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Lezioni di persiano, il valore della memoria

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7 minuti di lettura

Presentato nella sezione Berlinale Special Gala della 70esima edizione della Berlinale, Lezioni di persiano è l’ultimo film del regista canadese di origini ucraine Vadim Perelman, a quattordici anni dall’uscita di Davanti agli occhi (2007) e diciotto da La casa di sabbia e nebbia (2003), che collezionò tre nomination agli Oscar. Il film è stato presentato sulla piattaforma streaming #Iorestoinsala, dal 14 al 17 gennaio, in attesa di una distribuzione che gli permetta di arrivare anche nelle nostre sale.

Di impostazione classica, Lezioni di persiano riporta sul grande schermo gli scenari della Seconda Guerra Mondiale e dell’orrore nazista, distinguendosi per l’originalità della vicenda e la forza espressiva dei due protagonisti che si scontrano su uno dei campi più interessanti dell’età contemporanea: il linguaggio.

Lezioni di persiano è tratto da una storia vera

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Francia, 1942. Gilles (Nahuel Pérez Biscayart, 120 battiti al minuto) è un ragazzo ebreo belga che durante un rastrellamento nazista riesce a sfuggire alla fucilazione, spacciandosi per persiano. Viene risparmiato perché nel vicino campo di lavoro, ispirato ai colori e ai toni plumbei di Natzweiler-Struthof, situato nel nord-est della Francia, l’ufficiale responsabile delle cucine Klaus Koch (Lars Eidinger, Personal Shopper) è desideroso di imparare la lingua farsi. Nonostante i numerosi sospetti delle SS sulla sua reale identità, Gilles riesce a inventare migliaia di vocaboli, attingendo in segreto ai nomi dei deportati trascritti nei registri nazisti e costruendo una lingua di fatto nuova che il generale vuole imparare per ricongiungersi a guerra finita con il fratello emigrato a Teheran.

Di fronte all’incredulità di tutti, anche dello spettatore, le nuove parole inventate da Gilles aumentano, fino a diventare frasi di senso compiuto, discorsi, domande, poesie che Koch apprende tra entusiasmo e sospetto, nel corso di lunghe lezioni di grammatica in cui è in gioco la vita del giovane ebreo. Con il tempo, tra l’ufficiale e il prigioniero si crea una particolare empatia, una sorta di amicizia che lascia l’orrore nazista fuori dalla porta dell’ufficio e restituisce umanità e dignità a entrambe le parti, grazie al potere della parola e di un linguaggio nuovo, irreale, dalla sonorità  «meravigliosa» perché diversa dalla durezza del mondo in cui ha luogo la vicenda.

Il sogno di un mondo libero

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Lo scambio tra culture, l’intreccio tra menzogna e verità, nomi e identità diverse, di personaggi e luoghi che spaziano tra Germania, Belgio e Persia, con un riferimento anche alla Francia e all’Italia, rendono Lezioni di persiano un film di ampio respiro, un’inedita lezione di Storia, in cui la speranza di una vita diversa permette di viaggiare con il pensiero verso mondi lontani e un futuro migliore, oltre i recinti di filo spinato e i campi di lavoro.

L’immaginario di un’esotica Teheran rappresenta l’unica possibilità di evasione da parte dall’ufficiale nazista, il sogno che attraverso l’incomprensibile idioma permette di estraniarsi dalle atrocità del mondo contemporaneo tracciando una mappa mentale che unisce l’Europa e il Medioriente, nell’utopia di un mondo privo di confini. Attraverso una lingua antica come il persiano, il contesto lessicale del film pone le basi di un arguto gioco di scambi di identità che si apre con Gilles, che pur essendo di nazionalità belga si finge persiano, e si conclude con l’ufficiale Koch che, fuggito dopo la disfatta della Germania, tenta di entrare in Iran proprio con un passaporto belga.

Lezioni di persiano sulla profondità dell’essere umano

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Attraverso l’espediente della lingua Perelamn lascia trasparire le numerose sfumature dell’animo umano, vivide nello sguardo dei protagonisti capace di esprimere allo stesso tempo paura, speranza, dolore e compassione. La stessa molteplicità si riflette nella parola “raaj” a cui Gilles attribuisce arbitrariamente sia il significato di “albero” (notoriamente simbolo di vita e di speranza) che di “pane”, l’elemento chiave che, scambiato all’inizio del film con un libro in persiano, di fatto gli salva la vita.

L’importanza della memoria oggi

Ispirato a un’incredibile storia vera, e basato sul racconto Invenzione di una lingua di Wolfgang Kohlhaase, Lezioni di persiano, sceneggiato da Ilya Zofin, ci racconta con rara delicatezza una storia di intelligenza, ma soprattutto di resistenza, una prova di coraggio sostenuta da un inossidabile attaccamento alla vita.

Al centro della narrazione sta la metafora della memoria, che permette al protagonista di salvare non solo se stesso ma anche il ricordo di migliaia di nomi di prigionieri che altrimenti, a guerra finita, sarebbero andati perduti. Il tema della memoria in questo film dunque coincide con quello della speranza e della consapevolezza, valori che sono oggi più che mai una necessità, un monito per non dimenticare e continuare a raccontare quello che è accaduto per evitare che la Storia tragicamente si ripeta.

In un momento di inedita complessità, in cui la virtualità in cui siamo relegati lascia sempre più spazio a inaccettabili episodi di negazionismo, Lezioni di persiano ci ricorda che, anche in un presente che appare sospeso, la coscienza della nostra Storia rimane uno dei valori più importanti, un’eredità immateriale da custodire e da proteggere da chiunque tenti di scalfirla.


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Nata a Verona 23 anni fa, vive a Parigi per specializzarsi in Museologia all’Ecole du Louvre. Legge in metro i Cahiers du cinéma, va al cinema durante la settimana, anche da sola. Questa estate ha coronato uno dei sogni più grandi partecipando alla Mostra del Cinema di Venezia. Scrive delle ultime uscite in sala, di premiazioni, festival e di tutto il folle mondo che ci ruota attorno.