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La sala professori

La sala professori, specchio dell’attualità

7 minuti di lettura

Teacher, leave them kids alone. Cantavano i Pink Floyd, in un’epoca (il 1979) scombussolata dalle lotte sociali, all’alba di una nuova era, quella della libertà dell’individuo e del corpo (studenti), anche e soprattutto a partire dall’istruzione, da sempre specchio di una cultura repressiva e dal manganello facile (la stessa, ahinoi, che abbiamo visto a Pisa e a Firenze in questi giorni).

Oggi, quello stesso sistema liberale anticipato dalla cultura pop anni ’70, è in profonda crisi. A ricordarcelo c’è La sala professori di Ilker Çatak, in sala dal 29 febbraio già alla 73esima Berlinale e ora nella Cinquina dei candidati per il Miglior film internazionale agli Oscar.

La sala professori, un thriller inaspettato

una scena de La sala professori con Leonie Benesch presentato in anteprima al 73 Festival di Berlino e candidato agli Oscar

Per l’autore di Berlino, che oltre a dirigere firma anche la sceneggiatura con Johannes Duncker, è il terzo film dietro la macchina da presa; ma, nonostante ciò, è di fatto la sua prima opera, dopo diverse collaborazioni per la televisione e cortometraggi, che viene proposta anche al di fuori del suolo tedesco. Carla Nowak (Leonie Benesch, bravissima) è una giovane e promettente professoressa che va a insegnare in una scuola media. Con freddezza, disciplina, ma anche comprensione e tenerezza, guida i suoi studenti coinvolgendoli soprattutto in attività di gruppo. Sembra, quindi, che tutto vada bene.

Però, una serie di piccoli furti all’interno della scuola, e che coinvolgono in particolar modo gli insegnanti, mettono in subbuglio l’istituto, e Carla decide di indagare personalmente. Quando però la madre di uno dei suoi studenti viene individuata come la presunta colpevole, il figlio si sente ingiustamente accusato di un crimine senza prove, scatenando una serie inarrestabile di reazioni a catena che romperanno l’equilibrio della classe.

In cerca di una martire, la scuola specchio del nostro mondo

una scena de La sala professori presentato in anteprima al 73 Festival di Berlino e candidato agli Oscar

In realtà, già il film del 2008 L’Onda di Dennis Gansel raccontava la fragilità su cui si regge il sistema liberista anti-dittatoriale. Ma dall’esperimento sociale – sia reale che filmico – del cult tedesco, si passa a La sala professori (che è anche il calco del titolo originale: Das Lehrerzimmer): il contesto dove avvengono i furti, si instaura il dibattito del chi è stato e di come comportarsi, è morale, quindi, attuare perquisizioni di massa, ad esempio, nelle classi, rovistando tra le sacrosante questioni private e famigliari degli studenti?

È nella sala professori che si consumano i delitti, ed è nella stessa sala professori che il malvivente opera. Eppure, è la classe il vero campo di guerra; lo specchio della società non tra gli adulti, formati, cresciuti, ma tra i giovani, il luogo dove esplode il dissenso.

Di colpo il sistema di Carla crolla, la ribellione infervora gli alunni e tra le altre cose, pure il giornalino della scuola alimenta la polemica. Çatak è abile nel riuscire a narrare un microspazio in cui però si leggono le tendenze universali del nostro mondo: Carla filma il colpevole, e quindi porta una prova schiacciante davanti agli altri insegnanti, ma ciò non basta. Si sollevano polemiche relative alla privacy del corpo docenti, Oskar, il figlio della ladra, rifiuta di collaborare e incita alla rivolta.

La sala professori è così un film che narra di come, nella nostra epoca, l’indignazione fine a sé stessa è più importante del dialogo, quello ragionevole e fondato su prove, la narrazione fittizia ha acquisito maggiore credibilità della realtà, i social e i media hanno superato la verità.

Carla non può che essere la martire. Ella non fa altro che aiutare gli studenti in primis, dimostrando con un metodo opinabile (ma decisamente più ortodosso di altre idee eversive dei docenti) che la verità sta a galla anche grazie al nostro voler imporci contro le regole (non) scritte e ingiuste. Quella stessa massa che però poi le si riverserà contro. La sala professori è uno di quei classici film che parte dalla quotidianità di periferia, e arriva all’universale.

Dimostra l’indubitabile deriva di una certa idea di giustizia, portata avanti con torce e forconi contro chi, solo per sentito dire, ci vuole opprimere. Insomma, in questo mondo dove vediamo nemici ovunque, Carla, innocente e insospettabile giovane insegnante, la guida che ha il compito di educare gli adulti del domani, simbolo di futuro e progresso, è lapidata (letteralmente, con il suo stesso pc), insultata, bistrattata da una realtà insensibile rappresentata dallo studente medio, in guerra con gli stessi grandi che lo intrappolano.

La sala professori è uno dei film dell’anno

una scena de La sala professori con Leonie Benesch presentato in anteprima al 73 Festival di Berlino e candidato agli Oscar

Efficacemente, con garbo e delicatezza, Çatak ci fa rivivere le ultime ondate di manifestazioni studentesche, dove i giovani arrabbiati lo sono, spesso, con un fine ultimo che non include mai il patteggiamento, bandisce il compromesso, ha l’unico scopo di sanzionare i “vecchi”, i boomer, responsabili di aver bruciato il mondo e di aver permesso la guerra.

Un messaggio che non ha niente di didascalico, e che invece si conclude platealmente con quel finale aperto dimostrativo, al limite dell’ironia. Serve lanciare latte di pomodori contro i quadri, fare “minuti di rumore”? O sono azioni vuote che ci vogliono distrarre dalle vere minacce? Chi è il vero malvivente? Siamo a febbraio, ma ci piace predire il futuro. Uno dei film dell’anno.


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Studente alla Statale di Milano ma cresciuto e formato a Lecco. Il suo luogo preferito è il Monte Resegone anche se non ci è mai andato. Ama i luoghi freddi e odia quelli caldi, ama però le persone calde e odia quelle fredde. Ripete almeno due volte al giorno "questo *inserire film* è la morte del cinema". Studia comunicazione ma in fondo sa che era meglio ingegneria.

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