Se con le feste e le basse temperature si fa spazio dentro di noi la voglia di neve, alpeggi e sentimenti, possiamo esaudire questi desideri al cinema, grazie al film Le Otto Montagne, in sala dal 22 dicembre. Diretto da Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch, il film si è aggiudicato il Premio della Giuria all’ultimo Festival di Cannes ed è tratto dall’omonimo romanzo Premio Strega firmato da Paolo Cognetti.
Crescita, famiglia, ricerca
Secondo una credenza nepalese, al centro del mondo si trova il monte più alto di tutti, il Sumeru. Intorno al monte, in un cerchio diviso a spicchi, si trovano otto montagne e otto mari. Alla fine della propria vita, avrà imparato di più chi avrà fatto il giro delle otto montagne, o chi sarà arrivato in cima al monte Sumeru?
Queste due categorie di persone, questi due differenti modi di vivere, sono incarnati dai protagonisti del film. Da una parte c’è Pietro (da adulto interpretato da Luca Marinelli): figlio unico di una coppia torinese che trascorre le proprie estati in un paesino di montagna, tra letture davanti al fuoco insieme alla madre Francesca (Elena Lietti) ed escursioni col padre Giovanni (Filippo Timi). Pietro è un bambino curioso, un ragazzo insoddisfatto e infine un adulto inquieto, che non si sente pronto a diventare uomo. Dall’altra parte c’è Bruno (da adulto interpretato da Alessandro Borghi): allevato dagli zii all’autentica quanto faticosa vita di montagna, fatta non di ameni paesaggi da ammirare estasiati, ma della dura concretezza di greggi da accudire, sentieri da percorrere, torrenti da guadare.
Pietro e Bruno passano insieme le vacanze estive, diventando, anno dopo anno, inseparabili. Poi però, come spesso accade, crescendo si perdono di vista. Pietro inizia la ricerca del proprio posto nel mondo, mentre Bruno fa sempre più stretto e viscerale il suo rapporto con la montagna in cui è nato, convinto che sia quello il proprio destino e determinato nel tenervi fede, perché, come un albero di bosco, anche lui “è forte se cresce dove è nato, ma è debole se lo sposti da un’altra parte”. Finché un evento doloroso e inaspettato riporterà i due amici sullo stesso sentiero.
Uomini, amici, figli
Le Otto Montagne è, prima di tutto, la storia di un’amicizia e per questo il film è graziato dal rapporto che unisce i due attori protagonisti. Borghi e Marinelli sono stati insieme davanti alla cinepresa l’ultima volta nel 2015, quando girarono Non essere cattivo di Claudio Caligari, e da allora non si sono mai separati. E si vede. I due attori donano non soltanto sé stessi ai propri personaggi – sparendo totalmente in favore di questi –, ma anche il proprio vissuto condiviso. Il risultato sono delle scene di complicità autentica e genuina di cui è un piacere essere spettatori.
Commoventi sono poi le interpretazioni di Elena Lietti e Filippo Timi, accogliente e forte la prima, volitivo e premuroso il secondo. Il rapporto padre-figlio, tanto indagato in ogni arte, trova ne Le Otto Montagne un luogo in cui declinarsi nuovamente. Ne nasce una relazione a tratti complessa e conflittuale, che affida alla montagna la propria eredità e la possibilità di riconciliazione, sopravvivendo così alla morte.
Le otto montagne: un racconto intimo
L’umanità sincera e spontanea che abita Le Otto Montagne fa sì che guardandolo ci si senta testimoni di qualcosa di intimo, persino di privato. Tale seducente sensazione è accentuata dal formato 4:3, che dà l’impressione di trovarsi davanti a scatti e filmini di vacanza, costellati di momenti di quotidianità in paesaggi meravigliosi, che la fotografia di Ruben Impens riesce a esaltare in ogni frame.
La macchina da presa contempla le cime con inquadrature fisse, in cui l’uomo, spesso, si inserisce solo in un secondo momento, entrandoci dai lati, come a ricordare il contrasto tra la fissità delle une e la transitorietà dell’altro. Realtà, questa, esibita anche dai campi lunghi e lunghissimi, in cui le persone si fanno sempre più piccole, fin quasi a scomparire.
Non per questo, però, la montagna fa paura. Anzi, per i 150 minuti del film, la montagna è una casa che Bruno e Pietro condividono con lo spettatore, rivelandogliene complessità e bellezze. Anche per questo la lunghezza del film appare giustificata: Van Groeningen e Vandermeersch scelgono – mantenendo una pressoché totale aderenza al libro di Cognetti – di prendersi il tempo necessario per raccontare una storia che senza le pause piene di paesaggi, senza i silenzi riempiti solo dal rumore del legno vivo e della neve calpestata, senza gli sguardi muti illuminati da un falò crepitante, non avrebbe potuto esprimersi appieno.
Le Otto Montagne è un film da vedere
Le otto montagne è un film da vedere, meglio ancora se in sala. E chissà che anche chi non è appassionato di montagna possa ritrovarsi, come Pietro, a commuoversi davanti a qualcosa che non credeva appartenergli.
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