Nel 1975 Steven Spielberg contatta John Williams, con il quale aveva già collaborato per The Sugarland Express l’anno precedente, e gli chiede di comporre le musiche per il suo nuovo film: Lo Squalo. Spielberg e Williams rappresentano uno dei più importanti binomi regista/compositore di tutta la storia del cinema (equiparabile forse soltanto a Alfred Hitchcock e Bernard Herrmann) e il musicista americano si occuperà di quasi tutta la filmografia del regista, esclusi soltanto cinque film.
Cosa cambia con Lo Squalo
Se la prima collaborazione ha ottenuto risultati più timidi, la seconda è entrata fortemente nell’immaginario comune e le due note di terrore che compongono il tema de Lo Squalo sono riconosciute da tutti come sinonimo di pericolo e tensione.
Si tratta di due note che distano un intervallo di semitono l’una dall’altra (MI – FA oppure FA – FA#). La lieve differenza di intonazione tra le due note coinvolte crea una tensione molto forte, un lieve spostamento che ondeggia da una nota all’altra in maniera sinistra e minacciosa.
Se fossero suonate contemporaneamente, non alternate, si creerebbe una dissonanza molto marcata e se le note coinvolte, distanti sempre un semitono, fossero tre o più, si creerebbe ciò che viene definito un cluster.
Lo Squalo come Psycho (ma nell’acqua)
Esiste un esempio prestigioso di utilizzo di un cluster nel cinema, si tratta degli archi staccati e stridenti della famose scena della doccia in Pyscho ad opera del già citato Bernard Herrmann. Le note utilizzate in quel caso sono, curiosamente, proprio MI e FA con l’aggiunta del Eb più in basso e del FA# più in alto: anche in questo caso si è creato un gesto musicale iconico che è diventato simbolo di pericolo nell’immaginario comune.
Questo intervallo, ben conosciuto dai compositori e utilizzato molto spesso, in questo caso rappresenta il cuore stesso della composizione. In altri esempi la tensione che si crea viene poi rilasciata e risolve su note e accordi più “stabili”, più “definitivi”. Ciò non accade ne Lo Squalo, dove l’ansia e l’inquietudine accompagnano la composizione in maniera ossessiva, senza mai un risoluzione.
Esistono molti esempi del passato che usano lo stesso espediente in musica classica, ma è interessante ricordarne uno in particolare: si tratta della Musica Ricercata n°2 composta da György Ligeti tra il 1951 e il 1953. Questo brano eseguito al pianoforte è conosciuto ai più per essere stato utilizzato nel film Eyes Wide Shut di Stanley Kubrick. Composto prima del film di Spielberg, è stato utilizzato in campo cinematografico circa venti anni dopo. Anche in questo caso le note utilizzate distano un semitono l’una dall’altra e sono proprio le stesse del tema del Lo Squalo (FA e FA#). Si noti come la musica crei ansia e apprensione anche se il ritmo è più lento.
Nonostante alcuni brani più spensierati (ad esempio Preparing The Cage), la maggior parte delle musiche per questo film risulta essere intensa, minacciosa, dissonante e molto ritmica (elemento tipico dei film di azione). A un’analisi posteriore si nota l’eclettismo compositivo di John Williams che, in questo caso, sembra essere influenzato più dall’arte inquieta e spigolosa di Igor Stravinsky (si ascolti a tal proposito l’opera La Sagra della Primavera del maestro russo) piuttosto che dalla musica epica e solenne di Gustav Holst o Erich Wolfgang Korngold (due nomi che torneranno nelle future Guerre Stellari che coinvolgeranno il compositore).
Steven Spielberg non era convinto dell’idea di Williams
Quando il maestro John Williams propone a Spielberg la sua idea per il tema, il regista ride convinto che sia uno scherzo. Alla luce dei fatti deve essersi ricreduto non poco e alla fine si è fidato del geniale compositore. Quest’ultimo scrive il tema per essere eseguito da una tuba, uno strumento con un range di note molto basse. Ciò nonostante le note indicate in scrittura sono tra le più alte eseguibili su una tuba: questo dettaglio è fortemente voluto dal maestro che vuole creare ancor più tensione portando al limite lo strumento coinvolto, piuttosto che farlo eseguire da uno strumento di intonazione più alta (un corno francese, ad esempio). Il tutto suona così ancor più minaccioso.
Lo spettatore è portato ad associare all’ascolto delle due note l’avvicinamento dello squalo, in una sorta di leitmotiv creato per il feroce protagonista del film. Così, in un meccanismo quasi pavloviano, all’udire quelle note lo spettatore si aspetta l’arrivo del carnivoro marino: solo alla fine, durante l’attacco finale alla barca dei suoi cacciatori, lo squalo non è accompagnato dalla musica, creando un effetto ancor più intenso e imprevedibile.
È una idea semplice ma molto efficace che si va a sommare alle molte trovate di regia, composizione e montaggio che fanno de Lo Squalo uno dei più grandi capolavori della storia del cinema.
Quando Hooper è nella gabbia
In questa scena Matt Hooper, il biologo marino interpretato da Richard Dreyfuss, si cala sott’acqua in una gabbia di sicurezza per cercare di fiocinare lo squalo. L’arrivo dell’animale non è una sorpresa, la gabbia è stata calata in acqua appositamente per poterglisi avvicinare.
Per questo motivo il tema di John Williams entra in maniera decisa (minuto 0:17 della clip), con una certa dinamica, non troppo piano e con un tempo piuttosto sostenuto; inoltre, gli strumenti utilizzati non sfruttano un range eccessivamente basso e tenebroso (come accade in altre scene) ma lavorano su note medio alte.
Lo squalo si avvicina e la velocità di esecuzione (il tempo) aumenta, inoltre l’arrangiamento ora sfrutta note su un range più alto (minuto 0:33). Al minuto 0:45 l’animale si allontana nuovamente e gli archi più acuti gradualmente smettono di suonare: il pericolo è passato… forse!
Al minuto 0:56 non si vede più il minaccioso animale e la musica sparisce con esso, rimangono solo i rumori del mare; come nella miglior tradizione dei film horror (che utilizzano una grammatica che Lo Squalo stesso ha contribuito a definire) lo spettatore si sente quasi a disagio in un silenzio così inquietante e si aspetta un nuovo attacco. Si potrebbe parlare di “quiete prima della tempesta”, ma il linguaggio degli horror moderni preferisce definirlo jump scare.
Infatti al minuto 1:14 arriva alla carica la bestia marina: il tutto accade senza preparazione musicale per cui il terrore viene descritto solo attraverso le immagini, non si tratta di un moderno jump scare che colpisce lo spettatore con un rumore assordante, in questo caso lo spavento è più profondo, psicologico, lo spettatore si immedesima nel personaggio. La musica descrive sapientemente questo episodio introducendo (solo dopo l’attacco alla gabbia) archi acuti e stridenti che sembrano sostituire le grida di paura soffocate nella maschera da sub.
Al minuto 1:24 lo squalo sembra quasi venire incontro alla macchina da presa, accompagnato dal suo tema musicale che torna minaccioso e al minuto 1:30 notiamo i danni fatti alla gabbia: qui la musica si fa veloce, frenetica, senza pause in perfetta sintonia con quelli che potrebbero essere i pensieri del biologo marino e i suoi battiti accelerati in una situazione così drammatica.
Al minuto 1:48 avviene il confronto diretto tra uomo e animale: le famiglie e i range di strumenti si confrontano, dialogano e si scontrano (i toni gravi per l’animale e quelli acuti per l’uomo) in un apparente caos (controllato) dissonante. Archi e ottoni accentati e staccati sottolineano gli attacchi dello squalo, mentre archi acuti suonati con la tecnica del tremolo sottolineano la paura dell’uomo. Dal minuto 1:21 compare un’arpa che suona note veloci che richiamano il movimento del mare e delle onde e sembra accompagnare in salvo il biologo marino nella sua risalita alla superficie.
Una scena del genere fa trattenere il fiato per la tensione creata, esattamente come accadrebbe stando in apnea sotto la superficie marina.
In copertina: Artwork by Alessandro Cavaggioni
© Riproduzione riservata
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