Amo il primo piano perché in quel momento il nostro sguardo arriva vicinissimo all’animo umano. È qualcosa che in teatro non può avvenire ma nel cinema sì, e quando avviene è fantastico: in quel momento la recitazione scompare: l’unica cosa che si deve vedere è la realtà di un volto al di là della realtà.
Liv Ullmann
Lo sguardo di Liv Ullmann è un mondo in continuo movimento: dentro di sé racchiude le scogliere grigie e inscalfibili e le onde che si infrangono irrequiete sulle rocce. Raccontano l‘isola di Fårö di Ingmar Bergman e tutti gli immaginare che si stagliano all’orizzonte del Mar Baltico.
Ullmann sboccia come musa del regista svedese, con cui collaborerà per quarant’anni: ma non si commetta l’errore di considerare il sodalizio artistico con Bergman come un rapporto unidirezionale in cui l’attrice ricopre un ruolo passivo.
Liv Ullmann con la sua presenza attoriale ha plasmato il corpus cinematografico bergmaniano: vi ha infuso dentro il suo pensiero, la sua vitalità, e il suo sguardo. RIpercorriamo alcuni momenti della sua carriera prolifica, dalla recitazione alla regia.
La nascita di un’icona: Persona
Nel 1966 Ingmar Bergman scrive per Ullmann la sceneggiatura di Persona. Liv Ullmann interpreta l’attrice di teatro Elizabeth Vogler, affiancata da Bibi Andersenn nei panni dell’infermiera Alma. Persona è un film dominato da un femminile inedito e perturbante: il paesaggio delimitato dall’inquadratura è dominato dall’immaginario psichico di queste due donne, dai loro desideri e dalle loro pulsioni.
Non esistono veri e proprio ruoli sociali a cui vincolare questi corpi femminili: né madri, né sorelle, né mogli. Sono solo due donne e le loro esperienze in una stanza, con solo il viso dell’altra come interlocutore e come specchio.
L’interpretazione di Liv Ullmann nei panni dell’attrice di teatro che ha deciso di trincerarsi nel mutismo si serve proprio del silenzio per potenziare il linguaggio del viso (o della maschera?), a cui viene dato il compito di esprimere un’interiorità complessa, quasi contorta, lacerata da emozioni troppo intense per la limitatezza della parola.
Scene da un matrimonio e Sussurri e grida
Ullmann prosegue il suo sodalizio con Bergman: tra i tanti film realizzati insieme ricordiamo L’ora del lupo (1968), Passione (1969), Scene da un matrimonio (1973), Sussurri e grida (1972) e Sinfonia d’autunno (1978).
Scene da un matrimonio è un film la cui attualità ha stimolato un gran numero di rifacimenti e di tributi, ultimo in ordine cronologico la miniserie televisiva del 2021 con protagonisti Oscar Isaac e Jessica Chastain. Il titolo non inganna: la storia di Johan (Erland Josephson) e di Marianne, interpretata da Liv Ullmann, è un’analisi drammaturgica, psicologica e sociale della coppia e delle istituzioni che la regolano.
Bergman opera una decostruzione minuziosa della mitologia della coppia, scandagliando l’accumularsi di piccole crisi taciute che deteriorano un rapporto. Ullmann dà il volto a Marianne: una donna insicura, fragile e dolorosamente devota che nel corso del film riesce a comprendersi, ad ascoltare i suoi bisogni e ad accettare le proprie contraddizioni.
Fu un film controverso, probabilmente il più celebrato di Bergman ed ebbe anche dei risvolti inaspettati, come l’aumento dei divorzi sia nei paesi scandinavi che in Italia e nel resto d’Europa. Probabilmente questo film ha fatto sì che le coppie iniziassero a parlare tra di loro. Il film ha una quantità di dialogo infinita e l’abbiamo girato in sei settimane, per un totale di sei ore di cinema. Io e Erland Josephson ci alzavamo all’alba e stavamo tutto il tempo in un cottage a bere caffè e a ripetere le battute.
Liv Ullmann
Sussurri e grida invece è la storia di Agnes (Harriet Andersson) e le sue sorelle Karin (Ingrid Thulin) e Maria, interpretata da Ullmann. Il film mostra gli ultimi due giorni di vita di Agnes, intervallati da diversi flashback che spiegano le dinamiche tra le sorelle. Un film sul passaggio tra vita e morte, un miscuglio perturbante tra l’impossibilità di vivere e l’incapacità di morire. La scena di Maria e del dottore davanti allo specchio è una delle scene più famose della storia del cinema: la macchina da presa diventa una superficie riflettente su cui si specchia il volto di Maria, accompagnato dalle parole del medico che ne delinea il cambiamento nel tempo:
Guardati allo specchio… sei bella, sei forse anche più bella di allora… ma sei tanto cambiata. Vorrei che vedessi quanto sei cambiata. I tuoi occhi hanno sguardi rapidi e sfuggenti; un tempo guardavi tutto e tutti apertamente senza crearti una maschera. La tua bocca ha assunto un’espressione insoddisfatta, famelica; prima era così dolce. Il tuo viso è pallido, la pelle incolore, sei costretta a truccarti. La tua bella fronte ampia, spaziosa ha quattro rughe sopra ogni sopracciglio… non riesci a vederle con questa luce, ma risaltano chiare di giorno. Lo sai da dove ti vengono queste rughe? Dalla tua indifferenza, Maria. E questa lieve curva che va dall’orecchio alla punta del mento non è nitida come un tempo. Questo significa che sei superficiale e indolente, e lì alla radice del naso perché ora c’è tanto sarcasmo, Maria. Riesci a vederlo? C’è troppo sarcasmo, troppo scherno… e sotto ai tuoi occhi inquieti, mille rughe impietose secche e quasi inavvertibili di noia e di impazienza.
David, il dottore a Maria- Ingmar Bergman, sceneggiatura di Sussurri e grida
Liv Ullmann e la regia
Nel 1992 Liv Ullmann passa alla regia con Sofie, storia di una ragazza ebrea di Copenaghen tra fine Ottocento. Nel 1996 prosegue la sua avventura come regista con Conversazioni private e nel 2000 L’infedele, entrambi basati su una sceneggiatura di Bergman.
Conversazioni private, ispirato alla vicende dei genitori del regista, è la ricostruzione di un adulterio attraverso cinque conversazioni, o meglio confessioni, dal sapore tanto intimo quanto universale nel trattare temi dolorosamente umani. L’infedele, ponendosi in linea di continuità tematica con Conversazioni private, esplora le profondità delle fragilità umane attraverso il racconto di una donna creata dall’immaginazione di un vecchio scrittore di nome Bergman.
Semplice: se sono attrice, è grazie al cinema italiano. Quando avevo tredici anni, ero una ragazzina timida, senza amici: e me ne andavo da sola al cinema. Lì, in Norvegia, vidi i capolavori di De Sica: Ladri di biciclette, Miracolo a Milano, Umberto D. Quei film sono stati una folgorazione. Mi sono come risvegliata, e vedendo quella povera gente alzarsi in volo, come in Miracolo a Milano, ho capito che i miracoli erano possibili. Anche quello di divenire attrice, per me.
Liv Ullmann
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