A distanza di quattro anni da The Irishman, il regista premio oscar Martin Scorsese ritorna in sala con il suo nuovo film Killers of the Flower Moon, nelle sale dal 19 ottobre 2023.
Scorsese torna al cinema con un’opera imponente, caratterizzata da un cast variegato e da una storia composta da intrecci e carica di tribolazioni. Un racconto sulla natura umana, sul potere del denaro e su quanto questo possa, come una pericolosa malattia, diffondersi tra gli uomini.
Killers of the Flower moon, la maledizione della ricchezza
La scena con cui Killers of the Flower Moon si apre è quella di un funerale. Ma non si tratta di un funerale qualsiasi, bensì di uno molto particolare: quello di una pipa tradizionale indiana.
“Seppelliamo questa pipa, perché da domani tutto sarà diverso” afferma il capo tribù mentre innalza l’oggetto al cielo, tra i singhiozzi e le lacrime di tutti coloro che lo circondano, consapevoli della verità racchiusa nelle sue parole. La celebrazione a cui assistiamo è infatti quella in onore della cultura e della tradizione del popolo nativo americano, oramai in procinto di tramontare con l’arrivo dell’uomo bianco che , con i suoi nuovi usi e costumi, occuperà le loro terre.
Mentre il sole batte spietato sulla capanna in cui gli Osage piangono per ciò che li aspetta, altri membri della tribù poco distanti si ritrovano inondati da un destino inaspettato. Dalla terra che abitano, iniziano a sgorgare fiotti di nero petrolio, che macchia i loro corpi, ricoprendoli completamente e aprendo loro le porte di una nuova prospettiva di vita fatta di ricchezza e apparente prosperità. Ciò che gli Osage non sanno, è che quella stessa ricchezza non sarà altro che una nuova maledizione che cambierà per sempre la loro storia.
Con questo prologo inizia Killers of the Flower Moon, film che, basandosi sul libro Gli assassini della terra rossa di David Grann, riporta le vicende intorno ai molteplici omicidi nei confronti della comunità indiana degli Osage, realmente avvenuti tra gli anni ’10 e gli anni ’20 dello scorso secolo.
Per poter raccontare la tragica sorte del popolo Osage, Martin Scorsese, aiutato dalla penna di Eric Roth, sceglie di focalizzare l’attenzione su un pugno di personaggi attorno ai quali il regista costruisce la trama che porterà allo sviluppo di tutta la narrazione.
Tra questi, conosciamo il giovane Ernest Burkhart (Leonardo DiCaprio) che, di ritorno dalla prima guerra mondiale, decide di cercar fortuna recandosi in Oklahoma al cospetto dello zio William Hale (Robert De Niro), un uomo rispettato da tutta la comunità e di grande potere al punto da venir chiamato col titolo di “Re”. Su incarico dello zio, Ernest inizia a lavorare come autista nella cittadina di Fairfax. Lì, il ragazzo fa la conoscenza della giovane Mollie (Lily Gladston), una Osage che possiede, insieme alla sua famiglia, una grande concessione economica legata alla proprietà petrolifera.
Tra i due inizia una relazione che li condurrà sull’altare nuziale, con un matrimonio che unisce le rispettive famiglie sotto la benedizione, e lo sguardo vigile, di “Re” William Hale. Tutto sembra andare per il meglio fino a quando in città non iniziano ad aumentare i casi di omicidio di nativi, che sconvolgeranno l’equilibrio di tutta la comunità Osage, causando un susseguirsi di dolore e di paura. un’opera sul dolore e sulla cupidigia
Un’opera sul dolore e sulla cupidigia umana
Scritto con cura e girato alla perferzione, Killers of the Flower Moon si rivela, senza troppi giri di parole, un film eccezionale. Nonostante l’imponente durata di 206 minuti (quasi tre ore e mezzo!), riesce a catturare totalmente l’attenzione dello spettatore: lo scorta altrove, verso un altro tempo e un altro luogo, in un’epoca di transizione finale tra il mondo antico e quello moderno.
A colpire maggiormente è, infatti, la cura con cui Martin Scorsese riesce a raccontare l’impatto violento del mondo occidentale sulla vita dei nativi americani: emblematica è in questo senso la scena con la quale il regista , poco dopo l’inizio del film, mostra dall’alto una pianura apparentemente pura e incontaminata ma che si scopre essere – una volta allargato lo sguardo della telecamera – totalmente deturpata dagli impianti petrolifici, intenti a estrarre dalla terra il tanto desiderato “oro nero”.
Un altro aspetto che rende interessante Killers of the flower Moon è proprio il modo in cui Martin Scorsese decide di mettere in scena l’intera vicenda. Rinunciando alla tentazione dei possibili colpi di scena, Scorsese decide di non percorrere la via del thriller o del giallo, ma di svelare immediatamente le carte in tavola: sin da subito ci è chiaro ogni ruolo, ogni sfumatura del carattere dei vari personaggi e del loro destino.
Più che un semplice film storico o drammatico, Martin Scorsese mette in piedi un racconto epico sul dolore e sull’avidità dell’essere umano, che, pur di colmare la propria sete di ricchezza, è pronto a compiere delitti e atrocità, disumanizzando le proprie vittime e trattandole come una mera forma di guadagno personale.
A incarnare questa forma di avidità, è proprio il personaggio di De Niro, “Re” William Hale, che, senza alcuno scrupolo, innesca una catena di potere che travolge totalmente il nipote Ernest, un uomo debole e assoggetato dalla forte personalità dello zio. Ernest diviene nient’altro che una pedina nelle mani di Hale, il vero burattinaio che, con sorrisi e falsa solidarietà, si muove sapientemente all’interno della comunità Osage. Il volto di De Niro rappresenta è il volto dell’uomo occidentale che, con subdolo e calcolatore, si finge amico di quello stesso popolo che tradirà per arricchire le proprie tasche.
La cultura capitalistica, dunque, si diffonde come un morbo e ammala la terra: non è un caso che, man mano che la pellicola si sviluppa, l’ambientazione circostante diventi sempre più urbana, caratterizzata dal continuo susseguirsi di automobili e di edifici moderni, lasciando alle spalle quella ruralità tipica del popolo Osage.
Un’ambientazione che – è doveroso precisarlo – è stata studiata nei minimi dettagli grazie all’efficiente lavoro di Jack Fisk, già scenografo di registi del calibro di Terrence Malick, David Lynch e Paul Thomas Anderson. Come ne Il Petroliere, infatti, le ricostruzioni scenografiche sono convincenti e ineccepibili, così come anche tutti i costumi curati da Jacqueline West.
Ma a lasciare a bocca aperta è la regia dello stesso Martin Scorsese. I movimenti di macchina e i piani sequenza adottati per le riprese degli interni dimostrano ancora una volta la maestria del regista americano, capace anche di prendersi il proprio tempo dove necessario, mantenendo uno sguardo più fermo e attento.
In Killers of the Flower Moon è in effetti inopportuno parlare di lentezza: pur prendendosi i propri tempi, le vicende si susseguono una dopo l’altra con un ritmo che pare non cedere mai, portando lo spettatore a immergersi totalmente nella narrazione, a osservare le evoluzioni emotive e personali dei vari personaggi.
Killers of the Flower Moon beneficia anche della spettacolare performance del cast, a partire dalla splendida Lily Gladston nei panni di Molly. La sua è un’interpretazione densa di dolore e di passione, che riesce a trasmettere tutta la sofferenza racchiusa all’interno della storia. Non da meno i due protagonisti maschili: Leonardo Di Caprio, adottando alla perfezione l’accento e l’ingenuità del proprio personaggio, dona allo spettatore una performance memorabile e Robert De Niro non tradisce le aspettative, riuscendo a incarnare totalmente il proprio ruolo di gangster spietato. Degna di nota, seppur breve, la performance di Brendan Fraser nei panni dell’avvocato Hamilton.
Killers of the Flower Moon, le mani che hanno costruito l’America
A una prima visione, Killers of the Flower Moon sembra essere il sunto della carriera cinematografica di Martin Scorsese: c’è il tema dell’avidità (già affrontato in pellicole come The Wolf of Wall Street), c’è la volontà di raccontare le contraddizioni della nascita dell’America (simile a quella espressa in Gangs of New York) e ci sono le dinamiche del gangster movie tipiche del cinema scorsesiano. Impossibile non pensare, rivedendo De Niro al banco degli imputati durante la scena del processo, a quella già proposta in Quei Bravi Ragazzi, nei panni del mafioso Jimmy Conway.
Il regista riversa se stesso nel DNA di un film che accende ancora una volta i riflettori sulle ingiustizie verso i più deboli da parte di chi striscia infidamente attraverso il potere e il denaro. Un racconto complesso che si esaurisce in un epilogo tanto inaspettato quanto geniale e che riesce pienamente a trasmettere allo spettatore tutta l’amarezza di una storia malrisolta. Sentiamo tutta la sofferenza di quel popolo che, come un fiore selvatico, si nutriva della luce della luna e del calore della propria terra.
Killers of The Flower Moon, il cuore del cinema che ancora batte
Killers of the Flower Moon può essere definito un vero e proprio capolavoro? Sicuramente è necessario che il tempo faccia il suo corso e capire, con uno sguardo distaccato e più oggettivo, la vera potenzialità di un film così complesso e stratificato. Ciò che però è certo, è che si tratta di un’opera potente e profonda, davanti alla quale è impossibile rimanere indifferenti.
Forse un giorno, come ha recentemente affermato lo stesso Martin Scorsese, l’industria del cinema finirà davvero e niente sarà più come prima. Ma per adesso, caro Martin, siamo costretti a darti torto. Perché sono proprio i film come questo la prova evidente che il cuore del cinema continua a pulsare forte, fortissimo. E non dà segni di cedimento.
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