Usciva 25 anni fa La Vita è Bella, il film più celebre di Roberto Benigni, una commedia drammatica ambientata durante la Seconda Guerra Mondiale e incentrata sull’Olocausto. Il film italiano ad aver vinto più Oscar, ad aver incassato di più nel mondo, vincitore del Grand Prix Speciale della Giuria al Festival di Cannes, è diventato meritatamente un cult a livello globale grazie alla sua semplicità e a una narrazione favolistica che s’immerge nel periodo più buio dell’umanità. Osserviamo insieme i motivi del successo di un unicum nel panorama cinematografico italiano e perché è ancora oggi uno dei film più importanti sulla Shoah.
La Vita è Bella è disponibile in streaming su Disney+, Netflix e Paramount+.
Il primo atto: la commedia favolistica
La vita è bella inizia con l’incontro tra Guido (il protagonista interpretato da Roberto Benigni) e la futura moglie Dora (interpretata dall’inseparabile Nicoletta Braschi). La prima delle tante scene comiche del film si basa su un fraintendimento legato a re Vittorio Emanuele III, da lì l’incontro con Dora e il memorabile “Buongiorno principessa!”, primo simbolo favolistico della storia.
Guido continuerà a far accadere degli incontri con Dora, tra cui un’intrusione nella nella scuola dove lei insegna, esibendosi per i piccoli alunni in un discorso sulla superiorità della razza ariana che nella sua innocenza ridicolizza il fascismo. Successivamente c’è l’incontro a teatro, con la conseguente fuga degna di una commedia slapstick anni ‘20.
L’incontro fortuito definitivo tra i due è però quello al ristorante del Grand Hotel, dove Guido lavora come cameriere mentre Dora festeggia il fidanzamento ufficiale con Rodolfo (burocrate fascista). Guido porta Dora via con sé, in sella a un cavallo, come un principe con la sua principessa. La coppia torna a casa, attraversa l’uscio, e in quella stessa inquadratura passano cinque anni: da quella porta esce il piccolo Giosuè (interpretato da Giorgio Cantarini).
Il primo atto finisce qui, con una bella famiglia protagonista di scene dolcissime nelle quali purtroppo non sentiamo né leggiamo la frase “…e vissero per sempre felici e contenti”.
Il secondo atto: sorridere alla morte
La stessa inquadratura della porta di casa, quella dove è nato un amore, dove è nata una famiglia, diventa simbolo di una scena drammatica: Dora torna a casa ma non vi trova il marito né il figlio, entrambi deportati nel giorno del compleanno del piccolo Giosuè.
Guido non può spiegare al figlio un’atrocità tanto insensata, per cui approfitta del giorno del compleanno per mascherare la deportazione e renderla una sorpresa, un viaggio verso un gioco con un regalo al vincitore finale. Da qui il titolo del film, un invito alla felicità nonostante il tragico periodo storico: un sorriso in faccia alla morte.
Benigni usa l’amore paterno per trasformare il campo di concentramento in un parco divertimenti, i lavori forzati in sfide, l’Olocausto in un gioco a premi, agli occhi di un bambino tutto più realistico e razionale di un insensato omicidio di massa in nome di una superiorità inesistente.
La vita è bella, l’importanza di un film sulla Shoah rivolto a tutti
Il merito più grande de La Vita è Bella è quello di riuscire a veicolare un messaggio potente con semplicità. Roberto Benigni e Vincenzo Cerami (co-sceneggiatore del film) scrivono dei personaggi divertenti, pieni di vita, che nel primo atto del film non possiamo che amare; successivamente lo spettatore vive tutto attraverso gli occhi vispi di Giosuè, un bambino innocente che di certo non può comprendere fino a che punto può arrivare la crudeltà umana.
Seppur Benigni non abbia la tecnica di Spielberg o Polański (autori di capolavori sulla Shoah quali Schindler’s List e Il pianista), riesce a fare un film necessario tanto quanto i loro, poiché nessun film sull’Olocausto parla ai bambini tanto quanto La vita è bella.
I dialoghi sono scritti in modo tale da instaurare una profonda empatia con Giosuè, che dal suo punto di vista – nonostante creda alle bugie buone del padre – cerca solo un po’ di normalità in quel che lo circonda: vedere la mamma, fare merenda, giocare con altri bambini, potersi sedere durante il viaggio sul treno. Gli spettatori più piccoli empatizzano con Giosuè, i più grandi anche con Guido; entrambi i personaggi diventano massime espressioni di emozioni profonde che generano una commozione senza remore per qualsiasi tipo di pubblico coinvolto.
Roberto Benigni, corpo da cinema muto e monologhi da stand-up comedian
Il segreto del successo de La vita è bella risiede principalmente nel suo regista, sceneggiatore e interprete, un artista polarizzante come pochi altri nel nostro Paese.
Roberto Benigni o si odia o si ama, che sia per la sua ironia, per il suo personaggio, o per la satira politica fatta (brillantemente) in passato. A inizio carriera recitò per Jim Jarmusch, Bernardo Bertolucci, Marco Ferreri, Federico Fellini, Blake Edwards, successivamente per Woody Allen, Matteo Garrone, ma soprattutto per se stesso. Benigni dirige cinque film prima de La vita è bella, tutte commedie divertenti dove il suo ruolo da maschera moderna e la sua parlantina la fanno da padrone: un corpo e una comicità da cinema muto, ma con monologhi e dialoghi degni di uno spettacolo di stand-up comedy. Un giullare di corte in epoca cinematografica.
Con La vita è bella Benigni stupisce tutti, scrive e dirige un film totalmente hollywoodiano tenendo la sua ironia e i suoi tempi comici peculiari, abbassando i toni ed edulcorandosi, adattando se stesso per un pubblico internazionale e per un ampio target. Il risultato è stato quello sperato, con lo showman toscano diventato un personaggio amato dal mondo intero, dai baci alla Giuria di Cannes, all’iconica camminata sui sedili del Dorothy Chandler Pavilion per la vittoria dell’Oscar, fino alle imprevedibili e incontrollabili interviste.
Un autore che racchiude nel suo sorriso il senso dell’esistenza umana, una gioia incontrastata che ci ricorda che siamo fortunati, e che sì: la vita è bella.
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