Oggi compie diciotto anni La guerra dei mondi (War of the Worlds, 2005), un’opera largamente sottovalutata, spesso dimenticata e ingiustamente ridimensionata dalla critica. Diretto da Steven Spielberg e tratto dal romanzo di H.G.Wells, questo film fa i conti in modo complesso e per lo più pessimistico con la tragedia che ha colpito il World Trade Center l’11 settembre del 2001.
È importante ricordare questo film dopo così tanti anni anche perché va ad aggiungersi a quel gruppo di opere (come per esempio Schindler’s List e Munich) che danno il giusto credito al percorso autoriale di Steven Spielberg, troppo spesso considerato accomodante, retorico, convenzionale e incline a evitare i temi controversi.
La figura dell’alieno nella fantascienza
Il cinema ha sempre raccontato storie che riflettevano sul presente e facevano i conti con i fardelli del proprio tempo. La sci-fi ha ricoperto un ruolo cruciale all’interno di questa traiettoria. Si tratta di un genere che possiede un’enorme potenzialità di rappresentazione e di riflessione, grazie ai suoi codici e alle figure che popolano queste narrazioni.
L’aggressione violenta e sistematica da parte di invasori alieni che compare nel cinema di fantascienza è il segno dell’isteria, della paranoia e di preoccupazioni sociali che riguardano vari periodi della storia. Queste figure si pongono come forze colonizzatrici che valicano i confini nazionali e minacciano lo status quo. I mostri, gli alieni, o più in generale, le alterità che dominano questo genere cinematografico, sono le ipostasi delle ansie e paure imperanti, e hanno un’efficacia di senso proprio perché provengono da un “luogo altro” e si pongono come diametralmente opposte al domestico e al familiare.
Se si pensa per esempio al cinema degli anni Cinquanta, emergono storie che raccontano la paura del nucleare, la minaccia del comunismo e la guerra fredda, rivivendo sullo schermo i traumi della seconda guerra mondiale. L’alieno si pone come una minaccia ai confini nazionali, e quindi all’identità nazionale, così come alle gerarchie e alle dinamiche di potere vigenti. L’invasione degli ultracorpi (Invasion of the Body Snatchers, Don Siegel, 1956) è uno dei casi emblematici di una riflessione sulla paranoia della “minaccia rossa” e sul maccartismo, in cui Don Siegel rende palpabile una confusione irrisolvibile tra il “noi” e “l’altro”.
In questo filone di sci-fi che tenta di riportare l’irrisolto e il contemporaneo attraverso i tropi del genere, s’inserisce senza dubbio La guerra dei mondi.
Di cosa parla La guerra dei mondi?
Il soggetto del film è il romanzo omonimo di H.G.Wells, la cui prima trasposizione risale al 1953 (The War of the Worlds, Byron Haskin). Seppur, come si è detto, il cinema di fantascienza degli anni Cinquanta problematizzava altre questioni, La guerra dei mondi è rappresentativo di come si possa attualizzare una storia del 1897 alle tensioni e alle paure sociali del periodo presente. Steven Spielberg fa la stessa cosa nel 2005, riprendendo in mano il romanzo di Wells e sfruttando le sue suggestioni per riflettere su un’America ferita e confusa dagli attacchi dell’11 settembre.
Il film inizia, dialogando con il suo antenato del 1953, con un voice over di un narratore invisibile e onnisciente, che informa lo spettatore circa le intelligenze superiori che da anni scrutano la terra e gli uomini, intenti a ordire il loro piano diabolico. L’incipit segna un quadro di tensione dovuto all’incontro inesorabile con l’alterità, che avverrà da lì a pochi minuti attraverso gli occhi confusi e allucinati del protagonista Ray Ferrier (Tom Cruise).
È proprio su questa tensione che si gioca il primo atto del film, in cui i personaggi (e l’America post-9/11) si sentono in balia di forze esterne e imprevedibili. Il clima di ansia si trasforma in terrore dal primo incontro con i “tripods”, costruito con una sapiente regia, in grado di dare sfogo alla confusione attraverso scelte che prediligono la dinamicità, e con una fotografia cupa e polverosa, che riporta il grado di pessimismo e di disperazione.
Ci sono varie similitudini e richiami tra Spielberg e Haskin, come le dinamiche di alcune sequenze, ma anche delle preziose differenze. Se nel film del 1953 la chiesa è un luogo di ritrovo, unione e speranza verso il futuro (tant’è che alla risoluzione finale è conferita un’aura miracolosa), in Spielberg le macchine aliene fuoriescono dal terreno proprio ai piedi di una chiesa, distruggendola. Una differenza che implica un senso tutto diverso, in cui la tragedia irrompe e non c’è spazio neanche per un conforto o una speranza di stampo religioso.
La guerra dei mondi, distruzione del sogno americano
Da questo primo incontro ravvicinato inizia l’estenuante lotta per la sopravvivenza di Ray e i suoi figli, Robbie (Justin Chatwin) e Rachel (Dakota Fanning). Le tappe di questo viaggio visitano gli angoli oscuri di un’America spezzata e in cui di fronte al tragico vacillano le virtù tipicamente americane.
Lentamente ciò che La guerra dei mondi mostra è la degradazione del mito americano, con il decadimento progressivo dei suoi valori premianti e fondativi di unione, coesione e solidarietà. L’isteria di massa provocata da un attacco alieno, al contrario, farà precipitare la società in un teatro di individualismo, egoismo e brutalità che rende manifesta proprio la fragilità di quei valori, ancora scossi dall’attacco alle torri gemelle. “Is it the terrorists?” (“Sono i terroristi?”) chiede la piccola Rachel, suggerendo un immaginario ormai intaccato e corrotto.
Accanto a questo scenario tragico anche il racconto suggerisce delle dinamiche lontane da una narrazione americana convenzionale. La figura dell’eroe è un padre assente e problematico che, anche nel tentativo di ricucire i rapporti e fare ammenda per i propri errori, mostrandosi impotente di fronte alle figure aliene. Allo stesso modo le istituzioni, lo stato e l’esercito, si dimostrano incapaci di fronteggiare militarmente il nemico. La risoluzione finale non avviene per mano di Ray o per un gesto eroico, e ciò alimenta l’idea di un paese dove le istituzioni sono fantasmi e non esistono figure salvifiche.
Il trauma collettivo di un paese
Ci sono numerose visioni e suggestioni che inequivocabilmente portano alla mente dello spettatore l’11 settembre. Con una brutalità e una tragicità che raramente si è vista nella filmografia del regista americano, la messa in scena della tragedia non lascia da parte inferenze reali. Ray che si scrolla via dai capelli la cenere e la polvere, con il terrore che gli marca il volto. Morti che galleggiano nel fiume, filtrati dagli occhi di una bambina. Aerei distrutti e rovine infuocate. Danni psicologici (nel personaggio di Ogilvy, il caratterista Tim Robbins). Sangue dal cielo.
Si tratta di un ritratto schizofrenico che non si risparmia sulla crudezza, sia dei rimandi che delle stesse immagini. La guerra dei mondi si inserisce in quella traiettoria sci-fi che sfrutta l’immaginario fantascientifico per parlare dell’irrisolto contemporaneo. Steven Spielberg fornisce una prospettiva complessa e critica nei confronti di un’America ancora incrinata dagli avvenimenti dell’11 settembre, che l’hanno lasciata senza fiducia nelle istituzioni e abbandonata in un presente che guarda al futuro con incertezza e timore.
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Salve,
mi sono spesso domandato come un giovane che non ha vissuto il prima e dopo 11 Settembre, veda tutta la faccenda: mia moglie è professoressa alle medie e alle superiori e spesso si è sentita porre questa domanda: “com’era prima dell’11 Settembre”?
Io sono del 78 e fatico ad immaginare come la veda lei, può spiegarmelo?
Grazie
Gentile Giuliano,
per me è sicuramente più difficile afferrare ciò che è stato l’11 settembre. Posso solo provarci, con lo studio approfondito e con le testimonianze. Nello stesso modo con cui tentiamo di captare il sentimento diffuso dopo la guerra in Vietnam, ci sarà sempre una distanza emotiva tra chi vive gli eventi e chi viene dopo, però può esserci comprensione.
In questo senso il cinema è uno strumento prezioso per capire, e sono molti i titoli post-11 settembre che hanno rappresentato quel clima di paranoia e di orrore. (Oltre a quello di questa recensione, penso per esempio a Shyamalan, sia con The Village che con The Happening.).