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Leave No Traces

Leave No Traces: la Polonia degli anni ’80 in un evento di cupa attualità| Venezia 78

6 minuti di lettura

Il regista polacco Jan P. Matuszyński offre a Venezia 78 uno sguardo su una cupa parentesi di cronaca nera della Polonia degli anni Ottanta. Il suo film in concorso, Leave No Traces, ripercorre l’omicidio dello studente Grzegorz Przemyk, martoriato dal pestaggio della Milizia Civile, che lo fermò e trattenne ingiustamente il 12 maggio 1983. Si tratta del secondo lungometraggio per Matuszyński, che nel 2016 esordiva con The Last Family, ritratto biografico del pittore Zdzisław Beksiński. Anche in questo caso il cineasta torna su un episodio storico, intessuto di ingiustizia politica e affamato di giustizia sociale. Il suo obiettivo è quello di raccontare una storia di oppressione che, nonostante sia ambientata quarant’anni fa, è più attuale che mai.

Non è un caso che Matuszyński abbia dedicato un pensiero a George Floyd, lungo un parallelismo di una violenza soffocata dal silenzio. Ma, mentre nel caso di Floyd, il pestaggio è stato ripreso dal telefono di Darnella Frazier, per Przemyk l’unico testimone, il suo amico Jurek, ha dovuto costruire una testimonianza basata sulle sue sole parole. Uno contro tutti, in una dimensione in cui l’indifferenza è l’unica arma di sopravvivenza. Ecco dunque che Leave No Traces non scandaglia la morte del giovane, ma le sue complesse conseguenze, laddove ciò che conta è il colpo mortale che spento la vita di Przemyk; quello che Jurek è riuscito a cogliere in un labirinto controverso di eventi.

Picchiate in pancia per non lasciare tracce

Basta una frase per racchiudere l’immensa potenza emotiva del film. Così ecco che proprio un colpo in pancia, quello fatale dopo una sequela di violenze, ha ucciso Przemyk. Sin da subito, Matuszyński rende chiara al suo pubblico la morte dello studente. Ma l’accertamento porta con sé il dubbio su chi abbia inferto il colpo finale. A testimonianza c’è Jurek, che ha visto qualcosa, ma non ha visto tutto. Ed è questo che rende interessante il ginepraio di eventi che accompagnano le indagini e il processo, fermamente ostacolati e intralciati dalla polizia comunista. La stessa che ha dato inizio a una morte ingiustificata, quando Przemyk si è rifiutato di consegnare i documenti dopo essere stato fermato a Varsavia mentre si divertiva con i suoi amici.

Il ragazzo non ha fatto altro che appellarsi a un suo diritto civile, dato che, la legge marziale introdotta nel 1981, era già stata soppressa. Tuttavia Przemyk portava sulle sue spalle una tara ereditaria, quella della madre, Barbara Sadowska, attivista e poetessa dissidente, già fermata in precedenza con la minaccia di una ripercussione sul figlio. E questa, come promesso, arriva, letale e misteriosa, in una cornice politica che manipola la verità a suo piacimento. Perché non si accetta un’unica versione dei fatti, laddove ognuno cerca di cogliere l’interpretazione che gli consente un tornaconto personale. La stessa figura della Sadowska si piega in una fragilità finale che non accetta più il compromesso, abbandonandosi solo a un desiderio di morte. L’unico a tenere alta la sua verità — che è l’unica che merita di essere raccontata — è Jurek.

Leave No Traces

Leave No Traces: un film che cerca l’universalità

Per dipingere una trama di tale importanza storica per la Polonia, Leave No Traces cerca l’universalità a partire da un linguaggio filmico che, a detta del regista, si ispira alla New Hollywood negli anni Settanta. Da Francis Ford Coppola a Sidney Pollack, Matuszyński cerca l’intimità in una narrazione ampia, ma precisa. Certamente non si è potuto appellare alla ricchezza descrittiva del romanzo di Cezary Łazarewicz, dal quale è tratto il film, ma ha cercato di concentrare una doverosa riflessione nel biennio 1983-1984. Un anno è stato infatti il periodo di tempo in cui la polizia ha perseguitato Jurek, sottoponendolo a interrogatori e considerandolo più un sospettato che un testimone. Questo largo respiro trova concretizzazione in un film che cerca di scandagliare tutti i settori umani coinvolti nella vicenda.

Tra questi affiora con particolare trasporto emotivo la vicenda dell’infermiere che si occupò di portare Przemyk al pronto soccorso, arrestato nella notte e costretto a testimoniare di essere stato il colpevole del pestaggio sotto minaccia. Una delle tante pedine che può solo accogliere passivamente un potere indiscriminato e invadente. Tuttavia, la scelta di Matuszyński di scavare nel dettaglio, lascia alcuni passaggi sospesi, che non aiutano lo spettatore internazionale a cogliere in maniera chiara e completa la portata dell’evento narrato. Leave No Traces, però, riesce comunque nell’intento di attualizzare una realtà che è lontana per lo spettatore che non ha questi eventi nella propria memoria storica. Come lo stesso regista dichiara:

Quando ho letto il libro, ero scioccato che un caso accaduto prima ancora che io nascessi potesse sembrare così contemporaneo e, proprio come uno specchio, riflette varie situazioni simili. Questo è uno dei motivi per cui ho pensato che fosse necessario filmarlo.

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Classe 1996, laureata in Comunicazione e con un Master in Arti del Racconto.
Tra la passione per le serie tv e l'idolatria per Tarantino, mi lascio ispirare dalle storie.
Sogno di poterle scrivere o editare, ma nel frattempo rimango con i piedi a terra, sui miei immancabili tacchi.

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