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«Lo straniero», un ricordo di Orson Welles

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5 minuti di lettura

Orson Welles, nato il 6 Maggio del 1915, è un genio poliedrico che ha saputo rovistare e innovare ogni ambito in cui abbia lavorato, dalla radio al teatro, e soprattutto nel cinema. Il suo nome si lega immediatamente alla sua opera prima filmica sonora – aveva già realizzato Too Much Johnson, un film muto nel 1938 – Quarto potere (Citizen Kane) del 1941, che viene classificata da diversi addetti ai lavori come miglior film della storia. Approfittando della programmazione sulla piattaforma streaming Netflix, è bene recuperare un titolo minore della sua filmografia, legato al primo periodo americano, prima del suo «esilio» europeo. Lo straniero (The Stranger), è definito dallo stesso regista come il suo peggior film, tra quelli diretti. Ma lo standard è forse troppo alto, dato che questa pellicola risulta invece interessante e accattivante, un lavoro che vale la pena godere.

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«Lo straniero», trama

Nell’immediato dopoguerra, la Commissione delle Nazioni Unite contro i Crimini di guerra indaga sulla scomparsa di un latitante e pericoloso gerarca nazista, Franz Kindler (Orson Welles). Un investigatore della commissione, Wilson (Edward G. Robinson), elabora una strategia per ritrovarlo: liberare un ex collaboratore del latitante, Konrad Meinike (Konstantin Shayne), seguire le sue mosse che, nelle aspettative, lo dovrebbero portare dal ricercato.

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Arrivati nella cittadina di Harper, nel Connecticut, è facile trovare il fuggitivo, che si è fatto una vita nuova, lavorando come insegnante con il nome di Charles Rankin, e che sta per sposare Mary Longstreet (Loretta Young), figlia di un giudice della corte suprema. L’arrivo di Meinike e Wilson mette però a serio pericolo il segreto passato del protagonista.

La normalità del male

Franz Kindler, nelle prime scene in cui compare, sembra un normale e tranquillo professore di una qualunque piccola città americana. Subito però l’incontro con l’ex collaboratore ne rivela la natura maligna: sospettoso che Meinike possa, con la sua presenza, scoperchiare la sua vita precedente, lo strangola a mani nude, per poi seppellirne il cadavere di notte.

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Poche ore dopo l’omicidio, sposa la propria donna, Mary Longstreet, donna intelligente e raffinata. Tuttavia, le qualità di lei non sono sufficienti a scorgere la vera natura del marito, anche quando le prove diventano sempre più evidenti. Questo perché la natura dell’orrore spaventa, e necessita di molto tempo per essere affrontata con occhi lucidi. La impaurisce anche avere legato se stessa ad un uomo creduto colto e buono, ma in realtà capace di crudeli delitti.

Lo straniero

Così la vera protagonista della storia diventa proprio la giovane figlia del giudice Longstreet. Rappresenta lo spettatore stesso, con le difficoltà, gli adombramenti, gli avvertimenti del sogno, il sonno della razionalità, la miopia emotiva e tutti quei comportamenti che emergono quando non si ammette l’orrore, ben presente davanti ai propri occhi, o si tenta di evitarlo.

Un’opera perfettibile?

Rispetto alle opere più quotate del regista, dove l’estro e le novità tecniche di regia risultano uniche, Lo straniero sembra più convenzionale. Il prodotto tuttavia è confezionato in maniera impeccabile, un noir che riesce a tenere lo spettatore con l’attenzione alta, in attesa della sua risoluzione. Orson Welles non sfoggia la sua migliore interpretazione attoriale, ma riesce comunque a dare inquietudine al suo personaggio; Edward G. Robinson svolge di buon piglio il ruolo di detective.

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Ne Lo straniero, momenti estremamente standard si legano a scene di grande impatto per la memoria dello spettatore. Le ombre in bianco e nero e il fumo della pipa restituiscono allo spettatore le atmosfere noir più classiche. Un approccio all’interno dell’opera di un gigante che non si può perdere.


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Amo le storie. Che siano una partita di calcio, un romanzo, un film o la biografia di qualcuno. Mi piace seguire il lento dispiegarsi di una trama, che sia imprevedibile; le memorie di una vita, o di un giorno. Preferisco il passato al presente, il bianco e nero al colore, ma non disdegno il Technicolor. Bulimico di generi cinematografici, purché pongano domande e dubbi nello spettatore.