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Inu-Oh copertina

Inu-Oh, We Will Noh You

8 minuti di lettura

Sgargianti maschere. Movimenti robotici. Ritmi insistenti e lunghe urla, alternate da fiati e percussioni: il Noh. Una delle forme più antiche di teatro ancora messo in scena, il Noh si contraddistingue dal suo nipote più popolare, il Teatro Kabuki, perché meno espressivo, più vicino al rito religioso che alla rappresentazione teatrale. Le origini di questa forma d’arte si sono perse nel tempo, ma continua ad affascinare pubblico e creativi insieme: basti pensare che Yukio Mishima, uno dei più importanti autori giapponesi della contemporaneità, ha scritto e diretto Cinque Noh Moderni solo nel 1956 e che testi di ogni epoca continuano ad essere rappresentati sia in Giappone che all’estero.

Masaaki Yuasa, geniale creatore delle serie The Tatami Galaxy (2010) e Devilman Crybaby (2018), oltre che di film come Mind Game (2004) o The Night is Short, Walk on Girl (2017), torna nelle sale italiane il 13 ottobre 2023 (ben due anni dopo l’uscita del film in Giappone) con Inu-Oh, spregiudicata rilettura della leggenda dei padri del Teatro Noh.

Lo Stile di Yuasa

Inu-Oh

Ora, va specificato che lo stile visivo di Yuasa è uno dei più dirompenti ed unici del contemporaneo panorama anime: i corpi dei suoi personaggi si espandono e dilatano come gomma, strabordano dal tratto stesso delle linee di contorno, esplodono in colori e forme che non dovrebbero addirsi all’anatomia umana. Eppure le storie rimangono profondamente incentrate sui sentimenti più intimi, senza mai perdere di vista il proprio compasso emotivo nel mezzo della follia stilistica: una buona analogia sarebbe paragonare The Tatami Galaxy a un prodotto come Everything Everywhere all at Once, nel quale la sostanza non viene fagocitata dal caos (controllato) dell’esecuzione.

Sia visivamente che contenutisticamente Inu-Oh porta Yuasa a vette raggiunte in precedenza solo dal suo debutto Mind Game: con design e colorazioni ispirate da Impressionismo, Ukyio-e e (per davvero) video musicali alla MTV, durante il Periodo Muromachi (1300-1500) un suonatore di biwa cieco incontra un orribile uomo deforme capace di esibirsi come nessun altro nel teatro Sarugaku, storico antenato del Noh. I due sono rispettivamente Tomona, un ragazzo privato della vista e del padre da un manipolo di guardie dello Shogun e Inu-Oh (letteralmente “Il Re dei Cani”), un Quasimodo ripudiato dalla famosa famiglia di teatranti nella quale è nato. Dal loro incontro nasce una scintilla musicale che infiammerà gli animi dell’intera nazione con musica mai sentita prima di allora.

Una musica che colpisce noi spettatori come uno schiaffo senza alcun preavviso: il film, introdotto da un accompagnamento “classicamente giapponese” fin dai titoli d’apertura, non può neanche lontanamente far intuire che la rivoluzione di Inu-Oh e Tomona sia il vero e proprio avvento della prima rock-band giapponese, con tanto di capelli lunghi, movimenti pelvici e performance a petto nudo. Il suono malinconico dei liuti si trasforma in chitarre elettriche e batterie, il pubblico di strada in folle di fan, groupies e adepti della nuova musica della rivoluzione.

Inu-Oh, il Glam Noh

Inu-Oh

Contro il ritualistico teatro classico, contro le istituzioni ad esso legate, contro lo Shogun in persona, persino contro le norme sessuali dell’epoca, i due rocker si truccano, portano i capelli lunghi, vestono da donna e urlano in inesistenti microfoni tutto il dolore che si sono portati dentro da sempre: vero e proprio Glam Rock, fatto di eccessivi costumi, complesse coreografie e rottura degli schemi. Le masse cadono sempre più ai loro piedi, una vera e propria Beatlemania si espande sul Giappone mentre questi due nuovi paladini del diverso si truccano come i Kiss, vestono come Mick Jagger e cantano come i Queen.

Viene in mente il prorompente film di Ken Russell Lisztomania (1975), nel quale Roger Daltrey -frontman degli Who– interpretava Franz Liszt, compositore ungherese che nel 1800 divenne la prima rockstar dei tempi moderni: un film folle tanto quanto Inu-Oh, storicamente inesatto, ma più che capace di convogliare con efficacia l’isteria che le masse provavano e provano ancora per i loro artisti preferiti. Con l’imminente uscita nelle sale di Taylor Swift: The Eras Tour (2023), le immagini di onde umane di spettatori ai concerti di Inu-Oh e Franz Liszt saranno più attuali che mai.

Sarebbe ancora più corretto citare come forma di paragone per Inu-Oh la prima e più famosa collaborazione fra il regista britannico Ken Russel e Daltrey: Tommy (1975), prima rock-opera della storia del cinema adattata dall’omonimo album degli Who, vede protagonista un ragazzo traumatizzato dalla vita che diventa cieco, sordo e muto. Attraverso la sua arte (giocare a pinball), riacquista i sensi e la libertà, solo dopo aver perso tutto, eroso dalla fama di adoranti fan che lo idolatrano dio del flipper.

Proprio come l’isolato Daltrey cantava “see me, feel me” ai propri genitori, Tomona incanala tutta la sua rabbia ed il suo dolore per cantare come nessuno aveva mai fatto e Inu-Oh sceglie di dare voce a centinaia di spiriti insepolti le cui storie non sono mai state raccontate; in entrambi i film il talento è una maledizione da spezzare per purificarsi e rinascere mediocri ma felici: Daltrey riacquista i sensi e Inu-Oh comincia lentamente a trasfigurarsi in un essere umano dalle corrette proporzioni di performance in performance. In tanti non ce l’hanno fatta: da Elvis a Freddie Mercury, molti sono stati fagocitati dal loro personaggio, eppure la consolazione più grande è che la loro arte rimarrà immortale per sempre.

Nel creare il Glam Noh, Yuasa ci ricorda che il nuovo, quando è veramente nuovo, fa paura. Il nuovo sarà deforme, rumoroso e all’inizio forse anche un po’ ridicolo, ma col tempo tutto verrà inevitabilmente assorbito dal sistema, favorendo quindi il germogliare della successiva novità, in un continuo ciclo di fertilità artistica: e se alla fine, un nuovamente umano Inu-Oh viene istituzionalizzando, le sue opere ispireranno la rivoluzione dopo, e quella dopo ancora e dopo ancora. E lentamente, nota dopo nota, canzone dopo canzone, sarà il sistema stesso a cambiare ed accettare il diverso per rimanere al passo e non scomparire con la sua polverosa rigidità tradizionalista.


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Appassionato e studioso di cinema fin dalla tenera età, combatto ogni giorno cercando di fare divulgazione cinematografica scrivendo, postando e parlando di film ad ogni occasione. Andare al cinema è un'esperienza religiosa: non solo perché credere che suoni e colori in rapida successione possano cambiare il mondo è un atto di pura fede, ma anche perché di fronte ai film siamo tutti uguali. Nel buio di una stanza di proiezione siamo solo silhouette che ridono e piangono all'unisono. E credo che questo sia bellissimo.

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