19 maggio 2018. La giuria di Cannes, presieduta dall’incantevole Cate Blanchett, assegna il Prix du scénario, ovvero il premio alla miglior sceneggiatura, al film Lazzaro felice, della regista italiana Alice Rohrwacher. Il film divide immediatamente critica e spettatori, stupefatti dall’originale e personale approccio adoperato dalla regista e sceneggiatrice toscana. Ma per chi scrive, rimane un’esperienza visiva e intellettuale a cui non rinunciare.
I cataloghi di Netflix e Amazon Prime Video hanno caricato da pochi giorni sulla propria piattaforma il film. Diventa così facile innamorarsi di Lazzaro felice, e oggi cercheremo di capire perché.
«Lazzaro Felice», trama
Anno: 2018
Durata: 125 minuti
Regia/Sceneggiatura: Alice Rohrwacher
Interpreti: Nicoletta Braschi, Sergi López, Alba Rohrwacher, Tommaso Ragno, Natalino Balasso, Adriano Tardiolo, Luca Chikovani
La storia è divisa in due blocchi: nella prima parte si incontra, nel Parco naturale dell’Inviolata, una piccola comunità di braccianti. Sono governati dalla Marchesa Alfonsina de Luna (Nicoletta Braschi), conosciuta come «la regina delle sigarette». La severa padrona sfrutta cinicamente i lavoratori, i quali, ignari di ogni forma di cultura o società civile, vivono a in armonia. Tra questi, si distingue Lazzaro (Adriano Tardiolo), giovane dall’animo gentile, casto, puro, altruista e sgobbino per tutti gli altri.
L’incontro con il giovane Tancredi (Luca Chikovani), figlio della Marchesa, rappresenta la scoperta di una relazione diversa, di una sorta di fratellanza, sebbene un po’ viziata.
Scoperto l’inganno da parte dei carabinieri, e liberati, la seconda parte del film catapulta lo spettatore nelle periferie di un grande centro urbano. I contadini finiscono con il vivere alla giornata, rubacchiando e vivacchiando del poco che riescono ad avere. Lazzaro, risorto dopo la caduta da un dirupo, arrivato in città, viene riconosciuto da Antonia (Alba Rohrwacher), una delle figlie dei contadini ormai cresciuta, che lo riconosce e lo invita a vivere in un serbatoio vicino alla ferrovia, insieme ad altri suoi vecchi compagni di lavoro.
Lazzaro incontra Tancredi adulto (Tommaso Ragno), ridotto in miseria perché la banca gli ha portato via tutto. La disgrazia di Tancredi colpisce profondamente il protagonista, e per questo diviene capace di un gesto inusuale.
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Perchè guardare «Lazzaro felice»
Un film che rifiuta la velocità: si muove con una lentezza che non vuole essere ridondante o autoriale. L’assenza di velocità segue i ritmi della natura, nella prima parte, in un quadro idillico dell’esperienza agreste. La vita non è perfetta, anzi, si racconta di una forma antica di schiavitù. Eppure sembra emergere un’antica unità, una serenità bucolica che, a dispetto delle evidenti difficoltà, lascia ridere e sorridere la comunità.
Il passaggio al contesto urbano, alla società civile. Il mondo postmoderno che dovrebbe rappresentare il momento del riscatto, della dignità, diventa alienante, vero momento di spaesamento e impossibilità di ingresso nella civiltà.
Lazzaro è il protagonista che subito si ama. Uomo buono, innocente, sfruttato per il suo ingenuo altruismo, morto a seguito della caduta da un dirupo. Risorge, come da copione per il proprio nome, per la possibilità di una seconda vita lontano dalla schiavitù agreste; ma la vita urbana diventa per lui impossibile, prosaica, incapace di restituire ai suoi occhi sognanti un briciolo di poesia.
La pellicola è segnata da una poeticità che attinge le proprie immagini tanto da Ermanno Olmi quanto da Pier Paolo Pasolini. Le allegorie e i simbolismi sono densi, a volte eccessivamente, tra riferimenti evangelici e francescani. Ma non manca mai il desiderio di una giustizia umana in grado di assicurare identica dignità ad ogni individuo.
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