Se si potesse descrivere la recitazione di Liam Neeson con una definizione, si dovrebbe usare la parola versatile. Nella sua carriera troviamo infatti di tutto: film romantici, film d’azione, film thriller e horror, film adrenalinici, film supereroistici, e anche qualche comparsata in film demenziali. Nella vita di un attore, come quella di Liam Neeson, in fondo, è facile perdersi. E nei meandri di una filmografia lunga quarant’anni, si deve essere bravi anche a tenere d’occhio il variare dei connotati recitativi. Osservando così venti film di genere diverso con lo stesso attore, si potrà scorgere un filo rosso che lega in modo indissolubile la sua vita con il cinema.
Partito dai piccoli show televisivi britannici degli anni ’80, un giorno Liam Neeson decide di fare il grande passo: si reca a Hollywood e tutto cambia. Glielo hanno chiesto molte volte: perché un attore nordirlandese, innamorato della sua terra, decide all’improvviso di andare a Hollywood? Per lo stesso motivo di molti altri, chi più famoso chi meno. Ovvero che Hollywood è il centro del cinema anglosassone, dove i sogni si realizzano, dove un attore affamato di copioni, con la voglia di fare, trova pane per i suoi denti.
La carriera poliedrica di Liam Neeson
Se n’era accorto d’altronde Martin Scorsese che più di una volta ha deciso di introdurlo all’interno dei cast nei suoi film (Gangs of New York del 2002, Silence del 2016), ma ancora prima se ne accorse Steven Spielberg che lo ingaggiò per il protagonista del film cardine sull’olocausto. Parliamo di Schindler’s List (1993) ovviamente, in cui Liam Neeson dedica un’interpretazione realistica e statuaria: l’Oskar Schindler di Neeson è infatti compassato, attento, sentimentale, preoccupato, satirico e con lo sguardo rivolto al presente: una delle uniche macchie di colore – l’altra se ricordate bene l’aveva aggiunta letteralmente Spielberg – nel grigiore del mondo.
Le occasioni però fioccarono anche prima, da Mission (1986) di Roland Joffé a Mariti e Mogli (1992) di Woody Allen, passando per quel “a quiet genius” di Sam Raimi, come lo stesso Liam Neeson lo ha definito una volta da Charlie Rose. Per lui, l’attore irlandese ha dato tanto con Darkman (1990), un film che col senno di poi sembra il prototipo perfetto di Doctor Strange.
Visti i grandi successi, e una carriera che non smette di dare soddisfazioni, il nuovo millennio si apre a Liam Neeson in maniera decisamente promettente. Tra le sue soddisfazioni, anche il matrimonio con Natasha Richardson, conosciuta sul set del musical Annie Christie (1993), in cui Liam Neeson venne scelto per il ruolo di co-protagonista.
Poi l’inevitabile. Nel marzo 2009 la Richardson cadde sugli sci fatalmente, da quel momento (quasi) tutto finisce. La carriera di Liam Neeson – non è un mistero – conosce un calo di qualità indiscutibile: dal drammatico statuario si passa all’azione e alla comicità di pancia (abbiamo L’uomo sul treno del 2018 e qualche collaborazione con I Griffin che fanno da cartina tornasole) come quasi fosse una valvola di sfogo: inevitabile, appunto.
Liam Neeson: l’attore
Sguardo freddo, viso contratto in una smorfia, occhi infossati, piccoli e taglienti, una camminata che giustifica il suo metro e novanta, e un ciuffo impossibile da scompigliare. Liam Neeson non è un semplice attore dal fascino irlandese; nella sua recitazione di altri tempi prevale l’opposto: da una parte esce fuori il poeta maledetto che solo Neeson in certe occasioni (Michael Collins (1996) in testa) riesce a trasmettere al pubblico; da un certo punto di vista Liam Neeson sembra quasi che respiri l’aria della Nouvelle Vague, da cui Jean-Paul Belmondo ha fatto scuola.
Dall’altra parte si intravede uno spiraglio dandy alla Oscar Wilde e uno sguardo attento sulla poesia irlandese di inizio Novecento, per il quale Liam Neeson non ha mai nascosto un amore incondizionato. Il gusto per la satira sferzante non può che provenire proprio dal maestro James Joyce. In seno a lui sta tutto il lato ironico-politico-impegnato che Neeson ha trapelato lungo i suoi anni di carriera: c’è più Ulysses in Taken (2008) di quanto si pensi insomma.
Fa eccezione sicuramente un angolo recitativo che invece prevale in molti film dell’ultimo momento, quando appunto Liam Neeson cambia nettamente rotta preferendo il cinema da multisala, con camion che esplodono e narrazioni al cardiopalma. Non si dice a caso “camion che esplodono”, è infatti esemplare il recentissimo Ice Road (2021), thriller, on the road, d’azione, esaltato su una sfida al limite della sopravvivenza. Ma prendiamo Ice Road solo e soltanto come puro esempio. Anche perché in realtà con la filmografia di Liam Neeson si potrebbero giocare tantissime carte se si parla di film d’azione.
Appunti partigiani: un film per Liam Neeson
Abbiamo imparato a conoscere Liam Neeson per quello che è: un attore versatile, non c’è dubbio, dal gusto grottesco per l’ironia di “basso livello” ma anche di quella capace di fare della critica sociale una simbolica lotta di classe. Ma Liam Neeson è l’attore che è oggi anche per le sue origini insulari – più Belfast che Dublino – con caratteristiche rivoluzionarie, decadentiste, operaie e partigiane.
Da qui proviamo a vestirgli addosso un personaggio tipico intessuto in una storia anch’essa tipica che possa riassumere l’essenza di Liam Neeson, e di tutto il suo cinema che ha dato in questi quasi quarant’anni di carriera.
Se ci fosse un film in grado di riportare alla ribalta Liam Neeson dovrebbe essere innanzitutto un ritorno al futuro delle sue origini. Come detto, e come per ogni altro attore, esiste anche per Liam Neeson un picco della carriera, che corrisponde circa agli anni ’90, seguito da un periodo invece più stanco come quello attuale. Michael Collins è stata una palestra ideologica da questo punto di vista, in cui le radici più profonde dell’irredentismo irlandese hanno lasciato un’influenza non indifferente sulla recitazione dell’attore. Discorso simile vale per il ribellismo di Schindler’s List, e l’anarchia pura di Darkman.
Il ritratto che ne viene fuori non può che condurlo verso una storia costruita interamente sul protagonista (rispettando così un po’ tutta quella che è la sua filmografia): un eroe di altri tempi che parla al presente e al futuro; oppure, se vogliamo, un lottatore prototipico destinato a combattere per una qualche patria di qualche paese allo scatafascio. Serve però anche un elemento di innovazione. Allontaniamo dunque Liam Neeson dai suoi luoghi tipici: via Hollywood, via gli Stati Uniti e le sue sparatorie pirotecniche, via anche il decadentismo industriale di inizio Novecento irlandese, e via anche tutta quanta la fantascienza (che, salvo rari casi, non gli fa bene).
Spostiamo, invece, l’attenzione sul Belpaese. Andiamo nella nostra Italia, in particolare nel periodo storico in cui un personaggio da Liam Neeson potrebbe essere a suo agio.
Nord Italia, da qualche parte vicino ai laghi e le Prealpi lombardo-venete. Anno 1945. A pochi mesi dal 25 aprile e dall’agognata Liberazione dal nazifascismo, un gruppo di partigiani perlustra le colline intorno a un grande lago. Il giorno prima i fascisti della Repubblica di Salò, alleati con i nazisti che hanno occupato la penisola, avevano sferrato un attacco verso i ribelli partigiani nascosti ormai dai più di due anni e costretti alla clandestinità. In mezzo al gruppo si scorge un uomo più anziano degli altri, si tratta di un maestro di scuola elementare all’alba della pensione (Liam Neeson) che ha deciso di far parte della Resistenza, dopo che Mussolini si stanziò dalle sue zone proclamando la Repubblica di Salò.
La scena è quasi bizzarra: intorno a lui ci sono solo ventenni allo sbaraglio, molti di loro sono suoi ex-alunni: strappati alla vita e alla gioventù da una guerra sanguinaria, e da una dittatura che taglia ogni tipo di ponte con il futuro.
Il maestro lasciò il proprio lavoro alla scuola elementare del paese dove insegnava da una vita, per unirsi alla ribellione. Ebbe infatti una sorta di epifania: l’effimera libertà data dalla caduta di Mussolini nel ’43 lo aveva risvegliato come da un grosso incubo, niente aveva senso ormai. Il fascismo non aveva senso. In una lotta estrema per la sopravvivenza – e tra un flashback e un altro – il maestro dovrà imbracciare le armi per dimostrare a sé stesso, al gruppo di partigiani con cui combatte, e all’Italia intera che un’alternativa alla dittatura esiste.
Un personaggio testamento?
Il personaggio è dunque un sessantenne quasi in pensione che molla tutto all’improvviso e parte per il fronte: in una storia che evoca reminiscenze da Ungaretti a Fenoglio, Liam Neeson interpreta un maestro che abbandona il proprio ruolo di insegnante per ritrovare una strada pacifica innanzitutto interiore. Dopo un ventennio passato a sottomettersi passivamente al regime (un po’ come Liam Neeson attore che ha passato gli ultimi vent’anni al servizio delle major produttive) ecco la rinascita esistenziale in pura salsa rivoluzionaria.
All’interno del personaggio ci sono un po’ tutte le fonti d’ispirazioni e le esperienze attoriali di Liam Neeson: James Joyce, l’irredentismo irlandese, il nazismo di Oskar Schindler, i thriller adrenalinici (pur sempre di film di guerra stiamo parlando), e un pizzico di spirito vendicativo, proprio come Darkman o Taken.
Pensato come se fosse un film ribalta della sua figura, girato con un taglio meno hollywoodiano e più autoriale, abbiamo provato a pensare a un’ideale sceneggiatura con un altrettanto ideale personaggio per Liam Neeson. Un attore ormai semi-dimenticato, se non per qualche meme sui social, che nonostante tutto merita almeno un’altra pellicola, forse più sentimentale e nostalgica del solito, ma sicuramente in grado di riprendere in mano la carriera di Liam Neeson. Il suo compito, oggigiorno, è quello di dimostrare d’altronde di essere molto di più di un semplice attore e divo di Hollywood, ma anche di essere un maestro del cinema, o meglio, del suo cinema, unico al mondo.
In copertina: Artwork by Alessandro Cavaggioni
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