In molti lo riconoscono come Frontman in Squid Game, cosa che a Lee Byung-hun, come lui stesso ha ammesso, non fa piacere. L’attore vanta infatti una vastissima filmografia che, tra lungometraggi, Serie TV e K-drama, arriva a contare più di sessanta titoli: proprio tra questi gli organizzatori del Florence Korea Film Festival sono stati costretti a scegliere, sicuramente con non poca fatica, per mettere in piedi la sezione a lui dedicata.
Amante di Firenze, sua città preferita in Italia, e grande fan di La Vita è Bella e Nuovo Cinema Paradiso, Lee Byung-hun è entrato al cinema La Compagnia indossando un sorriso a trentadue denti e portando con sé una serie di gadget a tema reperiti appositamente dal suo appartamento. Oltre che una quantità spropositata di gentilezza, l’attore ha condiviso col pubblico parte della sua vita sul set, non lesinando su aneddoti divertenti e retroscena; il tutto lasciando trasparire l’amore, radicato e vibrante, per la sua professione, di cui tutti i presenti in sala hanno potuto avere un assaggio.
Non solo Squid Game, i mille volti di Lee Byung-hun
La Masterclass dedicata a Lee Byung-hun si è aperta con un ricordo d’infanzia prezioso: le prime volte trascorse al cinema con suo papà, negli anni ’70. L’attore ricorda quell’esperienza con fare commosso, accennando all’odore di arachidi e calamari, talvolta contaminato da un altro un po’ meno piacevole. “Spesso i bambini non volevano andare in bagno e perdersi il film…qualcuno preferiva risolvere il problema in fondo alla sala, e per forza di cose l’odore arrivava anche ai posti davanti”. Un dettaglio, a quanto sembra, non troppo rilevante. “L’esperienza al cinema era comunque mistica: quando si aprivano le porte e si sentiva quell’odore, il mio cuore iniziava a battere all’impazzata”.
È un regista dotato di una creatività geniale […]. Nonostante la seconda stagione non fosse prevista, l’ha resa qualcosa che non guarderesti solo perché prosieguo di qualcos’altro: è un prodotto super interessante di per sé.
Lee Byung-hun su Hwang Dong-hyuk, regista di Squid Game
Quell’amore per il cinema non è mai appassito e, dopo anni difficili a livello lavorativo, Lee Byung-hun ha raggiunto il meritato successo: “Quando mi è stato proposto Joint Security Area avevo alle spalle quattro film andati in rosso e in Corea dopo tre fallimenti consecutivi sei considerato un attore finito”. Il successo riscosso dal film di Park Chan-wook l’ha quindi colto alla sprovvista: “Quando sono stato premiato al Busan Film Critics Awards, mi sono presentato come ‘Lee Byung-hun, il campione di incassi’ […] Quel film è stato un’esperienza unica e preziosa”.
Un’esperienza che diede uno scossone alla sua carriera, segnata da numerose collaborazioni con il regista Kim Jee-woon. “Credo di avere sempre faticato molto lavorando con lui. Ha la capacità di spremere fino all’ultima goccia i suoi attori sul set”. Il progetto più difficile da realizzare sembra sia stato A Bittersweet Life (2005). “Le riprese duravano tutta la notte. Mi guardavo allo specchio, vedevo lividi e ferite, e lavandomi mi rendevo conto che non si trattava solo di trucco. Più volte mi sono chiesto cosa stessi facendo, ma in fondo non me ne sono mai pentito; credo che tra me e Kim Jee-woon ci sia un’affinità senza pari”.
Segue a ruota in quanto a fatica I Saw the Devil (2010), che richiese a Lee Byung-hun uno sforzo psicologico tale da portarlo a provare un costante senso di depressione. Ma anche per il pubblico deve essere stata dura: “La prima volta che l’ho visto su schermo sono rimasto scioccato”, ha detto l’attore. “Sapevamo sarebbe stato di grande impatto, ma non mi aspettavo saremmo arrivati a tanto”. Diverso è stato per Inside Men (2015), in cui Lee Byung-hun è il volto dell’antieroe: “Il film aveva una struttura molto solida, ma avvenimenti e personaggi erano fin tropo seri e pesanti. Qualcuno doveva prendersi il compito di far rilassare un po’ di più il pubblico”.
Se dovessi interpretare il ruolo di un coreano che non sa assolutamente nulla della cultura italiana penso che mi divertirei…e sarei anche bravo!
Lee Byung-hun al Florence Korea Film Fest
In Masquerade (2012) Lee Byung-hun interpreta due personaggi molto diversi, un re e un popolano, che necessitarono per forza di cose un diverso tipo di studio fuori dal set: “Gli attori non sono sciamani”, ha dichiarato, per sottolineare gli sforzi compiuti anche lontano dalle telecamere: “Durante la fase di preparazione è come se mi imbevessi del personaggio, mi bagno piano piano e per farlo ci vuole pazienza […]. Per interpretare al meglio il re mi sono affidato alle fonti storiche, il suo sosia ha richiesto più contatto con il regista: temevo che uno dei due potesse sembrare un’imitazione”.
I Come With the Rain (2009) è inclusa tra le pellicole che richiesero a Lee Byung-hun non poca fatica, a livello mentale. “Sono andato dal regista per chiedergli quale fosse il messaggio del film e mi ha risposto che lui stesso non lo sapeva; io credo che non stesse dicendo la verità. Credo invece che volesse dare spazio al pubblico in sala, non porre limiti a ciò che una persona può sentire e provare…ma per me che ho l’abitudine di voler capire sempre tutto, è stata decisamente una bella sfida”.
Seguici su Instagram, Tik Tok, Twitch e Telegram per sapere sempre cosa guardare!
Non abbiamo grandi editori alle spalle. Gli unici nostri padroni sono i lettori. Sostieni la cultura giovane, libera e indipendente: iscriviti al FR Club!