Jane B. par Agnes V.: il ritratto che Agnes Varda regala a Jane Birkin per il suo 41esimo compleanno è una delle rappresentazioni più dolci, intime e giocose della diva, scomparsa questo luglio all’età di 76 anni. Un tenero scambio di sguardi tra amiche che sfida il mito della celebrità e ci fa interrogare sul confine tra ciò che appare al pubblico e il loro mondo intimo, domestico, quotidiano. Una dimensione che Varda trae dall’oscurità e mette davanti alla macchina da presa con delicatezza e creatività, sfumando la linea di demarcazione tra atto spontaneo e atto artistico.
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Ma soprattutto Birkin alle soglie dei 40 anni: in un mondo in cui l’artista britannica naturalizzata francese viene ricordata attraverso le immagini che la incatenano alla sua gioventù, mutilata delle sue evoluzioni. Con Jane B. par Agnes V. (disponibile su MUBI) Varda le (e ci) regala un ritratto mobile, uno scrigno visivo che contiene la bellezza e il dolore del tempo che scorre.
Uno sguardo che racconta: un patto di fiducia
In Jane B. par Agnes V. si realizza la composizione dell’unicità del sé attraverso la sua natura espositiva e relazionale di cui parlava nel campo della filosofia della narrazione Adriana Cavarero in Tu che mi guardi tu che mi racconti. La componente visiva del mezzo cinematografico esalta ancora di più il ruolo di ciò che appare dell’io: ma soprattutto evidenzia la necessità di un altro sguardo per raccontare ciò che l’io espone. In questo caso quello che Birkin mostra di sé e che Varda prende e rielabora, per poi restituirglielo sotto forma di storia di vita.
Jane B. par Agnes V. prende la nozione dello sguardo come strumento di narrazione nel ‘rivelare il significato senza l’errore di definirlo’ e lo persegue con coerenza e costanza: Jane Birkin, d’altro canto, si mette a completa disposizione dello sguardo di Varda docilmente, fiduciosa del fatto che la regista abbia le capacità e la sensibilità necessaria per raccontarla e restituirle una narrazione in cui possa prima sorprendersi, poi riconoscersi e, infine, commuoversi.
L’attrice si offre completamente alla regista, consapevole che ‘ciò che conta è l’occhio dietro la telecamera, il pittore che regge il pennello’: solo il suo sguardo è in grado di restituirle una narrazione della sua esistenza in grado di renderle giustizia, di includere l’inespresso. Un ritratto che vada al di là di un’elencazione di fatti e di eventi, ma che dipinga l’universo di Jane nella sua fantasmagorica complessità, fatta di stralci di amori, di canzoni, di desideri, di figli, di ricordi d’infanzia.
Il viaggio di Jane inizia con un tentativo di distogliere lo sguardo: ma senza due sguardi che si incontrano non ci può essere storia. Jane deve fissare l’obiettivo e parlargli, parlarci. ‘È troppo personale, è come guardare qualcuno negli occhi’ spiega all’inizio a Varda che osserva, ‘forse è come uno specchio’. Ma Jane risponde: ‘no, in uno specchio non guardi gli altri, guardi te stessa’.
Così Jane viene posta davanti al suo riflesso, ma questo non le permette di sottrarsi allo sguardo dell’obiettivo: lo specchio diventa egli stesso sguardo e strumento di moltiplicazione e di condivisione di prospettive. Jane che si guarda, Jane che guarda l’obiettivo della telecamera, noi che guardiamo Jane, che come in un prisma si scompone sotto il moltiplicarsi degli sguardi e delle narrazioni che si portano dentro.
L’icona frammentata in Jane B. par Agnes V.
Dal confronto dello sguardo di Birkin col suo riflesso, con quello della telecamera e di Varda che le fa da guida emergono le crepe, le contraddizioni che compongono come schegge di vetro riassemblate goffamente la figura dell’icona. Desiderosa di piacere a tutti (‘non mi importa cosa farai con me, a me basta sentire di piacerti’), di godere del privilegio della fame e di comparire sulle copertine dei magazine, ma che al tempo stesso sogna di girare un lungometraggio su ‘chi è davvero’, in ‘jeans, maglioni vecchi, capelli in disordine, scalza in giardino.’
‘Sei originale ma vuoi sembrare ordinaria. Sogni di essere un celebre nessuno.’ È la risposta di Varda, in questo incessante intessere la biografia di Jane attraverso il confronto e lo scambio, in una relazione necessaria ‘al suo stesso nominarsi come unicità’.
Lo sguardo non è solo quello del narratore che accoglie una storia da trasformare in biografia: ma c’è anche lo sguardo del pubblico che gioca un ruolo importante. Il pubblico, con la sua conoscenza pregressa di Birkin e la sua immagine stereotipata negli occhi, con Jane B. par Agnes V. si ritrova parte di una nuova narrazione: così come Birkin è costretta a guardare l’obiettivo, il pubblico è costretto a guardare Birkin mentre cancella le etichette a cui è associata, nella sua forma più umana, imperfetta e libera.
Ma le schegge non possono comunque tornare ad essere unite e indivisibili: vengono accostate una accanto all’altra, ma in mezzo ci sarà sempre un piccolo spazio vuoto. Da qui riparte la reinvenzione dell’icona. In Jane B. par Agnes V. quei sottili spazi vengono riempiti dai ritratti di Varda a cui Jane si presta come modella: la figura di Birkin viene rappresentata attraverso continui alternarsi di momenti di straniamento e di riconoscimento. Birkin chiede autenticità , Varda esaudisce la richiesta con altri artifici: più il ritratto è artefatto più si avvicina alla verità di Jane B, anche quando lei non lo sa.
Pur affidandosi completamente allo sguardo di Varda nel farsi dirigere Jane B. non è solo il soggetto della narrazione, ma a modo suo prende anche le redini del narrare. Da Birkin emerge quello che è il ‘desiderio di un sé narrabile che si prodiga in esercizi autobiografici per fare dell’altro il suo adeguato narratore’. Usando le parole di Cavarero: mette a disposizione della magia di Varda la materia umana intima, personale, stralci della sua biografia e persino frammenti del suo mondo onirico per vedere la loro immagine specchiata e in quanto tale distorta. E nella loro distorsione riconosce una verità più profonda, che si nasconde nelle pieghe di ciò che non si è ancora realizzato.
Lo scopo del racconto di Jane B. par Agnes V. non è quello di immortalare, di congelare l’icona e ridurla alle sue gesta più valorose, ma di liberarla dalle catene della perfezione e dell’immobilità, anche se questo significa consegnarla al flusso del tempo presente.
Sono Jane B., sono nata inglese, la mia altezza adesso è di 1,73 m. Nessun tratto distintivo. Nessun talento eccezionale, ma sono qui. Mi state guardando mentre il tempo passa.
Jane Birkin
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