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La candidata ideale, donne al centro del cinema saudita

7 minuti di lettura

Fiore all’occhiello della 77esima edizione della Mostra del cinema di Venezia sono state sicuramente le sue donne: produttrici, attrici, protagoniste di storie che hanno finalmente ottenuto lo spazio che meritavano. Tale processo di riscoperta e valorizzazione di un “cinema sulle donne fatto dalle donne” era già iniziato l’anno scorso, sempre alla Mostra del Cinema di Venezia. Nel 2019 tra i film in Concorso era stato infatti presentato La candidata ideale, prima pellicola al Festival realizzata da una donna di nazionalità saudita, la regista Haifaa al-Mansour, nata a Riad, laureata in Lettere all’Università Americana del Cairo e specializzata con un Master in Regia presso l’Università di Sidney.

Dopo aver prodotto numerosi cortometraggi e documentari sulla condizione femminile nella cultura araba come Who? o Women without shadows, Mansour si era distinta già nel 2012 per il lungometraggio La bicicletta verde (Wadjda) che aveva definitivamente acceso i riflettori sullo scontro tra emancipazione femminile e tradizione, uno dei tasti dolenti della società saudita.

Di cosa parla «La candidata ideale»

L’eroina di La candidata ideale è la giovane e determinata Maryam (Mila Alzahrani), medico dell’ospedale di una cittadina saudita. Le piccole e grandi ingiustizie sono all’ordine del giorno in un Paese che al-Mansour ci racconta come profondamente diviso tra modernità e tradizione. Quando un paziente (sicuramente non il primo) rifiuta di farsi curare da Maryam perché donna, la giovane decide di andare oltre il proprio impegno quotidiano e si candida per le elezioni dei membri del consiglio comunale, dando il via a un’inedita campagna elettorale che cattura l’interesse dell’opinione pubblica nazionale.

Un Paese diviso tra modernità e integralismo

La candidata ideale

L’inaspettato impegno politico di Maryam vede alternarsi momenti di apertura ed episodi di integralismo religioso, aspetti che si riflettono poi in maniera speculare nella stessa famiglia della giovane dottoressa. Il padre di Maryam, Abdulaziz, è un uomo forte solo all’apparenza. Rappresenta quella parte di Arabia Saudita ancora legata alle tradizioni. Al contrario, Maryam e le sue due sorelle sono le ambasciatrici di una promettente gioventù capace di guardare al futuro.

Tale contraddizione si incarna nell’alternarsi tra esterni e interni. Fuori casa, Maryam e le sua sorelle sono infatti obbligate a indossare l’hijab, si muovono accompagnate dal padre e per alcune pratiche burocratiche devono ancora far riferimento al loro tutore.

Tra le mura di casa, invece, la situazione si ribalta. L’uomo, ormai disincantato, vive nei ricordi di una giovinezza ormai perduta, trovandosi quasi in balia di una nuova e ruggente generazione di donne consapevoli dei propri mezzi. Maryam e le sue sorelle sotto il nero hijab si vestono all’ultima moda, si scambiano messaggi su Whatsapp, si servono dei tutorial di Youtube, padroneggiano Photoshop e gestiscono i propri risparmi in autonomia («anche se dovreste avere un marito per questo»). Sono imprenditrici di loro stesse, parlano l’inglese e si fanno strada in un mercato del lavoro sempre più digitale e globalizzato. Fundraising, viralità, immagine, streaming, storytelling e moda sono solo alcune delle piccole conquiste che le giovani donne saudite, anche guardando all’Occidente, hanno saputo raggiungere.

Per questo, inedita ed efficace è anche la campagna elettorale imbastita da Maryam e le sue sorelle.

La battaglia di Maryam

La candidata ideale

Mariam decide di porre al centro della sua candidatura il progetto di asfaltamento della strada che conduce dalla città all’ospedale.

Per attirare l’attenzione su questo fatto apparentemente secondario ma di grande urgenza – «come potrete promettere ai vostri figli di essere curati se non sarà possibile avere accesso all’ospedale?» chiede Maryam alla platea – la giovane dottoressa costruisce con le proprie forze una campagna elettorale dal nulla, grazie al “porta a porta”, al passaparola, ai discorsi live sui social network e ai nuovi strumenti che il mondo del web mette oggi a disposizione. Tutti elementi che fanno anche pensare alla deputata democratica americana Alexandria Ocasio-Cortez.

Una campagna elettorale dai risvolti inaspettati

La campagna elettorale si trasforma in qualcosa di più grande e la posta in gioco si alza. Correre per le elezioni non significa più asfaltare la strada dell’ospedale, ma sdoganare il taboo della discriminazione di genere per tentare di cambiare la mentalità dei cittadini più radicali e diffidenti.

Indipendentemente dal risultato finale, la storia di Maryam è ancora lungi dal raggiungimento della parità di genere, ma dimostra che anche le piccole conquiste possono segnare l’inizio di un cambiamento.

La candidata ideale, seppur elementare nell’intreccio e nella sua struttura, è un film che convince perchè capace di dosare i toni e di mettere in evidenza alcuni meccanismi critici che stanno alla base della società saudita. Nonostante alcuni passaggi risultino velatamente “edulcorati”, al-Mansour centra l’obbiettivo.

Come era stato per La bicicletta verde, il film parte da un contesto quotidiano ed è abile ad accompagnare il suo spettatore – che molto spesso non è sufficientemente informato – per stimolare una visione critica della società e, soprattutto, della politica, ambito da cui ancora troppe donne sono escluse, e non solo in Arabia Saudita.


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Nata a Verona 23 anni fa, vive a Parigi per specializzarsi in Museologia all’Ecole du Louvre. Legge in metro i Cahiers du cinéma, va al cinema durante la settimana, anche da sola. Questa estate ha coronato uno dei sogni più grandi partecipando alla Mostra del Cinema di Venezia. Scrive delle ultime uscite in sala, di premiazioni, festival e di tutto il folle mondo che ci ruota attorno.

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