Joker è un film cinematograficamente alienante, meravigliosamente metasemantico, segnato da una messinscena dichiaratamente citazionista, al limite del tollerabile. Una narrazione languida, costellata da guizzi registici interessanti, costantemente sovrastata dalla stella più luminosa della pellicola: Joaquin Phoenix. La sua presenza però, non è l’unica colonna portante del film. A fargli da spalla è quella sonora, anch’essa premiata lo scorso 9 febbraio, firmata dalla violoncellista islandese Hildur Guðnadóttir, già compositrice delle musiche di Soldado di Stefano Sollima e la recente miniserie Chernobyl, diretta da Johan Renck.
Un’original soundtrack indipendente, premiata alla manifestazione cinematografica più prestigiosa dell’anno. Composta da un susseguirsi di tracce musicalmente sublimi, fredde, legnose, che ricordano la sensibilità canadese di Zoë Keating, sempre violoncellista e compositrice per il cinema. Seppur di breve durata, il suono stridulo ed inquietante degli strumenti ad arco si inserisce nei momenti più fragili di Arthur e, come un crescendo interiore, ne anticipa le prevedibili, dolorose conseguenze.
Una colonna sonora che smaschera
La musica, comprese le tracce non originali, è la chiave di lettura più intuibile per questo film dalle venature classicheggianti, che indossa una maschera da cinecomic che forse non gli si addice. Il disadattamento, il disturbo bipolare, le maschere pirandelliane, tutti elementi già suggeriti dall’idea musicale del film, alternando canzoni popolari ad una base originale di estrema cupezza.
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Pensiamo all’inizio, o alla scena delle scale, in cui il Joker ha appena assunto il controllo del fu Arthur Fleck e si lancia in una scanzonata “Singin’ in the rain” sulle note di Gary Glitter con Rock and Roll Part 2. Un’esibizione impeccabile, protagonista di una scena visivamente attraente, probabilmente la più riuscita del film. Ad un tratto però, il riff glam svanisce, introducendo gli ultimi salti disarticolati ad una marcia funebre, da cui si allungano le note distorte di un violoncello, adagiandosi definitivamente sull’alter ego di Arthur ed ecco che il gioco è fatto… entra in scena il clown.
Una vittoria, quella di Hildur Guðnadóttir, che rappresenta e conferma il crescente interesse per una musica indipendente, viscerale e ricercata come quella di Joker. Una colonna sonora potente, forse troppo, che traduce i sentimenti di Arthur, nascosti dalle sue incontenibili smorfie, in veri e propri temi musicali. Un film drammatico mutaforma, forse sopravvalutato o non capito come Arthur, arricchito da un comparto sonoro di grande impatto, in grado di accompagnare lo spettatore dentro la psiche del folle protagonista, da cui difficilmente si può “evadere”.
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