Krzysztof Kieślowski è stato uno dei più grandi registi polacchi di tutti i tempi, una leggenda del mondo del cinema. La sua produzione cinematografica è considerata una dei più fini esempi di cinema d’autore legato a forti dimensioni politico/sociali, e allo stesso tempo filosofico-esistenziali. Scopriamolo assieme con tre suoi film da non perdere.
Ma chi è Kieślowski?
Kieślowski è stato un regista polacco che si è formato, durante gli anni dell’Unione Sovietica, alla scuola di cinema di Lods, che a suo tempo godeva di fama internazionale.
Inizia la propria carriera da regista girando documentari per la televisione polacca, solo che alcuni di questi, come lavoratori 1971, che rappresentava lo sciopero anti-regime ai cantieri Lenin di Danzica , o La stazione, verranno sequestrati e porteranno il regista ad avere una serie di problemi col governo filo-sovietico.
Negli anni delle rivolte di Solidarnosc Kieślowski sarà uno di quei registi polacchi che si propone di ritrarre la vita delle persone sotto il regime sovietico in Polonia, e lo fa avendo un sodalizio intellettuale proprio con uno degli avvocati ribelli di allora, Krzysztof Piesiewicz, con cui scriverà il Decalogo.
Le sue opere più celebri sono: La tranquillità (1976), Una breve giornata di lavoro (1981), il Decalogo (1988), che è un’opera fatta di 10 mediometraggi, coi titoli dei dieci comandamenti. Poi sicuramente la produzione francese dei Tre colori.
Lo stile del regista è molto interessante. Scevro da qualsiasi utilizzo di effetti speciali, i film di Kieślowski si presentano nella loro veste fortemente realistica e minimalista, in ossequio a quell’idea di rappresentazione minuziosamente fedele del reale. E oggetto di questo reale è in particolare l’epoca comunista della Polonia.
Al fondo però di questo realismo c’è anche un profondo esistenzialismo che si rivela entro i confini di una serie di storie, di vicende di vita, di personaggi, che come nella nausea di Sartre ad un certo punto si ritrovano immersi nella realtà, e si accorgono tragicamente di esistere, di essere liberi, di non essere soltanto un altro elemento di un blob indifferenziato pronti ad essere risucchiati da una sorta di determinismo quasi demiurgico. No, i personaggi di Kieślowski si accorgono che i confini della loro vita non sono ancora stati decisi, che esistere significa essere liberi, ma che la libertà sfocia in condanna qualora non venga usata per qualcosa di utile. Ed ecco che forse questo utile Kieślowski lo trova nel suo cinema politicamente e filosoficamente impegnato, e talvolta, lo fa trovare allo stesso modo anche ai suoi personaggi.
Senza Fine (1985)
Senza Fine è uno dei film forse più politici di Kieślowski.
Nei giorni della messa al bando di Solidarnosc, un avvocato difensore di uno dei manifestanti, perde la vita a causa di un infarto. La moglie, una traduttrice, continua a vedere il marito fantasma e tenta di liberarsene attraverso vari metodi, come l’ipnosi, l’immersione nel lavoro, le relazioni sessuali, ma l’uomo continua a rimanere. Nel frattempo frequenta anche i vari membri di Solidarnosc, e il manifestante prima difeso dal marito ora verrà difeso da un altro avvocato che gli era molto vicino.
Un film nato dal sodalizio tra il regista e l’avvocato di Solidarnosc Piesiewicz, e il significato occulto del film pare essere che l’avvocato, difensore dei diritti liberali, volesse anche col proprio spirito rimanere al fianco dei manifestanti, per proseguire la lotta.
Ma in parallelo ad un significato politico, che certamente il film ebbe, e per cui fu condannato dal Partito, c’è anche un motivo filosofico-esistenziale. Infatti la donna ritrovandosi al di fuori della propria realtà famigliare, dunque per certi versi una realtà determinata, si vede comparire di fronte a sé una realtà indeterminata. Non è più la moglie del famoso avvocato, ma è una donna libera. Ma libera significa senza più un’identità determinata, e in qualche modo persa in una realtà che veniva in tal modo privata di uno scopo predeterminato. La condanna alla libertà allora la porta a ricercare un antidoto, che non però non riuscirà a trovare nella sua quotidianità. Così la fantasmagorica e fittizia presenza del marito in qualche le dà la possibilità di arrampicarsi sulle apparenze del reale e non dover affrontare la sua atroce condanna, la libertà.
Decalogo 6 – Non desiderare la donna di altri (1988)
Il sesto capitolo del telefilm Decalogo, che corrisponde al sesto comandamento ‘‘non commettere atti impuri’‘, e che è stato trasposto al cinema col titolo ”Non desiderare la donna di altri’‘ (nono comandamento) è la seconda opera che vi consigliamo.
Un giovane impiegato delle poste di nome Tomek, timido e insicuro, si invaghisce di una donna molto avvenente di nome Magda. La spia col suo telescopio dalla finestra ogni sera e questa non si accorge di nulla, finché un giorno, dopo che lui aveva lasciato nella sua cassetta postale una ricevuta di credito postale fasulla, lei va in posta a ritirare il denaro, la ricevuta viene riconosciuta come falsa, e dopo che la donna se ne era andata via infuriata dall’edificio, il ragazzo la insegue, la ferma e le dice tutta la verità.
Nei giorni successivi la donna entra in contatto più stretto con il giovane e addirittura ci esce assieme. Il suo fine è quello di far comprendere al ragazzo che l’amore non esiste, che è un’invenzione, e arriva addirittura per questo a proporgli l’atto sessuale. Ma il ragazzo, che ha un orgasmo precoce si vergogna e scappa a casa. Qui, nel bagno, si taglia le vene, ma alla fine verrà salvato.
Questo è certamente uno dei film più belli di Kieślowski, e allo stesso tempo è uno dei più minimalisti. Lo spazio della scena qui è essenzialmente limitato a due luoghi: l’appartamento di Magda e quello di Tomek. Due appartamenti che stanno in due palazzi uno di fronte all’altro, e uno assume il ruolo di spettatore, l’altro di attore. Uno guarda vivere e l’altro vive, o forse recita.
Ad un certo punto però, dopo il tentato suicidio, la donna improvvisamente si accorge di esistere. Fino a quel punto la sua vita non era stata altro che l’interpretazione di un oggetto, un oggetto in mezzo ad altri oggetti in una teca a vetri, il suo appartamento. Un oggetto con un copione ben determinato, fatto soprattutto di molti uomini, sempre diversi, ma tutti legati dall’incapacità di amare. Insomma, il prezzo da pagare per entrare nella vita intima di Magda era essenzialmente questo: non essere capaci di amarla, per poter in tal modo mantenere in piedi l’esistenza e l’identità esistenziale della sua vita determinata proprio da quella circostanza.
Quando questa incontra Tomek e lui le dice, quasi senza pudore, un qualche cosa che nessun uomo le aveva mai osato dire, ossia di amarla, tutte le sue certezze e tutta la sua realtà e identità già determinata si squilibra e vacilla. Di conseguenza cerca in tutti i modi di far capire al ragazzo che l’amore non può esistere, e lui è impossibile che lo provi, e lo fa quasi beffandosi di lui, solo che questi arrivato ad un culmine decide di uccidersi, e lo fa per amore.
Ecco che a questo punto tutta la vita della donna crolla, e si ritrova improvvisamente privata di quella sua convinzione dell’impossibilità dell’amore che in qualche modo le aveva dato forma e determinazione. Fuori dai suoi limiti e dalle finte costruzioni, si accorge di essere libera, e si ritrova così nel suo stato di condanna esistenziale.
Tre colori – film Blu (1993)
L’ultimo film di Kieślowski che vi consigliamo fa parte della fortunata trilogia dei Tre colori, che si rifanno alla bandiera francese (rosso, bianco e blu) e ai suoi significati. Nel nostro caso il Blu ha come significato la libertà, e infatti è proprio di questo che parla.
Julie, moglie di un famoso compositore musicale fa un incidente automobilistico col marito e la figlia ed è l’unica a rimanere in vita. In un primo momento pensa di farla finita e di suicidarsi, poi decide semplicemente di liberarsi del passato. Così vende tutte le proprietà, distrugge tutte le partiture musicali del marito, va a vivere in una casa anonima e lontana dalla propria, e intesse una relazione con un vecchio amico del marito.
Ma nonostante il suo continuo scappare, più da se stessa, che da un luogo preciso, non la porta mai ad approdare ad una dimensione risolutiva. Insomma, la donna sembra voler in qualche modo scappare da tutta la vita determinata precedentemente e quando lo fa arriva alla libertà, ma questa libertà in sé non risolve il dolore della vita e si presenta invece come mera condanna.
Seguici su Instagram, Facebook, Telegram e Twitter per sapere sempre cosa guardare!
Non abbiamo grandi editori alle spalle. Gli unici nostri padroni sono i lettori. Sostieni la cultura giovane, libera e indipendente: iscriviti al FR Club!