È il 1988 e nelle sale italiane esce il secondo film del giovane cineasta Giuseppe Tornatore, si chiama Nuovo Cinema Paradiso ed è talmente bello che vince il Premio della Giuria a Cannes, il Golden Globe e l’Oscar per il miglior film straniero diventando così simbolo di un passaggio di testimone dal cinema dei maestri Fellini, De Sica, Leone, Antonioni ai nuovi registi che lasceranno la loro impronta negli anni ’90 e nelle successive decadi come Moretti, Amelio, Martone e lo stesso Tornatore.
Dopo il successo planetario, il regista siciliano non si ferma e dirige Stanno tutti bene con Marcello Mastroianni, Una pura formalità con Roman Polanski e Gérard Depardieu, L’uomo delle stelle e chiude la decade del successo con La leggenda del pianista sull’oceano, esattamente dieci anni dopo Nuovo Cinema Paradiso che segnerà, purtroppo, un punto di non ritorno per la carriera del regista.
L’idea de La Leggenda del Pianista sull’Oceano nasce dal monologo teatrale Novecento scritto da Alessandro Baricco, un cast eccellente guidato da Tim Roth nel ruolo del protagonista e alle musiche l’infinito Ennio Morricone alla sesta collaborazione con Tornatore.
Una nave, un pianoforte, una musica infinita
Max Tooney è un trombettista che ha suonato per anni sul transatlantico Virginian e dopo le ferite della Seconda Guerra Mondiale decide di vendere la sua tromba e iniziare una nuova vita. Prima però, suona un’ultima volta la melodia di una canzone contenuta nell’unico disco di Danny Boodman T.D. Lemon Novecento, pianista sconosciuto del Virginian e suo migliore amico.
Il vecchio proprietario del negozio riconosce quel magnifico suono perché ha comprato il pianoforte (con dentro la matrice del disco) dalla nave che sta per essere smantellata. Stregato da quelle note, il negoziante vuole conoscere la storia di quel pianista misterioso e Max Tooney riavvolge il nastro dei ricordi e inizia a raccontargli (e lo fa anche con lo spettatore) la storia di quel segreto che solo lui custodisce.
Il 1° gennaio del 1900 viene trovato, da un macchinista della nave di nome Danny Boodman, un bambino abbandonato su un pianoforte. L’uomo lo prende con sé, gli dà il suo nome aggiungendo le scritte della cassetta in cui l’ha trovato e il nuovo secolo, come segno del destino. Danny Boodman T.D. Lemon Novecento cresce senza mai toccare la terraferma, insieme ai grandi e senza coetanei.
Dopo essere rimasto orfano per la seconda volta all’età di otto anni, il bambino si innamora del pianoforte e non lo lascerà più, fino a diventare un pianista fuori dal comune cullato solamente dall’oceano. Spinto da tutti a scendere da quella maledetta nave e abbracciare una vita di fama e successo, Danny dovrà fare i conti con il suo passato, il suo talento e capire cosa voler fare dentro una vita lunga più di ottantotto tasti.
La vita ha più di ottantotto tasti
La leggenda del pianista sull’oceano è costruito su due pilastri: il personaggio di Tim Roth e la musica di Ennio Morricone. La stravagante storia di Danny Boodman T.D. Lemon Novecento permette di mettere a fuoco le caratteristiche sociali ed emotive dell’uomo del ventesimo secolo e successivamente del nuovo millennio.
Il protagonista è un diverso, una persona che cresce e impara in un contesto limitato, che conosce il mondo duemila persone alla volta e ha dei limiti autoimposti che non riesce a scavalcare perché non ha conosciuto il modo per farlo. La sua vita è una palla di vetro, un quadro che prima o poi dovrà cadere. L’inquietudine, la solitudine, la fragilità e l’incertezza sono le caratteristiche di Novecento e che rappresenta proprio il secolo di cui porta il nome, un periodo sempre più scuro e divisivo, dove l’essere umano di fronte alle infinite possibilità della vita si sente sempre più piccolo e impotente, incapace di essere padrone delle proprie scelte.
La musica di Morricone invece è l’altra protagonista perché, con la sua delicatezza e incredibile bellezza, fa viaggiare lo spettatore agli albori del Jazz ed è capace di accompagnare perfettamente il percorso del personaggio principale. La musica è anche usata come metafora nel discorso finale, fulcro totale de La leggenda del pianista sull’oceano, dove Tim Roth esprime tutto ciò che prova e il vero motivo per cui non ha mai superato i confini tracciati da quella nave.
Le scenografie non sono sempre perfette e capaci di restituire l’atmosfera che il film vuole far emergere e alcune scelte linguistiche portano ad un senso di estraniamento. Anche la lunghezza di quasi tre ore contribuisce a disperdere in alcuni momenti l’idea del film ma, La leggenda del pianista sull’oceano, è un’esperienza cinematografica da non mancare assolutamente e da recuperare ogni volta che se ne ha la possibilità perché riesce ad essere poesia in movimento e una storia capace di smuovere qualcosa.
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