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La 25ª ora non è un film sull’11 settembre, ma lo racconta benissimo

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14 minuti di lettura

Spike Lee stava lavorando a un nuovo film, La 25ª ora, trasposizione cinematografica del romanzo d’esordio di David Benioff (sì, quello di Game of Thrones), quando due Boeing 767 si schiantarono sul World Trade Center e rasero al suolo le Torri Gemelle. L’attentato stravolse il mondo intero, così gli studios cercarono di eliminare le tracce delle torri dai film in uscita per non urtare la sensibilità del pubblico. Spike Lee, ribelle per natura, non solo mantenne le scene incriminate, ma chiese a Benioff – autore dello script – di aggiungere espliciti riferimenti all’accaduto. Una decisione “presa in un millisecondo”, dirà il regista, che trasformò un film su un pusher condannato al carcere in una struggente parabola della New York ferita.

la 25ª ora amici scena finale

La 25ª ora è una pellicola particolarmente malinconica, quasi lugubre. Procede lentamente, persino nelle sequenze più violente. È una tela dipinta con una tavolozza di grigi e celesti freddi, spesso le scene sono ambientate di notte o all’alba. Si respira fin dal primo momento un’atmosfera angosciante, esasperata dalla colonna sonora incredibile di Terence Blanchard. Stiamo vivendo le ultime 24 ore di libertà di Montgomery Brogan (Edward Norton), costretto al 7 anni di prigionia dopo essere stato beccato con due pacchi di droga nell’imbottitura del divano. Chi abbia fatto la soffiata per incastrarlo, Monty non lo sa. Forse la fidanzata Naturelle (interpretata dalla bellissima, all’epoca quasi esordiente, Rosario Dawson)? Di certo non il suo cane, Doyle.

La 25ª ora come metafora del post 11 settembre

monty doyle la 25ª ora

Salvare Doyle è l’unica cosa buona che Monty abbia fatto in vita sua, di questo ne è sicuro. Nell’incipit che precede i titoli di testa – che scorrono sul doloroso sfondo del Tribute in Light, l’installazione artistica che crea due fasci di luce azzurra dove una volta c’erano le Torri Gemelle – Monty trova Doyle per strada, maciullato e abbandonato a una morte lenta. Nonostante il cane sembri aggressivo e l’amico Kostya (Tony Siragusa) cerchi di dissuaderlo, l’uomo decide di prenderlo con sé e curarlo. La sequenza sembra insignificante, ma ha due funzioni: mostrarci il lato umano del protagonista, il nostro antieroe con pregi e difetti, e anticiparne le sorti, dato che nel finale vedremo anche lui smarrito e sanguinante.

Doyle è un incrocio tra un bastardino e un pitbull, con il manto bianco e nero: racchiude in sé il Bene e il Male, proprio come il suo nuovo padrone, proprio come New York e, per estensione, gli Stati Uniti d’America. L’animale ferito a morte è la rappresentazione fisica del post 11 settembre, prima ancora che sia impersonificata da Monty stesso.

Spike Lee dichiara il suo amore per New York, pregi e difetti

la 25ª ora fuck you monologo specchio

È nello spezzone più famoso di La 25ª ora che Spike Lee, usando le battute scritte da Benioff, descrive la sua New York nella maniera più cruda possibile. Edward Norton è davanti allo specchio del bagno, quando il suo riflesso inizia a dare di matto e a inveire contro “questa città di merda e chi la abita”, coinvolgendo ogni categoria residente negli USA. Gli immigrati, i ricchi, gli ebrei, i politici, i poliziotti, la Chiesa, persino Gesù Cristo, e infine, ovviamente Bin Laden, Al-Qaeda e i fondamentalisti, artefici dell’attentato dell’11 settembre. Poi il riflesso di Monty se la prende gli amici e i parenti, ma il vero Monty ammette la verità: è stata sua la colpa.

“In culo a te, Montgomery Brogan. Avevi tutto e l’hai buttato via, brutto testa di cazzo!”

Oltre a descrivere il melting pot newyorkese e le sue contraddizioni, il monologo – se accettiamo l’interpretazione secondo la quale la storia di Montgomery è un’analogia per la città e la nazione in quel particolare momento storico – sembra riconoscere delle colpe agli Stati Uniti, o almeno suggerire che il Paese non è vittima innocente degli eventi del 9/11. Dopo tutto, il nostro protagonista è un criminale. Allo stesso modo, gli USA si sono immischiati in molte guerre all’estero prima di essere colpiti da Al-Qaeda.

La 25ª ora è un’affresco dell’America ferita

la 25ª ora ultima sera monty

“È diventato tutto così strano… guardo la gente intorno a me e penso ‘sono miei amici’? dice Monty al padre, durante il loro ultimo pasto assieme. La diffidenza del singolo è solo una sineddoche rivolta all’intero Paese. La 25ª ora dà voce alle preoccupazioni dei newyorkesi, pugnalati alle spalle, quindi immersi in un clima di sospetto: di chi ci si può fidare adesso che il nemico è in mezzo a noi? Monty scoprirà poi che ad averlo tradito è il suo amico Kostya, lo stesso che – ironia della sorte – voleva impedirgli di salvare Doyle.

Persino la cerchia di amicizie di Monty è il riflesso dell’11 settembre. Il padre, James Brogan (un commovente Brian Cox) e gli amici Jacob Elinsky (interpretato dal compianto Philip Seymour Hoffman) e Frank Slaughtery (Barry Pepper) sono i volti degli USA post attentato. James si logora per non essere stato un genitore migliore, ma il fatto che sia un vecchio pompiere lo riconfigura come colui che avrebbe voluto fare di più per il Paese e ormai è costretto a raccoglierne i pezzi. Ricordiamo, infatti, che i vigili del fuoco, instancabili tra le macerie del World Trade Center, ebbero un ruolo fondamentale nel 2001; molti morirono durante gli interventi di soccorso.

Jacob è un impacciato professore, esponente della borghesia, rimasto al fianco di Monty dai tempi della scuola. È l’intellettuale ingenuo, che, incapace di accorgersi che l’amico ha di fronte a sé un pericolo che potrebbe ucciderlo, si perde nei suoi ragionamenti lontani dalla realtà. Invece, Frank è il classico broker di Wall Street, con una Redbull in una mano e una pallina antistress nell’altra. Lui era troppo impegnato a fare soldi per realizzare che Monty stava affondando. Non se lo perdonerà mai.

Sono Jacob e Frank i protagonisti di una delle sequenze più toccanti di La 25ª ora, che si svolge in un loft con vista sui resti delle Torri Gemelle. Era la prima volta che un regista mostrava Ground Zero al cinema, e Spike Lee lo sapeva: doveva farlo nel modo giusto. Jacob e Frank dialogano osservando fuori dalla finestra. Là sotto, il Tribute in Light illumina le macerie e i soccorritori all’opera. Jacob chiede a Frank se pensa di cambiare casa. Il no immediato e colorito di Frank esprime tutto l’orgoglio e il sentimento di rivalsa dei newyorkesi.

“Cambi casa?”

“Non ci penso neanche… con tutti i soldi che ho pagato per questo posto! Cazzo, no. Neanche se Bin Laden ne lanciasse un altro contro il palazzo accanto.”

ground zero la 25ª ora

Nel successivo scambio di battute tra i due amici, che ha per oggetto Monty ormai prossimo al carcere, lo sguardo rimane fisso su Ground Zero. Se la caverà? È forte, ma forse non abbastanza. Lo rivedremo mai? Parlano di Monty, in realtà si interrogano sul destino della città intera: New York si rialzerà dopo questo duro colpo? tornerà mai tutto come prima?

La 25ª ora prosegue come un rito funebre, accompagnato da musiche solenni e rivestito a lutto, simile a Monty nel suo cappotto nero che, insieme alla corporatura slanciata, lo fa assomigliare alla morte in persona.

Durante la festa che precede l’incarcerazione del protagonista, gli amici non riescono a divertirsi e si ritrovano faccia a faccia col rimorso, allora sentimento diffuso tra gli americani. Sul finale, il film si scioglie in un dolore rimasto a lungo nel ghiaccio. È un’esplosione di emozioni, un addio infinito, una sofferenza prolungata. La scena più straziante è quella in cui Frank, distrutto, prende a pugni Monty, che vuole arrivare in prigione sfigurato per non attirare l’attenzione degli altri detenuti. Doyle abbaia disperato: il suo padrone sta facendo la sua stessa fine.

C’è un futuro per il sogno americano?

Durante il viaggio in auto verso il carcere, il melting pot newyorkese aggredito nel monologo, sorridendo, offre l’estremo saluto a Monty in un’intensa, lenta carrellata sostenuta dalle note musicali di Blanchard. Il cerchio si chiude: New York sarà pure terribile, ma è sempre casa. Mentre il protagonista getta lo sguardo fuori dal finestrino, suo padre, al volante, immagina per lui una nuova vita, la 25ª ora. Gli propone di cambiare strada, attraversare l’America – la bandiera a stelle e strisce sventola sulla macchina di James – che è così vasta e bella da visitare, dirigersi in una cittadina in mezzo al deserto e ricostruirsi da zero.

Nel proporgli un futuro da latitante, James sottolinea che il figlio non potrà vai voltarsi indietro. Forse, tra qualche anno potrà contattare la fidanzata Naturelle. Tuttavia, l’essenza di New York lo accompagnerà per sempre: Monty è, infatti, parte del cuore pulsante della città. Da irlandese trapiantato nella grande mela, è anche lui un pezzo della sua popolazione multiculturale.

“Tu sei un newyorkese, questo non potrai cambiarlo mai. Hai New York nelle vene. Passerai il resto della vita nel deserto, ma resterai sempre un newyorkese”

Nei sogni del padre, nonostante le avversità e i tradimenti, Monty non perderà mai la sua identità, si rialzerà dalle sue ceneri e ripulirà le macerie per creare qualcosa di buono. Lo stesso farà New York, risollevandosi dal disastro dell’11 settembre. La 25ª ora si chiude con questo finale commovente, che non vediamo realizzato e che probabilmente vivrà soltanto nell’immaginazione.

Con La 25ª ora, Spike Lee firma una dichiarazione d’amore alla città che l’ha cresciuto e invia alla sua patria un messaggio di speranza e forza. Senza ricorrere a disaster movie, documentari, film storici, Lee è riuscito, con estrema naturalezza, sensibilità e coraggio, a raccontare l’amarezza e le paure dei suoi concittadini nel 2001. Ecco perché, pur non parlando direttamente dell’attentato alle Torri Gemelle e a distanza di 20 anni dalla sua uscita in sala, La 25ª ora resta uno dei migliori film sull’11 settembre mai fatti.


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Classe 1998, con una laurea in DAMS. Attualmente studio Cinema, Televisione e Produzione Multimediale a Bologna e mi interesso di comunicazione e marketing. Sempre a corsa tra mille impegni, il cinema resta il vizio a cui non so rinunciare.

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