Ro.Go.Pa.G. è un film collettivo del 1963 diviso in quattro episodi. Il titolo è una sigla di riconoscimento dei registi dei quattro segmenti: Rossellini, Godard, Pasolini e Gregoretti.
Il vero motivo di interesse di questa collaborazione è il capitolo di Pier Paolo Pasolini, intitolato La ricotta. 35 minuti di bianco e nero, con qualche intrusione di colore, che lo consegna alla memoria dei momenti più innovativi della storia del cinema italiano. Tanto rivoluzionario che fu condannato per vilipendio alla religione, ritirato e oggetto di censura e modifiche.
«La ricotta», trama
Ambientato nella campagna romana tanto cara al regista, il film tratta di una compagine cinematografica, guidata da un regista (Orson Welles), intenta alla realizzazione di un film sulla Passione di Cristo. Protagonista è Giovanni Stracci (Mario Cipriani), la comparsa che interpreta il ladrone buono. Egli cerca, tra varie vicissitudini sul set, di riuscire a mangiare il proprio pranzo. Ma alla fine, mentre è sulla croce nel momento culmine della Passione, quel cibo gli provoca un’indigestione fatale.
Un film nel film
Il terzo film di Pasolini – un cortometraggio – si caratterizza da una mise en abyme cinematografica: il film tratta la realizzazione di un film sulla Passione (fatto che poi avverrà realmente nella filmografia pasoliniana con Il Vangelo secondo Matteo del 1964). La morte finale avviene su entrambi i piani, portando, per così dire, le linee parallele della trama ad incrociarsi.
La tematica della Passione non è casuale né tanto meno sottovalutata, tanto che nei titoli di apertura viene precisato che:
Non è difficile predire a questo mio racconto una critica dettata dalla pura malafede. Coloro che si sentiranno colpiti infatti cercheranno di far credere che l’oggetto della mia polemica sono la storia e quei testi di cui essi ipocritamente si ritengono i difensori. Niente affatto: a scanso di equivoci di ogni genere, voglio dichiarare che la storia della Passione è la più grande che io conosca, e che i testi che la raccontano sono i più sublimi che siano mai stati scritti
Il tema della Passione emerge anche da due scene – tableaux vivants – in cui Pasolini cita apertamente due capolavori artistici del Manierismo, La Deposizione dei pittori Pontorno e Rosso Fiorentino.
L’uomo medio-cre
Nel mezzo del corto, un giornalista intervista il regista, Orson Welles. Quattro domande vengono fatte, a cui seguono risposte mirate, con la famosa definizione su Fellini «Egli danza…». Poi però il famoso regista esige di dar una definizione di quello che l’intervistatore rappresenta per lui, ossia l’uomo medio. Vale la pena ricordarne le parole: «Ma lei non sa cos’è un uomo medio? È un mostro, un pericoloso delinquente, conformista, colonialista, razzista, schiavista, qualunquista»
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La critica antropologica che Pasolini ha sempre compiuto nei confronti della società italiana si evince anche da questo distico, risposta di una domanda precedente: «il popolo più analfabeta, la borghesia più ignorante d’Europa»
Pasolini non le manda a dire, ma soprattutto il film è la dimostrazione della confluenza di una certa idea di cattolicesimo in una teoria marxista convincente. Sulla croce alla fine muore il povero Giovanni Stracci per un’indigestione: la classe del sotto proletariato è poco abituata ad esaudire i propri desideri, la propria fame di dignità. Affinché ciò avvenga è necessario un sacrificio, e Stracci è il novello Cristo, catapultato in una società che si dimentica troppo facilmente dell’individuo debole, mal nutrito, ignorante. Così Orson Welles conclude il film: «Povero Stracci. Crepare… non aveva altro modo di ricordarci che anche lui era vivo»
La pietà nei confronti di un uomo povero che con affanno, derisione, biasimo realizza il proprio desiderio, per poi morirne, è il portato più significativo che lascia in ricordo questa opera, breve ma densa di contenuto.
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