, invece, la sua dimensione sonora. Il che non sarebbe neppure troppo problematico se non fosse che proprio la dimensione sonora del film di von Trier apporta un contributo cruciale alle possibilità di creazione di significati da parte di questo sperimentale oggetto audiovisivo. Proviamo, allora, a esplorarla insieme.

L’universo diegetico di Dogville

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Chiusi gli occhi, cosa sentiamo?

Iniziamo con qualcosa di diverso dal solito. Ascoltiamo l’inizio di Dogville. Date il via al flusso audiovisivo e giratevi dall’altra parte, privatevi delle immagini e concentratevi sulla dimensione sonora. Ecco alcune possibilità di ascolto (attenzione: segue lista senz’altro pedante, utile però a rendere conto della complessità della dimensione sonora di una sequenza in apparenza acusticamente semplice; sentitevi liberi di scorrerla senza leggere e passare al prossimo paragrafo): 

  • musica: archi e un clavicembalo suonano il Concerto in Sol maggiore per due violini e due violoncelli di Antonio Vivaldi, in un arrangiamento di Joachim Holbek
  • una voce (John Hurt): tendente all’anziano ma non debole, spiega in tono pacato: «this is the sad tale of the township of Dogville», proseguendo poi con la presentazione dell’universo diegetico (la voce fuori campo del narratore? come possiamo dirlo, senza guardare le immagini?); 
  • un breve suono percussivo, ricorrente ma senza un pattern regolare; 
  • un suono diverso, dall’inviluppo più complesso, anch’esso ricorrente ma senza un pattern regolare; 
  • la musica raggiunge la sua cadenza conclusiva e tace; 
  • un lungo suono ondulato che fortemente suggerisce il soffiare del vento, assai discreto ma udibile se si presta particolare attenzione; 
  • la voce, la stessa già udita, ci introduce a «the house in which Tom lived»; 
  • musica, un’altra musica («of the lighter kind», nelle parole del “narratore”), le cui frequenze sono state filtrate per dare l’impressione che la sua sorgente sia da individuare in una radio; 
  • mentre quest’ultimo elemento musicale giunge al termine, il nostro ipotetico narratore si fa, per un momento, silente, permettendo al regolare ticchettio di un orologio (sempre supposizioni in assenza di immagini) di emergere dall’ambiente sonoro; 
  • nel frattempo, il vento, il suono percussivo e il suono dal complesso inviluppo non sono più udibili; 
  • una voce, apparentemente proveniente da ciò che immaginavamo essere una radio, annuncia: «ladies and gentlemen, the president of the United States»; 
  • una terza voce, diversa, per timbro e intensità, tanto da quella dell’annunciatore radiofonico quanto da quella del “narratore”, chiede a un certo “Tom” di spegnere la radio (allora si tratta veramente di una radio!); 
  • una quarta voce (quella di Tom, con ogni probabilità?) risponde alla richiesta e la radio viene spenta; 
  • le due voci dialogano brevemente, prima che il narratore torni, diligente, al suo compito, spiegandoci che la relazione fra di esse è quella di padre e figlio: Tom Edison senior (Philip Baker Hall) e Tom Edison junior (Paul Bettany); 
  • l’orologio (non dimentichiamolo!) ticchettava in sottofondo per tutto il tempo e continua a ticchettare; 
  • il narratore tace, la ritmica scansione del tempo batte il suo ultimo colpo e un riverbero improvvisamente più intenso permea la dimensione sonora; 
  • il cinguettio di alcuni uccelli?; 
  • la voce di Tom, mentre dà l’arrivederci al padre, risuona come proveniente da un luogo diverso rispetto al “nostro”; 
  • un insieme di suoni che suggerisce l’aprirsi e il chiudersi di una porta.
Dogville, vista dall’alto

Riaperti gli occhi, cosa sentiamo?

Se ci siamo dilungati nel dettagliare gli stimoli auditivi proposti dai primi due minuti di Dogville è perché la loro ripartizione in “diegetici” (la cui sorgente, cioè, appartiene all’universo narrativo) ed “extra-diegetici” (la cui sorgente non è verosimilmente individuabile nell’universo narrativo), in “in campo” (la cui sorgente appartiene all’universo narrativo ed è inquadrata) e “fuori campo” (la cui sorgente appartiene all’universo narrativo ma non è inquadrata) appare come particolarmente complessa, date le inusuali caratteristiche della scenografia del film di von Trier. Come dobbiamo comportarci—sciagurati spettatori/ascoltatori in balia delle fantasie del regista—di fronte alla presenza sonora di oggetti visivamente assenti? Proviamo a capirci qualcosa di più.

La prima inquadratura, a seguire i cartelli iniziali, costruisce lo sguardo dello spettatore per mezzo di un punto di vista aereo che racchiude l’intero set del film: data l’assenza di mura e tetti, le “case” dei personaggi sono aperte alla nostra vista e, con esse, i loro abitanti. È curioso che, delle tante attività visibili, le uniche i cui suoni vengono rese udibili sono il salto della corda a cui giocano alcuni bambini (sulla sinistra dell’inquadratura) e lo spazzare di una scopa (in alto, poco a destra rispetto al centro dell’inquadratura). Per ora, tuttavia, accontentiamoci di aver individuato le sorgenti di due fra gli stimoli auditivi che avevano colpito le nostre orecchie e sorvoliamo sulla possibile incongruenza.

Per quanto riguarda la musica e la voce dell’ipotetico narratore, il discorso sarebbe alquanto complesso. Non è lì, tuttavia, che vogliamo arrivare. Riteniamoci dunque “soddisfatti” nell’accettare la convenzione (e nell’adeguarci a una semplificazione ormai assolutamente desueta) per cui una musica, la cui sorgente non è individuabile nell’universo diegetico, fungerà da musica di accompagnamento extra-diegetica e una voce, la cui sorgente non è individuabile nell’universo diegetico, fungerà da voce fuori campo con compiti di narratore. Ma il vento?

Tom bussa a una porta invisibile

Il suono dell’invisibile

Il vento ci pone di fronte a un problema non trascurabile. Come essere certi che quel lungo suono ondulato sia proprio il suono del vento? Non è semplice visualizzare il vento… Una strategia efficace consisterebbe nel rendere visibili gli effetti provocati dal vento in altri elementi, come ad esempio la cima di un pioppo che ondeggia avanti e indietro. Un’ambientazione visivamente allusiva (il pendio di una montagna sotto un cielo di tempesta) faciliterebbe, ugualmente, un’associazione suono-sorgente. O, ancora, un personaggio, il narratore, o una didascalia potrebbero informaci circa la natura del suono udito. 

In Dogville, tuttavia, nessuna di queste opzioni ci viene concessa: i pochi elementi di scena appaiono del tutto indisturbati dal nostro ipotetico vento, l’ambientazione—il teatro di posa dominato dal nero del suo pavimento—è silenziosa e nessuno, neppure il nostro solerte narratore, ci viene in aiuto. In altre parole, in Dogville, spesso, non vediamo. La sola cosa che possiamo fare è ipotizzare sulla base di ciò che sentiamo e, quindi, decidere se accettare o meno che un segno, un’assenza, possa significare davvero ciò che abbiamo ipotizzato. Il caso del vento ne è un esempio piuttosto evidente ma non è il solo né il più particolare. Quanto sono rumorose le invisibili porte delle case di Dogville?

Moses, il cane di Dogville

Non siamo poi tanto diversi dagli abitanti di Dogville

La presenza sonora di oggetti e fenomeni visivamente assenti non è affare dei soli spettatori. Questa peculiare soluzione formale è parte stessa del mondo diegetico: più volte, nel corso di Dogville, i personaggi ricevono informazioni e prendono decisioni sulla base di ciò che sentono ma che non possono (o non vogliono?) vedere. Si pensi, a esempio, all’arrivo di Grace (Nicole Kidman) a Dogville: ciò che Grace vorrebbe passasse inosservato è rivelato a Tom dall’abbaiare di un cane invisibile, al quale Grace ha tentato di rubare del cibo. Ma, ancora, e forse in maniera più importante, prima che Grace giunga a Dogville, Tom già intuisce l’imminenza di un evento sconvolgente: ha sentito degli spari.

Gli spari uditi da Tom provengono da un punto indefinito al di fuori di Dogville. La loro presenza non si sostanzia di alcuna traccia visiva. Possono solo essere uditi. Spesso, l’unico modo che gli abitanti di Dogville hanno per immaginare ciò che avviene al di fuori del loro microcosmo è fare ipotesi sulla base di ciò che sentono. Un ulteriore esempio: nel corso del film, di tanto in tanto, un prepotente suono percussivo riecheggia in Dogville, proveniente da fuori Dogville. Si dice che il suono possa essere prodotto da un battipalo, forse impiegato nella costruzione di un nuovo carcere. Nessuno, però, lo sa con precisione. Nessuno degli abitanti di Dogville conosce le sembianze di ciò che sta al di fuori di Dogville, come il narratore ci comunica con fare allusivo. Non possono, né vogliono, vederle. La nostra posizione non è dissimile da quella degli abitanti di Dogville.

Ai limiti di Dogville

Il suono materializza l’invisibile

Siamo quasi arrivati alle conclusioni. Ci rimane “solo” da notare che gli ambienti di Dogville sono materializzati non tanto da elementi visivi quanto da elementi sonori. Questi ultimi, però, contribuiscono alla suddetta materializzazione sia quando sono udibili che, forse soprattutto, quando non sono udibili. Prendiamo, a esempio, una delle tante scene ambientate sulla strada principale di Dogville (Elm Street). Mentre il nostro punto di vista percorre la strada in lungo e in largo, le attività nelle quali i vari personaggi sono impegnati all’interno delle loro case ci sono, ovviamente, visibili. Eppure, facciamo finta che visibili non siano e accettiamo che un personaggio, che si trovi al di fuori delle case, non abbia la possibilità di vedere ciò che succede al loro interno. Questo patto stipulato fra noi e Dogville è facilitato proprio dalla dimensione sonora del film: quando “percorriamo” Elm Street, quando ci troviamo, cioè, al di fuori delle case, sentiamo unicamente quelli stimoli auditivi che dovrebbero accadere al di fuori delle case, mentre nulla di ciò che avviene dentro le case propone alle nostre orecchie un qualche tipo di traccia sonora. Il che ci porta al momento decisivo, tanto di Dogville quanto di questo articolo.

Gli abitanti di Dogville spiano ciò che succede su Elm Street, attraverso “porte” e “finestre”

Fino a che punto siamo disposti a fingere?

Il complesso patto stipulato fra noi e Dogville, giunti alla metà quasi esatta del film, viene posto di fronte a una prova sconvolgente. Uno degli abitanti del paese, Chuck (Stellan Skarsgård), rincasa prima del solito per allertare Dogville dell’imminente arrivo della polizia: Grace, eravamo venuti a sapere, è ricercata, e gli abitanti di Dogville la stanno nascondendo. Dentro casa, Chuck trova Grace, lì impegnata nel suo lavoro di aiutante tuttofare degli abitanti del paese. Chuck, minacciando di rivelare alla polizia la presenza della ricercata, abusa della sua posizione di potere e stupra Grace.

Mentre l’atto di violenza è in corso, una prima inquadratura mantiene il nostro sguardo all’interno della casa di Chuck. Il punto di vista così costruito, tuttavia, ci consente di vedere ciò che avviene all’esterno della casa (per strada e, data l’assenza di qualsiasi muro, nelle altre case): la polizia è a Dogville, qualcuno le sta parlando, mentre altri spiano da dietro le loro “finestre”. Tom cammina verso la casa di Chuck.

All’improvviso, le inquadrature portano il nostro sguardo al di fuori della casa di Chuck, nel mezzo delle attività degli altri personaggi: da qualsiasi punto di vista, è impossibile non vedere ciò che sta avvenendo dentro casa di Chuck. Tutti i personaggi, tuttavia, si comportano come se nulla fosse visibile al di fuori delle loro mura invisibili. La dimensione sonora è, colpevolmente, silenziosa, puntuata unicamente dalle parole degli abitanti di Dogville, pronunciate a bassa voce, immerse in un riverbero rumoroso.

La finzione dell’invisibile non è più accettabile

Sotto accusa

Siamo sotto accusa e, con noi, sono sotto accusa le convenzioni audiovisive del cinema narrativo di finzione. La discrepanza fra ciò che vediamo e le modalità con le quali dovremmo interpretare ciò che vediamo è così profonda che il problema non può essere più evitato: non possiamo far finta che le mura invisibili esistano. Vediamo la violenza e vediamo che la violenza è visibile. La dimensione sonora, con brutale silenzio, ci ricorda quanto sia facile abbandonarsi alle convenzioni che regolano la nostra quotidianità e negare, nascosti dietro mura invisibili, le nostre violente co-responsabilità.

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Nato a Milano nel ’94, ho studiato Musicologia fra le università di Pavia e Vienna (laurea triennale) e Utrecht (master of research), più che altro come pretesto per approcciare il Cinema dalla sua metà più “subconscia”. Mi sforzo di coniugare riflessioni teoriche a esperienze pratiche, interessato a esplorare gli infiniti modi in cui l’audiovisivo media e crea esperienze del reale. Attualmente studio presso la Civica Scuola di Cinema Luchino Visconti.