Tra misure di sicurezza, qualche polemica e molto entusiasmo, è iniziata ufficialmente la 77° Mostra del cinema di Venezia. Film di apertura è Lacci di Daniele Luchetti, facente parte della categoria Fuori concorso. L’ultimo italiano ad aprire al Lido era stato Giuseppe Tornatore, che nel 2009 si presentò in concorso con Baarìa.
Daniele Luchetti comincia molto giovane a frequentare l’ambiente del cinema e nel 1988, a soli 28 anni, con il suo primo lungometraggio Domani accadrà si aggiudica il David di Donatello al miglior regista esordiente. Ha inizio così una carriera prolifica, che lo porta, con film come La settimana della Sfinge, Il portaborse, La scuola, Mio fratello è figlio unico, a collaborare con stimati attori italiani tra cui Silvio Orlando, Nanni Moretti, Angela Finocchiaro ed Elio Germano.
«Lacci», la trama
Lacci, tratto dall’omonimo romanzo di Domenico Starnone (co-sceneggiatore del film), racconta la storia travagliata di Aldo (Luigi Lo Cascio/Silvio Orlando) e Vanda (Alba Rohrwacher/Laura Morante), il cui matrimonio entra in crisi quando l’uomo, innamoratosi di una collega (Linda Caridi), confessa alla moglie di averla tradita. Da qui hanno inizio i loro anni peggiori, vissuti tra mura soffocanti e rancori velenosi. Come spesso accade, a pagare il prezzo più alto sono i figli, Anna e Sandro (i cui volti adulti sono quelli di Giovanna Mezzogiorno e Adriano Giannini).
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Quando finisce un amore
Con Lacci, Daniele Luchetti torna a confrontarsi con un tema a lui molto caro: la famiglia. Dal rapporto di coppia (Anni felici) a quello tra fratelli (Mio fratello è figlio unico), tra padre e figli (La nostra vita), tra zia e nipote (Dillo con parole mie), il regista ha più volte indagato le dinamiche familiari tramite la messa in scena di storie uniche, ma nelle quali, al contempo, è facile immedesimarsi.
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I “lacci” del titolo sono quelli che, in un modo o nell’altro, tengono unita la famiglia di Aldo e Vanda. Nonostante siano incapaci di perdonarsi a vicenda, i due, ottusi e orgogliosi, scelgono di rimanere insieme. Entrambi lo fanno in nome di promesse passate, senza rendersi conto che queste hanno cessato di aver senso di esistere nel momento in cui è finito l’amore che le aveva generate.
Carnefici tanto di se stessi quanto dei due figli, i genitori trasformano la propria casa in una prigione e, nel tentativo di fare esattamente l’opposto, finiscono per disintegrare il nucleo famigliare al quale tanto avevano sacrificato. Aldo, Vanda, Anna e Sandro diventano così delle monadi, illusoriamente allacciate le une alle altre, ma in realtà profondamente sole.
«Lacci» parla ma non comunica
Complice forse la presenza di Domenico Starnone alla sceneggiatura, Lacci pone molta fiducia nella forza delle parole. Purtroppo, però, queste non vengono usate a dovere. Così, nel tentativo di impreziosire quasi ogni scena con massime sull’amore, ammaestramenti sulle relazioni e meditazioni sulla vita, il film finisce per scadere in conversazioni lunghe, artificiose e costruite.
Ad appesantire ulteriormente i dialoghi sono le interpretazioni, in particolare quelle femminili: raramente le parole scorrono con naturalezza, rimanendo invece incagliate in un ritmo sonoramente scandito e in un tono quasi solenne, tramite i quali le attrici sembrano voler aggiungere pregnanza alle proprie battute.
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Tutto ciò contribuisce a creare distacco tra lo spettatore, la vicenda narrata e i suoi protagonisti e temi universali e potenti come la famiglia, il tradimento, il trauma della separazione perdono di vigore, vedendo sfumare la possibilità di emozionare.
«Lacci» il primo italiano in Mostra
Lacci è un film non memorabile che non riesce a sorprendere. Il suo ruolo di film italiano di apertura di questa edizione della Mostra del cinema di Venezia avrebbe richiesto qualcosa di più; un qualcosa che è mancato e che ci si augura di poter vedere nei film nostrani – quest’anno numerosi – che verranno presentati nei prossimi giorni.
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