Le Pupille, il nuovo mediometraggio (37’) dell’italiana Alice Rohrwacher, presentato in première mondiale allo scorso Festival di Cannes e disponibile su Disney+ dal 16 dicembre scorso, ha ricevuto una meritatissima nomination agli Oscar nella categoria Miglior cortometraggio. Il film, co-prodotto niente di meno che da Alfonso Cuaròn, è liberamente ispirato ad una lettera che la scrittrice Elsa Morante ha spedito all’amico Goffredo Fofi, nel quale gli raccontava di un istituto cattolico durante la guerra. Nei ruoli delle due donne di rilievo, Alba Rohrwacher, sorella della regista, e Valeria Bruni Tedeschi. Ecco quindi, riunite nella produzione de Le Pupille, tre donne dal profilo internazionale in grado di cambiare internamente e in meglio il cinema italiano.
Le Pupille: disobbedienza intelligente, il seme dell’evoluzione
Dalla canzone Ba-ba-baciami Piccina del Quartetto Cetra alla zuppa inglese, Le Pupille affronta con la leggerezza e la sfrontatezza delle favole un tema sempre, e più che mai ora, attuale: la ribellione. Una ribellione tuttavia attuata con coerenza e fermezza che, andando a toccare il tasto giusto, scardina, senza la possibilità di controbattere, il sistema. Un sistema che si professa “buono e giusto”, ma che è in realtà strumento di controllo egoista e dispotico della massa, la quale decide di affidarsi ad un potere che assume il ruolo di guida ideologica.
Ecco perché la ribellione coerente è il modo più efficace per apportare un vero cambiamento: perché non parte dalla difesa di una propria idea differente, ma dalla dimostrazione che le regole dettate dal sistema si possono ritorcere contro il sistema stesso. È una ribellione che parte da una disobbedienza intelligente e che serve per comprendere che esisterà sempre un prima e un dopo, una distruzione e una rigenerazione. A noi spettatori i ribelli piacciono sempre, ma ai vertici non piacciono mai: ecco perché sono la forza motrice dell’evoluzione.
Le Pupille ha la saggezza e il coraggio delle fiabe
Al di là dell’interpretazione politica, Le Pupille va ad esplorare anche tutta una serie di sentimenti e atteggiamenti complementari: gentilezza, egoismo, dono, privazione, ma soprattutto bene e male. Una fiaba per bambini e una parabola per gli adulti che si sono dimenticati cosa significhi imparare dai grandi e credere a quello che viene detto quando non si ha ancora una consolidata autonomia di pensiero. La potenza magica delle parole si fonde alla saggezza archetipica delle fiabe regalando un mediometraggio che ha, a tutti gli effetti, l’intensità e la ricchezza di un film, oltre che capacità d’insegnamento e una chiarezza d’intenti disarmante.
Serafina: l’angelo più buono di tutti
Una serie di simboli ci accompagna nella visione de Le Pupille, a partire da Serafina: nome parlante della bambina cattiva che è in realtà colei che potrebbe stare nella più alta cerchia celeste degli angeli. Il cuore che regge tra le mani è così delicato e potente da essere in grado di ribaltare la situazione, a partire dalla radio. Mezzo utilizzato solo esclusivamente per ascoltare gli aggiornamenti sulle notizie di guerra ma che, sotto le innocenti mani di Serafina, si sintonizza sulla musica che la Madre Superiora ritiene quasi satanica: è il passaggio dal mondo dentro a quello là fuori, sconosciuto.
La zuppa inglese rossa, dono proibito, è caos e involucro di sogni, desideri e speranze, che attrae e catalizza il mondo attorno. È una valuta di scambio per una preghiera importante o per la grazia del vescovo, un dono prezioso (addirittura 70 uova in periodo di carestia!) ma solo in apparenza, che alla fine andrà dove è giusto che vada: al popolo, agli animali, sulla terra.
La Madre Superiora, come chi è ebbro di potere, cade in isterismi, come lavare le lingue delle bambine con il sapone, e si muove nell’orfanatrofio, metafora di chi si sente senza guida e senza patria, come se fosse il suo piccolo regno. Ma anche lei ha una coscienza, in questo caso rappresentata dall’altra suora che cerca di mediare fra lei e le bambine.
Le Pupille e la sua armonia dell’estetica
Tutto si svolge all’interno del collegio, ma appena si esce i colori sulle tonalità del rosso e del giallo di Bologna invadono le inquadrature, contrastando con le svolazzanti tuniche nere e le facce sudice degli spazzacamini. La musica è dissonante con il periodo, ma calza a pennello con lo stile del film. Il barocco tableau vivant del presepe è dolce e inquietante (un po’ come la zuppa inglese) e insieme ad altre inquadrature pittorescamente costruite ricorda un po’ lo stile di Wes Anderson.
Insomma, Le Pupille è ovviamente un film specificamente per “i grandi”, quindi gli adulti che agiscono attivamente nel mondo, ma ha anche un significato profondo che insegna ai bambini e alle bambine quando è il momento di mettere in discussione ciò che si apprende. Lo stile e la regia della Rohrwacher si dimostra capace di conciliare questi due aspetti, veicolando informazioni a più livelli espressivi, simbolici e drammaturgici: un cinema italiano diverso dal solito, che ci si auspica possa portare un miglioramento, proprio come Serafina.
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