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La scomparsa di mia madre, Benedetta Barzini nel docufilm del figlio

6 minuti di lettura

Protesta. Se si potesse definire Benedetta Barzini con una parola, probabilmente sarebbe questa. Il problema è che il riassunto e l’abbreviazione non si adattano alla sua natura, frammentata e sconnessa. A raccontarla non sono bastate le mille foto che le hanno scattato, o le altrettante sfilate cui ha partecipato, ma, per quella che era una necessità più che una prova d’artista, ci è voluto un documentario e una linea di sangue. La scomparsa di mia madre è il film che la ritrae, così com’è, senza sbavature. E a girarlo è stato suo figlio, Beniamino Barrese.

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La scomparsa di mia madre è disponibile su Sky go, Chili e sui canali Vimeo del cinema Beltrade di Milano, Eden di Brescia e Odeon di Vicenza..

La scomparsa di mia madre

Modella, musa, giornalista, insegnante, femminista. Benedetta Barzini è stata una delle protagoniste della moda degli anni ‘60, primo volto italiano a finire sulla copertina di Vogue America, ispiratrice di artisti come Warhol e Dalì. Nei decenni successivi, la sua figura è stata indissolubilmente legata a quella di una donna in protesta: in protesta con l’immagine stereotipata della donna, un elemento più ideologico che figurativo e che rischiava (e rischia ancora) di cristallizzare o erotizzare la figura femminile in ruoli predeterminati. Ma la sua lotta di pensiero non si è macchiata mai di incoerenza.

«Nessuno mi ha mai veramente fotografato» ha detto più volte. E alla protesta ha così unito l’altro capo del lungo filo delle sue storie: la libertà.

La scomparsa di mia madre

La scomparsa di mia madre, presentato in anteprima al Sundance nel 2019, nasce proprio da un istinto di libertà: Benedetta, a settantacinque anni, vuole essere libera di scomparire, lasciare la civiltà, ritirarsi in un mondo nuovo, senza portar nulla con sé; suo figlio Beniamino si assume il fardello di registrare il suo addio. Un addio che lei non ha mai chiesto e che è restia nel lasciar impresso su una pellicola, ma che è necessario. Necessario a suo figlio, per un’elaborazione artistica che lo aiuti a vivere quella scomparsa. Necessario agli altri, perché la protesta di Benedetta ha un coraggio unico innescato da una scintilla universale: la fuga da un mondo che appartiene a un uomo nuovo, una figura imprecisa e maldestra, lontana da un senso di vero appagamento.

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Così, nel docufilm, assistiamo a Benedetta che fa lezione ai suoi studenti, Benedetta che parla con vecchi amici, Benedetta che litiga con suo figlio, che gli dà del borghese, che sbraita quando si accorge della presenza della telecamera. Un atteggiamento del protagonista che infastidirebbe qualsiasi spettatore, tranne quello che si trova davanti uno schermo che gli racconta una storia originale e totalmente spontanea. Talmente spontanea che si arriva lì dove forse inizialmente non si pensava di andare, a mostrare uno spaccato del confronto tra generazioni diverse, idee in contrasto tra loro e del rapporto tra madre e figlio, per una volta invertiti nel ruolo di chi vuole allontanarsi dall’altro.

Se inizialmente, all’annuncio de La scomparsa di mia madre, si pensava a un approccio non lontano da quello che Francesco Carrozzini aveva tenuto nel suo documentario Franca: chaos and creation incentrato su sua madre, Franca Sozzani, che ha rivestito il ruolo di direttrice di Vogue Italia fino alla sua morte, la visione di entrambi i film mostra come si può ritrarre una persona sottolineando sfumature diverse, affondando di meno o di più nella carne del protagonista in base ai momenti e alle intenzioni.

Da un lato la penetrazione nel mondo sociale e nelle sue metamorfosi, dall’altro quella nella progressiva inquietudine causata dagli “altri”.

Nelle riprese, a volte visibile a volte no, Beniamino Barrese è un protagonista che invece non può scomparire: dal documentario che sta girando, la sua presenza, pur volendo, non può scappare. Nei dialoghi con la madre cerca di far emergere dalle parole quello che è già chiaro con l’immagine. Si assume rischi, cancellando il ricordo patinato della madre, dandone un aspetto che ferisce la sensibilità di chi si aspettava una celebrazione. Invece della celebrazione ci si trova davanti un rito: il rito della scomparsa, una scomparsa che non è morte e nemmeno fuga. Sembra un concetto senza senso. Da Vogue al bianco, anzi al nero di un obiettivo improvvisamente coperto. Dissolversi senza stile. Serve guardare il film fino alla fine, magari in solitudine, magari di sera. La coerenza cercata arriverà dopo qualche giorno, quando ricorderemo Benedetta mentre viviamo una giornata ordinaria. E capiremo che si può scomparire, eppure rimanere. Non c’è alcun mistero.


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